Roma, 4 dic. - Il passaggio dalla modernita' alla postmodernita' e' uno dei grandi temi epocali che hanno molto interessato Carl Gustav Jung. In un'epoca distruttiva, come quella attraversata dalle due guerre mondiali, Jung si pone il problema dell'individuazione. Lo fa sfidando il conformismo in favore delle differenze individuali, del pluralismo e tenendo un occhio sempre attento al passato, perche' 'chiunque dimentichi il passato e' condannato a ripeterlo'.
Cos'e' la postmodernita' e chi e' l'uomo postmoderno? La Dire lo ha chiesto a Christopher Hauke, professore di Studi Psicoanalitici presso il Goldsmiths College (University of London), e a Robert Mercurio, analista e socio fondatore della sede romana dell'Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica (Arpa).
Qui e' possibile guardare la videointervista.
"Il postmoderno fa parte della modernita'- chiarisce Hauke- mi piace descriverlo cosi': se la modernita' e' la vetta, la postmodernita' e' il post meridiem, cio' che discende dall'altro versante. La modernita' contiene entrambe le posizioni al suo interno, compresa la transizione. Il moderno e' quindi ancora presente e c'e' una lotta, a volte una contraddizione, su cio' che il postmoderno sta cercando di ottenere all'interno del contesto della modernita'. È una partita ancora aperta". L'uomo postmoderno ha quindi a che fare "con le contraddizioni, le ambiguita', il pluralismo. Un'immagine potrebbe essere quella di una sola gelateria che al suo interno offre molti gusti differenti. Si confronta con l'uniformita'- chiarisce lo psicoanalista londinese- McDonald e Coca cola, ad esempio, si trovano ovunque nel mondo e la contraddizione e' che possono essere presenti sia a livello locale che globale. Noi viviamo in entrambe le dimensioni. Queste sono le condizioni sociali e culturali della postmodernita'".
L'uomo o la donna postmoderni sono allora "quelle persone che hanno il coraggio di sacrificare le certezze e di capire che l'esistenza - la realta' che ci circonda e che cerchiamo di gestire giorno dopo giorno - e' un grandissimo mistero. Per stare in relazione con il mistero- prosegue Mercurio- dobbiamo mettere da parte la nostra necessita' di avere sicurezze, certezze, e accettare che dentro di noi e nel mondo ci sono diversi punti di vista. Ognuno di questi punti di vista ci aiuta a intravedere, e forse a capire, qualcosa dei diversi aspetti di questo enorme mistero che ci avvolge".
Perche' Jung puo' essere considerato uno psicoterapeuta postmoderno? "Prima di tutto Jung ha sfidato l'idea di 'analista esperto'- spiega Hauke- crede che il paziente e l'analista lavorino insieme e si trasformino insieme. L'analista non ha una posizione privilegiata rispetto all'inconscio, proprio come il paziente".
In secondo luogo, "c'e' una mutualita' nel lavoro, manca una gerarchia, e questa e' una caratteristica della posizione postmoderna. Jung- ricorda il professore del Goldsmiths College- ha una visione pluralistica dell'umano. In noi sono presenti molte sotto personalita' che egli chiama complessi, archetipi a livelli piu' profondi. Cio' non va in contraddizione con i differenti aspetti di noi stessi, pluralistici, che ci permettono di funzionare meglio nei vari contesti. Jung e' portatore di una visione postmoderna, pluralista, mutualista, non gerarchica e sfidante, che prima di lui mancava". Lo studioso svizzero e' quindi per eccellenza "l'analista e lo psicoterapeuta post moderno- prosegue Mercurio- ha cercato seriamente di fare i conti con l'enorme complessita' della psiche. Ci dice che dobbiamo sempre prendere in considerazione l'equazione personale: dal mio punto di vista, per la mia tipologia, il mio carattere la vita ha senso a certe condizioni e in un determinato modo. Per un'altra persona ci vorranno altre condizioni e la vita avra' senso per diversi motivi. Jung ha sempre tenuto in considerazione la complessita' e la necessita' di riconoscere la propria equazione personale".
Jung riparte dall'individuo? "Sono due i punti di partenza di Jung- afferma il socio fondatore della sede romana dell'Arpa- uno e' l'individuo, l'altro e' la sfera archetipica. La sfera archetipica dove ci sono le grandi dinamiche, le grandi verita' universali, atemporali e transpersonali, non e' la massificazione della mente di cui parla spesso, non e' semplicemente un fatto collettivo. Queste realta' archetipiche- conclude Mercurio- cercano la loro espressione tramite l'individuo e ogni individuo si trovera' a dover declinare secondo la propria equazione personale queste realta' archetipiche".
La psicoterapia postmoderna, la stiamo gia' facendo? "Si- conferma Hauke- perche' gli analisti di oggi non si riconoscono come autorita' totale sul paziente e sui suoi bisogni. Cercano, piuttosto, attraverso la relazione con i pazienti di far emergere i bisogni e le istanze individuali. È una nuova opportunita' e un momento unico per entrambi".
Perche' e' cosi' difficile riflettere sulla postmodernita'? "Perche' siamo nel mezzo della modernita'. Siamo come pesci nell'acqua che non sanno veramente di essere in acqua finche non trovano un fulcro critico dal quale sfidare e riflettere esattamente cio' che sta accadendo in loro. Jung parla del bisogno di trovare un riferimento nel passato che ci aiuti a riflettere su cosa stia accadendo psicologicamente nel presente. Cosi' si rivolge ai miti, studia l'alchimia e lo gnosticismo. Un approccio simile- ricorda lo psicoanalista inglese- avviene anche in altri settori, come nell'architettura che guarda al passato e lo include per rappresentare la modernita'".
In occasione della giornata di studio 'Christopher Hauke e la psicoterapia postmoderna. Non la stiamo gia' facendo?', promossa a Roma dall'Arpa e dall'Istituto di Ortofonologia (IdO), il professore londinese ha mostrato alcuni film analizzandoli in chiave junghiana. Perche'? "Abbiamo visto da una prospettive postmoderna come il mondo cinematografico sia un tentativo di decostruire e indagare il modo in cui manifestiamo noi stessi e il nostro stile di vita. 'Blue Velvet' di David Lynch sfida l'idealizzazione della vita felice delle periferie americane, presentando storie e narrative oscure e immagini molto strane. In 'Fight club' di David Fincher ci si chiede cosa significhi essere un uomo moderno che consuma e parla una lingua di 'lavoro' con altre persone. Sono tutte riflessioni postmoderne sulle assunzioni del tipo 'essere un uomo vuol dire solo essere un uomo'. Questo- conclude Hauke- e' un punto di vista postmoderno e tali aspetti sono entrati nella psicoanalisi junghiana".
(Wel/ Dire)