LA PSICOLOGA: Sviluppare modalita' propositiva che aiuti a dire 'no'
Roma, 27 nov.- Che tipologia di donne sono quelle che finiscono per legarsi fusionalmente a un uomo maltrattante? Maria Cristina Barducci, psicoanalista junghiana ed esperta di identita' femminile, lo spiega alla Dire andando oltre la trita interpretazione di 'masochismo femminile': 'Un luogo comune che non parla affatto della complessita' del mondo psichico che ritroviamo nelle donne che incappano in situazioni di maltrattamento, da quelle psicologiche a quelle fisiche'.
Barducci ha scritto con Beatrice Bessi, analista infantile che lavora nel centro antiviolenza Artemisia di Firenze, e Rita Corsa, psichiatra e psicoanalista, 'Vivere con Barbablu'.
Violenza sulle donne e psicoanalisi' (edizioni Magi), in cui descrivono il mondo interno delle donne maltrattate. 'Ci sembrava importante, che oltre a denunciare l'aspetto sociologico e antropologico della violenza, fosse presente anche il punto di vista intrapsichico, senza la conoscenza del quale e' impossibile arrivare alla radice del problema. Queste donne maltrattate- continua Barducci- incappano o ripetono un legame fusionale da cui, a nostro avviso, non sono mai uscite. Un legame che le costringe a pensare che la fusionalita' con l'altro sia l'unico possibile modello di relazionalita', sia che l'abbiano avuto o lo abbiano desiderato. Dal nostro vertice di terapeute emerge che il mondo delle donne che incontrano maltrattanti e' fortemente segnato da legami fusionali con la madre, narcisismi mancati che poi inducono in forme di narcisismo assoluto'.
All'inizio il maltrattante si presenta come una figura affascinante. 'Puo' far sentire la donna come in una nuvola, c'e' solo lei, la cosa piu' importante, il mondo non esiste. Poi piano piano il mondo scompare davvero, tanto che assistiamo a fenomeni di chiusura, proibizioni. Si crea una sorta di rapporto carcerario in cui la donna deve abolire tutte le sue relazioni con il terzo esterno e rimanere chiusa in questo mondo. Se si ribella scoppia di tutto: si passa dalla rabbia alle botte, fino ad arrivare a terribili situazioni di femminicidio'.
Barducci e Bessi si occupano da anni di tematiche riguardanti l'identita' femminile. 'Ascoltiamo racconti di maltrattamenti sottili, situazioni dove lei non esiste e non c'e' che lui- continua la psicoanalista junghiana- oppure lei crede che senza di lui non sarebbe niente, come il bambino che senza la mamma cade in un vuoto precipitoso se non ha costruito la madre interna. Le donne vittime di violenza spesso hanno una psiche infantile, intendendo per infantile quella psiche legata a una fusionalita' primaria che non ha sviluppato il senso della realta' e dell'alterita''.
La frase piu' ricorrente e' ''Non avrei mai pensato che lui fosse cosi''. Non lo hanno visto perche' per prime non sono mai state viste dalle loro madri- precisa Barducci- erano un pezzo delle loro madri. Esistevano solo nella testa dell'altro e nella vita con l'altro. Questa modalita' di dipendenza- sottolinea la psicologa- e la conseguenza di valori veicolati dalla cultura collettiva dominante che fa parte di un mondo socioculturale che, sebbene stia cambiando, ha radici millenarie. Storicamente le donne non potevano pensare di essere dei soggetti, rimanevano confinate in una zona infantile in senso profondo: erano le bambine da accudire, le poverine da consigliare, madri e mogli che seguivano i dettami di una cultura patriarcale che aveva detto loro quale dovesse essere il modello dominante. Una volta che la donna si separa da un marito che l'ha vessata, denigrata o picchiata, se non vuole ricaderci e reiterare l'esperienza in una coazione a ripetere segnata da inconsapevolezza, deve elaborare cio' che l'ha condotta in quel vicolo cieco'.
- Come? 'Dovra' ripartire dalla sua aggressivita' negata, cosi' come dalla propositivita' negata. La donna aggressiva non fa parte del modello culturale dominante, e' una virago, una strega, una fallica a seconda di come la vogliamo vedere. Invece e' importante recuperare dei tratti di aggressivita', o meglio di legittimazione a dire un 'No'. L'aggressivita' e' anche un'energia che mi fa dire 'Io mi propongo''. In un legame fusionale il leitmotiv e' invece 'l'altro pensa a me- chiarisce la psicoanalista- ma quando comincio a sentire e anche ad accettare che l'altro non mi da' tutto, a partire dalla migliore delle mamme, allora dovro' mettermi alla prova, mettere in gioco le mie emozioni, le paure, le ansie, le difficolta', le insicurezze e anche la voglia di affermarmi. Siccome l'aspetto fusionale e' protettivo - che sia con la madre o in un matrimonio tradizionale - e ci dice 'Non importa che tu faccia nulla', per reagire dobbiamo sviluppare una modalita' propositiva che ci aiuti a dire 'No, questo non mi piace', senza sentirci colpevolizzate e/o respinte in nome di quel 'No''.
Il tema dell'aggressivita' femminile va recuperato come diritto all'esistenza. 'Non c'e' esistenza se non c'e' propositivita' e consapevolezza che il 'No' fonda l'alterita' e stabilisce una necessaria separazione'.
La violenza psicologica e' la derivazione immediata della violenza simbolica, che Pierre Bourdieu nel libro 'Il dominio maschile' descrive come 'sottilissima e imprendibile, perche' non agisce per coercizione, ma istillando nell'animo dei dominati la convinzione che le idee che pensano siano loro, mentre sono dei dominanti. Sulle donne/madri questa violenza si e' esercitata lungamente- prosegue Barducci- e ad essa ha contribuito il potere androcentrico dominante, sia laico che ecclesiastico, costruendo per le donne una imago ben definita alla quale occorre adeguarsi per non sentirsi sbagliati. La violenza psicologica e' quindi la vessazione sulla psiche dell'altro in nome di un simbolismo dominante. Ad essa segue una sorta di legittimazione della violenza agita, per secoli sancita anche dalle leggi. Basta pensare- ricorda la scrittrice- che fino al 1956 c'era lo Ius corrigendi: il diritto del marito di riportare sulla retta via moglie e figli anche con le botte. Siamo figlie di una societa' sottilmente e insidiosamente patriarcale, di una cultura violenta e non solo con le donne, ma con tutti i diversi- denuncia la psicologa- una cultura colonialista dove l'alterita' non deve esserci'.
- Come contrastare la violenza simbolica? 'Decostruendola attraverso lo studio di modelli diversi. Passi importanti sono stati fatti dalle famiglie allargate, le famiglie arcobaleno, il divorzio, la contraccezione e la legittimazione delle coppie gay'.
Le tre scrittrici difendono la soggettivita' femminile, nella consapevolezza che si tratti di un percorso accidentato e ancora in fieri. Ma cos'e' la soggettivita' femminile? 'È la capacita' di una persona di essere un soggetto pensante che abita un corpo femminile, senza dover rinnegare l'emotivita', la maternita' scelta e tutti gli elementi storicamente intrinseci alla femminilita', purche' ripensati e accettati o rifiutati di conseguenza. Allo stesso tempo pero'- risponde la psicoanalista- non si limita a questo. Il soggetto donna pensa, costruisce, si fa autrice delle cose, di una sua progettualita', nutre la sua alterita' anche rispetto ai desideri o alle personalita' dei genitori'.
- Perche' abbiamo tanta paura? 'Temiamo che se siamo noi stesse non siamo amate- afferma Barducci- questo e' il vissuto della bambina intrappolata in una simbiosi che prosegue e non si evolve: 'Se sei diversa, la mamma non ti ama'. C'e' la paura della perdita dell'amore dell'altro, che per il bambino e' assolutamente necessario alla crescita, ma che deve, dovrebbe mutare evolutivamente'.
La favola di Barbablu' ci offre una via di uscita. 'Ci dice che si puo' andare a vedere e si puo' non morire. La curiosita', come desiderio insopprimibile di conoscenza e' la chiave insanguinata che apre la porta segreta, l'accesso al mistero, al non detto, alla segretezza che nasconde i femminicidi e svela la violenza. Manteniamo quindi viva la curiosita' e recuperiamo una aggressivita' sana e non sterilmente reattiva, come chiave d'accesso a una compiuta propositivita'', conclude Barducci.
(Wel/ Dire)