Mercato del lavoro in rivoluzione, servono risorse psicosociali
Sarchielli (Unibo): Flessibilita' e' tema ambiguo, 2/3 giovani scoraggiati
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 2 mag. - "C'e' una rivoluzione in corso nel mercato del lavoro, ma non sempre in Italia la scuola e l'universita' fanno un buon servizio perche' solo un terzo dei giovani riesce a trovare un impiego adeguato, gli altri fanno fatica. Ci sono due milioni e mezzo di giovani scoraggiati che non si presentano sul mercato e questo e' un indicatore molto importante di malfunzionamento della relazione persona-lavoro". A dirlo e' Guido Sarchielli, professore di Psicologia del Lavoro dell'Universita' di Bologna (Unibo), intervistato dalla DIRE.
"La flessibilita' e' un tema ambiguo- afferma subito il docente- perche' e' andata di pari passo con un notevole aumento delle disuguaglianze sociali. I due milioni e mezzo di giovani NEET (ne' a scuola ne' a lavoro) rappresentano una spina nel fianco e per questi e' difficile fare un ragionamento sulla flessibilita', vista dal lato esclusivamente positivo delle opportunita' che offre. Del resto la categoria dei giovani presenta al suo interno una grande articolazione: ci sono dei sottogruppi consistenti che si trovano ancora nella condizione di cercare un lavoro dignitoso (in base ai principi sanciti dall'Organizzazione internazionale del Lavoro - ILO) e una parte che invece ha le risorse, o che potrebbe svilupparle, per sfruttare le opportunita' presenti in un mercato del lavoro flessibile".
Sarchielli continua: "Se guardiamo la componente positiva della flessibilita', e' chiaro che la possibilita' di trovare lavoro e' legata al possesso delle cosiddette risorse psicosociali personali". La prima risorsa e' "legata al recupero del valore del lavoro. Il primo passo e' ricostruire un'immagine del lavoro che sia vicina ai desideri delle persone e, allo stesso tempo, che rappresenti uno scopo importante per la vita. C'e' da costruire molta fiducia in questo ambito- precisa lo studioso- perche' per anni abbiamo parlato solo di lavoro in termini negativi (sfruttamento) e in molte situazioni e' ancora cosi' (es. l'edilizia). Quindi, dobbiamo recuperare un'idea di lavoro quale attivita' importante per lo sviluppo della persona e per l'acquisizione di un 'potere sociale' che la renda protagonista della sua vita e, solo in secondo luogo, nella sua componente di reddito".
Nello schema delle risorse psicosociali necessarie per autoregolare il rapporto con il lavoro segue la dimensione della proattivita': "Significa potenziare quei punti di forza della persona che rendono possibile la costruzione di un progetto sensato, realistico e sostenibile. Ormai andare a lavorare significa mettere in piedi un progetto personale aggiustabile in itinere. La dimensione di dipendenza presente nel passato (il posto fisso) e' vista oggi come un atteggiamento controproducente- sottolinea Sarchielli- bisogna partire dalla scuola, e in parte dalle famiglie, per sviluppare un potenziamento delle risorse proattive che incentivino un'assunzione diretta di responsabilita' da parte della persona sul proprio destino. Oggi chi lavora sull'orientamento al lavoro parla infatti di 'life design', ovvero di aiutare a progettare la propria vita (che comprende naturalmente anche il lavoro) puntando sulla possibilita' di farcela".
La terza caratteristica e' la resilienza: "Sappiamo che e' quasi impossibile poter disegnare in anticipo l'intero percorso di vita di una persona- prosegue il professore dell'Universita' di Bologna- quindi dobbiamo essere pronti ad aggiustare il tiro e a potenziare quelle risorse personali 'trasversali' che oggi fanno parte dell'occupabilita' insieme alle competenze tecnico-professionali. Dobbiamo rafforzare fin dal periodo formativo la capacita' delle persone di sapersi difendere di fronte agli eventi avversi e imprevedibili e di assumere atteggiamenti positivi verso il proprio futuro, affrontabile con coraggio e fiducia".
Cambiare lavoro fa paura. "Lo stereotipo del 'posto' fisso per tutta la vita e' ancora molto diffuso, ma non e' piu' la norma. Quello che sta emergendo e' l'importanza dell'attivita' del lavorare non del posto dove si lavora. Bisogna cioe' pensare al lavoro come attivita' (possibilmente che piace) e non solo come posto. Grazie alla creativita' delle nuove tecnologie si assiste oggi all'invenzione di tutta una serie di start-up imprevedibili a cui corrispondono a nuove attivita' lavorative e anche a nuovi tipi di rapporti di lavoro. Ad esempio, grazie all'informatica nascono ogni giorno nuove professioni, nuove attivita' a cui corrispondono anche interessanti remunerazioni".
La quarta risorsa e' 'Imparare ad imparare': "La maggior parte dei lavori e' oggi nell'ambito dei servizi- chiarisce Sarchielli- esse si basano su competenze e modalita' di azione di tipo professionale, sono costruite sui bisogni delle persone e stimolate dalle loro richieste, anche inattese. A quel punto, essere informati, approfondire certi settori di conoscenza, specializzarsi e misurarsi sul campo indicano una strategia di adattabilita' e di approfondimento della conoscenza che valorizza l'imparare facendo".
- La scuola e l'universita' formano i giovani alla flessibilita'? "Esperienze interessanti si rintracciano laddove sono state create delle partnership con il mondo delle aziende. Purtroppo le parole adattamento/adattabilita' danno sempre un'idea di passivita', di 'sopportare in silenzio'- ammette lo psicologo- invece indicano il bisogno di coordinarsi con le nuove esigenze emergenti: approfondimento delle proprie capacita', delle proprie competenze, invenzione e creativita'. Le start-up di successo non sono altro che esempi di creativita'. Ho sentito alla Radio- racconta Sarchielli- che dei giovani hanno inventato una App per individuare le buche presenti nelle strade di Roma e adesso il Comune sta pensando di acquisirla. Da una piccola idea puo' nascere un'azienda". Il primo maggio "deve ricordarci che nel lavoro si costruisce la societa'. Deve essere vista la dimensione del poter creare e non solo quella strumentale o semplicemente esecutiva".
- La riduzione dell'orario di lavoro puo' essere una strategia per accrescere l'occupazione? "È uno slogan nato alla fine degli anni '70, ma non e' fattibile in Italia. In Francia hanno sperimentato le 35 ore senza successo. È un discorso di natura sindacale, un'idea meccanicistica che non ha senso- rimarca Sarchielli- bisognerebbe fare un ragionamento differenziato a seconda delle caratteristiche di ogni settore lavorativo. La lotta del primo maggio nacque sul tema 8-8-8 (ore di lavoro-riposo-sonno), allora si lavorava tra le 12 e le 16 ore al giorno ma oggi non mi pare che ci sia un problema di questo tipo, e il discorso dei tempi di lavoro non puo' essere visto nell'ottica dell'aumento dell'occupazione. Sarebbe diverso se, invece, venisse fatta un'indagine di mercato, azienda per azienda e settore per settore. Del resto cio' sta gia' avvenendo in molte aziende con modifiche degli orari lavorativi basati non piu' sull'orario canonico settimanale ma su un monte ore piu' ampio che puo' essere adattato alle varie esigenze sia della produzione che dei lavoratori. Cio' potrebbe compensare le eventuali riduzioni dell'orario lavorativo con nuove assunzioni. Si tratta, pero', di una strategia da realizzare in maniera dettagliata e non in astratto- conclude-, con uno slogan o una normativa sindacale erga omnes che sarebbe priva di senso".
(Wel/ Dire)
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