(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 5 set. - "L'idea di anticipare l'eta' di ingresso dei bambini in prima elementare e' stata mal interpretata: in passato era legata solo a quei minori che, per effetto della data di nascita, avevano gia' effettuato i tre anni di scuola Materna e solo per qualche mese si decideva di evitare di fargli fare il quarto anno di Materna, che in effetti era di troppo. Di questa spiegazione e' rimasta oggi, pero', solo la possibilita' di andare in prima elementare a 5 anni. Opzione considerata da molti genitori e insegnanti un attestato di merito per il figlio o per l'alunno, considerato molto intelligente". Commenta cosi' Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'eta' evolutiva e direttore dell'Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma,
le Rilevazioni Nazionali degli apprendimenti 2016-17 pubblicate dall'Istituto Invalsi, in cui si legge che gli alunni anticipatari (quelli che vanno in prima elementare a 5 anni) hanno punteggi in italiano e matematica che risultano inferiori a quelli dei loro compagni andati a scuola a 6 anni. Un gap che, in molti casi, si conserva anche alle Superiori.
"La pratica clinica e terapeutica svolta in questi anni- continua lo psicoterapeuta- ha portato a determinare che sicuramente tutti i bambini che vanno a scuola a cinque anni sono normalmente intelligenti, ma la statistica ci porta a vedere che su 100 minori anticipatari il 30% arranca fortemente, il 40% fatica e il restante 30% risulta in linea con gli altri".
Cosa accade? "Quel 40% e 30% degli anticipatari che riescono negli studi danno nel tempo una sensazione di leggerezza e facilita'. Un'immagine fallace- ricorda l'esperto- perche' una alta percentuale vive molte difficolta'. Invece quel 30% di bambini che veramente fatica, esplode poi in problemi di varia natura. Parliamo sempre di alunni intelligenti, la loro difficolta' nasce dal fatto di essere affettivamente immaturi.
Hanno bisogno del terzo anno di Materna- sottolinea lo psicoterapeuta- come tutti i bambini d'altronde, e togliergli un anno di esperienza significa sacrificarli sull'altare dell'efficienza e della prova".
L'IdO affronta questa criticita' da molto tempo, tanto che nel 2011 condusse una ricerca in 12 scuole pubbliche romane per dimostrare che la dislessia "non era un danno corticale, o un qualunque danno al cervello o ancora una disfunzione cerebrale- afferma il direttore- perche' su 1.300 studenti, una percentuale molto alta di bambini erano stati diagnosticati come dislessici - che piu' opportunamente dovevano essere indicati come bambini con difficolta' di apprendimento - tra gli alunni andati a sei anni a scuola era al 3%, mentre negli anticipatari la percentuale si attestava al 14%. Dati che indicano- chiarisce Castelbianco- che la richiesta di prestazioni per tanti bambini e' esageratamente anticipata: molti bambini a cinque anni non sono pronti, devono maturare, cioe' frequentare il terzo anno della scuola dell'Infanzia, per passare dall'asilo - dove si realizza una vera attivita' di socializzazione, integrazione e gioco - a una richiesta di attenzione e prestazione in prima elementare. Di fatto questi piccoli alunni che vanno 'male' a scuola presentano tutti, a detta delle insegnanti, una difficolta' di attenzione, non stanno fermi, non capiscono, sono frettolosi nell'affrontare le cose. Lo fanno perche' vogliono terminare subito- spiega lo psicoterapeuta- in quel momento per loro la scuola diventa ansiogena".
L'Istituto Invalsi disegna poi una demarcazione netta tra il Centro-Nord e il Sud Italia sul tema degli anticipatari: "Nelle due aree settentrionali gli anticipatari sono meno dell'1%, sia nella scuola primaria che nella secondaria di primo e secondo grado, mentre nel Centro salgono leggermente, mantenendosi comunque intorno all'1%; nelle due aree meridionali e insulari, invece,raggiungono, in qualche caso, anche il 4%".
Secondo il direttore dell'IdO questo divario e' spesso legato "alla tendenza di considerare che se un figlio va a scuola in anticipo, il merito e' di tutta la famiglia perche' e' la dimostrazione dell'intelligenza del proprio erede. Al Nord l'informazione pedagogica e' arrivata prima- prosegue lo psicoterapeuta- hanno capito che mandare a scuola i bambini a cinque anni non li aiuta, anzi li penalizza. D'altra parte l'informazione nel mondo funziona cosi': parte dagli Stati Uniti, arriva in Inghilterra, attraversa l'Europa, scende in Italia e poi dal Nord passa al Sud. Un esempio adesso riguarda l'eta' di accesso al nido- dimostra l'esperto- adesso in America si sta dibattendo con toni accesi sull'opportunita' di mandare i bambini al nido ad almeno 18 mesi di vita, invece che a sei. Questo perche' non e' vero che i bambini a 6 mesi sono gia' sufficientemente autonomi per essere separati dalla madre- sottolinea lo psicologo- e' dimostrato che per godere di una maggiore autonomia affettiva e di serenita', il bambino per affrontare il distacco dovrebbe avere almeno 18 mesi".
C'e' ancora un'ultima domanda: Dare uno stipendio alle madri per tenerle a casa fino ad almeno un anno di eta' sarebbe poi cosi' deficitario rispetto allo spendere soldi per creare asili nido? "Il discorso fu fatto in epoche non lontane- ricorda il direttore dell'IdO- si penso' che se i due genitori avessero lavorato entrambi, la maggiore entrata economica si sarebbe poi tradotta in una maggiore serenita' mentale dei propri figli. Un concetto comprensibile ma vero fino a un certo punto- precisa Castelbianco- non si puo' pensare che un anno di stipendio possa compensare l'assenza della madre. Andrebbero rifatti i conti- conclude- basti pensare quanti di questi bambini fanno pagare alla societa' i costi del loro ingresso troppo prematuro al nido, cosi' come troppo prematuro alla scuola elementare".
(Wel/ Dire)