Consultazione tra psichiatri, per "cancellare stigma malattia"
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 10 ott. - La schizofrenia fa ancora paura. Nell'immaginario collettivo chi ne soffre e' visto come una "persona pericolosa" e viene "isolato dalla societa'", insieme alla sua famiglia e a chi se ne prende cura, perche' "si sentono giudicati e criticati". In poche parole, "e' la malattia degli emarginati". E in un contesto come questo, anche le parole hanno un peso. Proprio per questo, a livello internazionale si sta cominciando a cambiare nome alla malattia.
A rivelarlo e' Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli-Sacco di Milano e gia' presidente della Societa' italiana di Psichiatria. In Giappone o Corea del Sud il termine e' gia' stato bandito, spiega Mencacci, mentre in Italia e' in corso un'indagine tra gli psichiatri per scegliere il nuovo nome da dare alla malattia. Un termine che "aiuti a comunicare la diagnosi e la terapia, eliminando lo stigma legato alla schizofrenia". In passato, la stessa cosa e' accaduta per le persone affette da sindrome di Down, malattia di Hansen o disturbo bipolare.
POCA SINTONIA MEDICI-MALATI - Gli psichiatri sono ottimisti su una futura cura per la schizofrenia. Ma c'e' ancora (troppa) distanza tra i medici, i pazienti e i loro familiari. E' quanto emerge da una ricerca ("Open Minds") condotta a livello europeo dalla Janssen su 347 psichiatri di otto Paesi, di cui 51 italiani.
Dalla ricerca emerge che otto medici italiani su 10 si dicono fiduciosi rispetto alle terapie innovative contro la malattia. Il 90% valuta l'aderenza alla terapia come la principale chiave del successo del trattamento, mentre l'88% considera essenziale la prevenzione delle ricadute. Inoltre, sette psichiatri su 10 considerano il caregiver un facilitatore. Ma dalla ricerca emergono anche alcune criticita'. Ad esempio, sottolinea Mencacci, "tendenzialmente c'e' una discrepanza tra quello che lo psichiatra pensa sia meglio per il paziente e quello che invece lo stesso malato e il suo caregiver pensano della cura".
Tradotto in numeri, il 23% delle persone affette da schizofrenia non e' soddisfatto delle cure, mentre gli psichiatri pensano che siano piu' della meta'. Allo stesso modo il 74% dei caregiver vorrebbe un passaggio alle terapie innovative e il 68% dei pazienti sarebbe disponibile a farlo, mentre la maggior parte degli psichiatri e' convinta che le percentuali siano molto inferiori. La ricerca, commenta dunque Mencacci, "dimostra come la collaborazione va rinsaldata e come l'importanza dei caregiver deve essere trasportata nella pratica clinica, perche' diventa un elemento solido per l'adesione alle cure".
Una larga parte di psichiatri, invece, pensa di essere l'unico a dover decidere la terapia, senza concordarla con pazienti e caregiver. Inoltre, nella maggior parte dei casi al paziente non viene subito presentata l'intera gamma di terapie possibili, ma si aspetta che sia lo stesso malato a chiederlo. La maggior parte dei medici, in ogni caso, condivide la necessita' di "costruire un'alleanza terapeutica con pazienti e caregiver" e l'obiettivo di "rendere migliore la qualita' della vita dei pazienti".
(Wel/ Dire)