Nell'ambulatorio di etnopsicoterapia lavorano operatori Msf e Asp
Roma, 3 lug. - Un approccio psicoterapeutico multidisciplinare integrato per offire supporto ai migranti, che vivono una condizione di sofferenza psicologica, nel delicato percorso di accompagnamento e cura: e' il cuore del progetto sperimentale che, in forza di un protocollo d'Intesa, Medici senza frontiere (Msf)e l'Azienda sanitaria provinciale (Asp) hanno portato avanti da gennaio 2017. Il servizio, svolto dentro i locali della "Cittadella della salute" del dipartimento di salute mentale, e' rivolto agli immigrati ospiti dei Cas e Sprar: 46 gli utenti, ma c'e' la possibilita' di iscriversi ad una lista di attesa.
Il progetto si concludera' nel mese di giugno anche se si valutera' la possibilita' di proseguire fino alla fine dell'anno. Gli operatori dell'Asp che lavorano insieme al gruppo di Msf (psichiatra, psicologo, mediatori culturali e assistente sociale) sono uno psichiatra, un assistente sociale e due psicologi. Il servizio e' operativo due giorni a settimana il martedi' e il giovedi'.
"Grazie a questo progetto, con gli operatori di Msf e' nata una collaborazione proficua- afferma la direttrice del dipartimento di salute mentale della Cittadella della Salute di Trapani Giovanna Mendolia- che ha dato buoni risultati.
L'obiettivo, adesso e' sicuramente quello di non interrompere il servizio ma di continuarlo facendo tesoro proprio dell'approccio multidisciplinare appreso da Medici Senza Frontiere. Per questo abbiamo gia' pronto il bando per attivare al piu' presto un albo dei mediatori culturali con requisiti linguistici specifici a cui attingeremo in base alle esigenze. Il progetto, nel complesso, riteniamo che sia servito a tutti proprio nell'ottica di una crescita professionale comune finalizzata sempre a migliorare la risposta nei confronti degli immigrati".
Guido Ortelli, medico- psichiatra responsabile dell'ambulatorio per Msf, prosegue: "Abbiamo trasmesso con successo il nostro metodo di lavoro che e' basato principalmente sul setting multidisciplinare. C'e' sicuramente una difficolta' iniziale per i migranti a raccontare di se' perche' non e' facile parlare di esperienze devastanti, ma quando riescono a farlo e' un passo avanti significativo per il percorso di cura. Sono tanti i casi di persone che hanno profonde ferite psicologiche dettate da abuso e violenze avvenute durante il lungo viaggio dal loro Paese di origine fino alla Libia. Il numero di migranti che abbiamo seguito potrebbe apparire basso rispetto al fabbisogno, ma e' una scelta precisa giustificata dal fatto che per la qualita' del servizio non possiamo avere un numero elevato di utenti. La terapia e' variabile e dura dai sei agli 8 mesi.
Cerchiamo di dare con un confronto di gruppo le risposte piu' idonee in relazione ai diversi bisogni di tipo psicologico, psichiatrico, sociale o legale ".
E' stata una occasione "significativa che ha permesso ad un servizio pubblico di aprirsi in maniera diversa al fenomeno contemporaneo dell'immigrazione- afferma la psicologa di Msf Ester Russo- che ci tocca da vicino. Abbiamo cercato di trasmettere, infatti, un modo nuovo di lavorare che ha messo in discussione tutte le categorie tradizionali che interessano il lavoro dei professionisti. Il servizio ha permesso inoltre di raccogliere delle storie di esperienze traumatiche terribili, come alcune torture subite dai migranti in Libia. Va evidenziato che, molte persone si sono ammalate anche a causa di un sistema italiano che ancora aiuta poco perche' risponde troppo lentamente ai loro bisogni, creando inevitabili conseguenze sulla loro salute mentale".
Come Asp "siamo abituati a lavorare nell'ascolto individuale della persona mentre invece da Msf abbiamo appreso i benefici di un approccio terapeutico di gruppo- aggiunge anche lo psicologo dell'Asp Enrico Genovese- per il migrante che non si sente interrogato ma accompagnato. Nella nostra esperienza abbiamo raccolto la sofferenza di tanti migranti che hanno subito violenze ed abusi che inizialmente non erravamo preparati a fronteggiare. Abbiamo, infatti, appreso situazioni che non conoscevamo e che grazie anche al confronto con Msf abbiamo imparato a gestire. A poco a poco abbiamo pure sperimentato il lavoro con gli immigrati imparando a leggere certi vissuti nel pieno rispetto della loro cultura di appartenenza".
Molti migranti che usufruiscono del servizio appaiono fortemente scoraggiati dai lunghi tempi di attesa per il rilascio del permesso di soggiorno. A sottolinearlo sono le due assistenti sociali di Msf e dell'Asp. "Il primo nodo forte da sciogliere e' certamente per queste persone, che hanno gia' subito dei fortissimi stress, quello della mancanza di una corretta informazione- dice Annarita Di Cola, assistente sociale Msf- sui loro diritti che andrebbe invece alimentata da tutti gi organi preposti a farlo. Poi in loro c'e' questa sorta di sospensione nel tempo del non sapere se otterranno la protezione internazionale che li scoraggia molto. La prima cosa che facciamo e' allora quella di rassicurali dalla preoccupazione legata al loro status e poi di aiutarli a fronteggiare la burocrazia. Ci facciamo carico anche di sollecitare gli operatori del Cas o gli avvocati che dovrebbero seguirli. L'obiettivo sarebbe quello comunque di affiancarci ai servizi esistenti e di non sostituirci a quelli che mancano".
Conclude Elena Salami assistente sociale dell'Asp: "Abbiamo imparato sicuramente che l'approccio integrato favorisce nei migranti una migliore risposta. Diversamente da noi occidentali sono loro stessi che preferiscono confrontarsi con un gruppo, perche' rientra proprio nell'ottica piu' vicina alla realta' che hanno vissuto nei villaggi oppure nei piccoli clan".
(Wel/ Dire)