Adjukovic: In societa' traumatizzate aumenta il rischio di violenza e abusi
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 14 nov. - "Una comunita' e' traumatizzata se un numero importante di persone viene colpito da un evento traumatico in un lasso temporale breve". Lo spiega Dean Adjukovic, professore di Psicologia sociale dell'Universita' di Zagabria, esponente dell'European Society for Traumatic Stress Studies (Estss) e presidente della Croatian Society for Traumatic Stress, al convegno 'Narrazione, trauma e salute: dall'individuo alla societa'' promosso a Roma dalla Societa' Italiana per lo Studio dello Stress Traumatico (Sisst), dall'Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO) e dal Dipartimento di studi umanistici e internazionali dell'Universita' di Urbino (Discui).
"Terremoti, alluvioni o attacchi terroristici sono eventi che traumatizzano comunita' intere. Il tessuto sociale si disorganizza, le scuole non funzionano, non ci sono i servizi sociosanitari e la vita della comunita' si frammenta. I bisogni delle persone traumatizzate sono tanti e le risorse per poter andare incontro a questi bisogni sono limitate, ma occorre chiarire che l'intervento deve essere psicosociale- continua Adjukovic- per supportare le persone nel lungo periodo. Possono esserci case distrutte e familiari dispersi, e sapere che fine hanno fatto i membri della famiglia diventa la priorita' assoluta. Quindi- sottolinea l'esperto- il primo intervento psicosociale consiste proprio nell'informare e nell'aiutare a ritrovare i membri della famiglia. In generale, tutte le azioni che riportano la societa' alla sua routine rappresentano un importante intervento psicosociale. La riapertura della scuola e', infatti, uno dei gesti simbolici piu' potenti per riavviare la ricostruzione di una comunita'. Il messaggio che passa a livello simbolico e' 'La situazione sta migliorando e c'e' di nuovo la speranza'".
Un evento traumatico non colpisce solo il territorio, ma la gente. "Ricordo due anni fa le 15 mila persone evacuate in Croazia in seguito all'alluvione- continua il professore di Psicologia sociale- penso alle popolazioni migranti, il mio lavoro sul trauma inizio' 25 anni fa durante la guerra in Ex Jugoslavia". È importante "formare gli insegnanti a supportare i bambini. La comunita' non rimane la stessa nel processo di costruzione- spiega lo studioso- la gente colpita dall'evento traumatico prova una frustrazione elevata, rabbia e ha una tendenza all'aggressivita'. Cerca risposte, vorrebbe sapere chi e' responsabile di quanto accaduto, perche' come esseri umani hanno bisogno di trovare una risposta razionale sentendosi senza speranza e nell'incertezza".
Nelle comunita' traumatizzate si amplificano alcuni rischi: "La violenza contro le donne, l'abuso sui minori e l'abuso di sostanze. Solitamente di questi argomenti non si parla molto- denuncia Adjukovic- perche' ci sono altre priorita', ma dovremmo rifletterci". All'interno delle comunita' traumatizzate ci sono gruppi particolarmente vulnerabili e poco visibili: "Bambini e adolescenti, anziani, genitori single e donne in stato di gravidanza". Ci sono anche gruppi vulnerabili trascurati: "Le persone con malattie croniche o quelle con restrizioni alimentari, cosi' come i soccorritori che raccolgono i corpi, che lavorano incessantemente per salvare vite e trovare le persone sotto le macerie".
Nei traumi collettivi si parla di centri concentrici di vulnerabilita': "Al centro ci sono le vittime dirette degli eventi traumatici su cui si concentrano gli interventi psicosociali- precisa il professore- poi le famiglie delle vittime e infine coloro che hanno assistito all'evento (soccorritori, amici, parenti meno stretti e colleghi). In alcuni attacchi terroristici, come a Bruxelles, le persone che rientravano in questo terzo livello si sono sentite vittime dirette a loro volta. Questo modello ci aiuta a organizzare gli interventi e a valutare i bisogni delle vittime".
La psicoeducazione e' inclusa in tutti i modelli terapeutici. "Quello che prova la popolazione e' legato a cio' che ha vissuto. Dopo un disastro naturale il livello di distress e di altri sintomi scende gradualmente- fa sapere Adjukovic- e dopo 3 anni solo il 20% della popolazione mantiene ancora i sintomi post traumatici. La percentuale del 20% e' abbastanza universale nei diversi contesti e nelle diverse comunita'. Tendiamo a dimenticare pero' che le persone sono anche resilienti e dopo trenta giorni in molti riescono a tornare alla normalita'. È solo in questo momento che interveniamo per fare una valutazione.
Dobbiamo dare il tempo necessario alle persone di arrivare a una ripresa naturale della normalita'. Poi ci sono anche alcune persone che velocemente tornano alla normalita'- aggiunge- non sappiamo molto su di loro ma hanno un livello davvero elevato di resilienza dalle esperienze traumatiche".
Tra i fattori che aumentano la resilienza e aiutano la ripresa individuale ricordiamo "il supporto delle relazioni sociali, lo status economico e il funzionamento delle istituzioni.
L'individuo non e' mai isolato dal suo contesto sociale- ricorda il professore- ecco perche' nei nostri interventi evitiamo l'isolamento. L'essere attivi e generosi nel contribuire al processo di normalizzazione della comunita' aiuta ad accrescere l'autostima. Non bisogna essere passivi, ma continuare ad imparare dalle esperienze che ci accadono per integrare queste conoscenze. La nostra ricerca ha dimostrato che, nelle persone che sono guarite da una diagnosi di Disturbo post-traumatico da stress (Ptsd), il supporto sociale e' stato l'elemento piu' forte di cura per il ritorno alla normalita'. Il supporto sociale e' dato dalla transazione dare-ricevere, lo troviamo nella sensazione di essere importanti e di rappresentare un valore per gli altri. Questi- conclude Adjukovic- sono aspetti che dobbiamo integrare negli interventi psicosociali per le persone traumatizzate".
(Wel/ Dire)