Ecco le riflessione della psicoterapeuta Silvia Lo Vetere
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 11 lug. - 'Molto si e' parlato nei giorni scorsi di questo terribile gioco in rete, di istigazione al suicidio. Cifre e dati in merito non sono ancora chiari, sia riguardo al numero reale delle vittime sia all'entita' del fenomeno. In ogni caso e' un'occasione per discutere con i ragazzi di temi molto importanti e difficili che gravitano intorno al tema dell'utilizzo della rete, della morte e del suicidio. Anche perche' il Blue Whale non e' l'unico gioco nel web che istiga e fornisce istruzioni di pratiche di morte'. Lo scrive Silvia Lo Vetere, psicologa e psicoterapeuta, sul suo sito www.silvialovetere.it.
Su un piano legislativo 'certamente deve continuare a procedere la strutturazione di norme che regolino, monitorino, nel caso, rimuovano prontamente siti dannosi e che guidino i cittadini alla loro denuncia. D'altra parte pero'- rileva la psicologa- si deve anche potere procedere sul versante preventivo ed educativo, a partire da alcuni ineludibili quesiti. Cosa puo' risultare affascinante in questo tipo di giochi malati, agli occhi di un adolescente? La morte da sempre e' l'evento che piu' angoscia e attrae l'uomo. Lo angoscia perche' e' l'unica cosa a cui non puo' sottrarsi. Lo attrae perche' e' parte intrinseca della sua natura e che vorrebbe potere conoscere, penetrare, governare e dominare. Temi esistenziali, comuni a tutti noi e piu' che mai sentiti pero' in adolescenza', chiarisce l'esperta.
L'adolescenza e' l'eta' in cui, 'in termini simbolici, muoiono parti importanti di ciascuno di noi- prosegue Lo Vetere- muoiono le nostre convinzioni infantili e quindi le certezze assolute e inattaccabili di potere essere tutto quanto la fantasia ci suggerisce e di avere qualcuno alle nostre spalle sempre capace di proteggerci. Certezze che fino a qui sono state indispensabili a sostenere la crescita. Una perdita che espone inevitabilmente ogni adolescente a sperimentare sentimenti di solitudine, di incertezza, di paura, e di inadeguatezza. Sentimenti che lo avvicinano per la prima volta da una parte alla natura umana anche come fragile, finita e peribile, dall'altra al bisogno conseguente di farvi fronte. Proprio per questo, fortunatamente nella maggior parte dei casi- rassicura la psicoterapeuta- un adolescente non vuole affatto morire davvero. Vuole piuttosto catturare il segreto, conoscere la natura di una realta', quella della morte, che oggi la sua mente e' in grado di percepire come eventualita' piu' reale della vita.
Ed e' in questo quadro che giochi perversi come quelli del Blue Whale possono avere presa anche su una popolazione di normali adolescenti. Probabilmente solo chi ha una fragilita' piu' profonda, un grado di sofferenza non fisiologica, un desiderio reale di morte come via di uscita, arriva davvero al gesto finale di queste pratiche. Sicuramente pero' la fascinazione puo' invece allargarsi a un pubblico molto piu' ampio e produrre curiosita' e condotte imitative, anche se non fino all'esito prescritto di togliersi la vita'.
Complice della fascinazione anche 'la scenicita' amplificata delle immagini ampiamente diffuse in rete di braccia con tagli e di ragazzi sul cornicione. Immagini che contribuiscono largamente ad affermare l'idea del gesto suicida come di una sorta di gesto di drammatico eroismo. A sollecitare in misura consistente la curiosita' al gioco, in un normale adolescente, e' pero', a mio avviso- fa sapere Lo Vetere- uno dei messaggio di fondo che lo connota: la promessa implicita che, comunque vada, e' possibile conoscere, sfidare e ottenere il dominio della morte. Una cosa che interessa particolarmente un adolescente.
Un ragazzo allora che spinto dalla sfida, entra nelle regole del gioco e se ne sottrae, sconfigge la morte perche' se ne allontana. Al pari, un ragazzo che arriva in fondo, domina ugualmente la morte, perche' e' lui, nel messaggio perverso del gioco, a sceglierla liberamente. Cosi' come dichiara, per l'appunto, la regola 50. L'ultima che si legge nei numerosi articoli ormai apparsi sul tema: saltate da un edificio alto.
Prendetevi la vostra vita'.
Una suggestione 'drammatica' che vorrebbe 'trasformare il soggetto umano da soggetto impotente e passivo di fronte alla morte, a una sorta di eroica figura che sceglie il suo destino. Un'idea malata e perversa- commenta- che prende forma nella sottomissione progressiva alle regole del gioco. Regole che conducono, se seguite, a uno stato alterato e dissociato della mente indispensabile a compiere il gesto. Regole che, a ben vedere, si basano pero' e fanno leva sui temi piu' sensibili di ogni adolescente: - La sfida: entro nel gioco per dimostrare a me e agli altri che sono piu' forte io di chi mi dovrebbe comandare o condurre. Sono io che decido fino a dove e non altri per me come i supposti 'curatori del gioco'; - La trasgressione: faccio qualcosa di inusuale, proibito e pericoloso. So superare i comuni limiti; - Affrontare difficili prove di coraggio: il bisogno di misurarsi con il dolore, sia fisico, sia mentale, e di uscirne vittoriosi, e' un' esigenza fisiologica di questa eta''. I tagli per incidere la balena sul braccio, ad esempio, possono essere sia 'la sottomissione al volere altrui di una mente fragile- chiosa la studiosa- sia rispondere in qualche misura al bisogno piu' fisiologico di sottoporsi a una sorta di rito di passaggio, che rassicuri della propria capacita' di fare fronte al dolore e alla paura. Sentimenti che possono esser acuti in questa eta'; - Il bisogno di visibilita': immagini come quelle del braccio inciso con la balena piuttosto che di ragazzi sul cornicione, diffuse in rete, sicuramente contribuiscono a gratificare anche l'estremo bisogno di ogni adolescente di essere visibile e speciale ai propri occhi e a quelli del mondo intero. Cosa di piu' in tal senso di un gesto eroico e coraggioso, che rimarra' scolpito in modo indelebile nella mente di tutti noi? Allora che fare?- chiede Lo Vetere- come sempre in queste cose non ci sono ricette, ma qualche indicazione forse si': - Parlare con i ragazzi innanzitutto: per affrontare i temi descritti sopra e altri ancora, e' utilissimo partire da loro.
Farsi raccontare del gioco. Di che si tratta, cosa ne sanno e cosa ne pensano, da cosa sono colpiti. Farsi guidare dalle loro parole per confrontarsi sui temi descritti sopra ed altri ancora.
- Discutere con loro anche del fascino che la morte suscita da sempre, in ciascuno di noi. Del desiderio di conoscerla, di sfidarla e di dominarla. Tanto piu' in una societa' come la nostra dove sempre piu' rare sono le occasioni di vedere la morte nella sua realta' oggettiva, per esempio di un parente che passa i suoi ultimi giorni in casa. Quanti ragazzi hanno mai visto e toccato un corpo senza vita ? Manca allora non di rado una visione piu' vissuta della morte; spesso, chi ha avuto modo di sperimentarla, ben lontana dall'immaginario idealizzato, romantico-drammatico producibile in una mente priva di esperienza reale.
- Discutere con loro della figura che il gioco vorrebbe eroica di chi, dopo le prove, arriva, al gran finale: e' davvero un eroe? Sconfigge davvero la morte o alla fine si illude e vi rimane vittima, consegnandosi anzitempo? - Chiedersi con loro come pensano sia possibile sconfiggere la morte. Nessun uomo ha la risposta decisiva e unica. Forse quella che piu' si avvicina ha a che fare con la nostra capacita' di vivere appieno la nostra vita, l'unica vera possibilita' che abbiamo. Per farlo davvero, bisogna si' affrontare numerose prove. Diventare si' davvero, piu' coraggiosi, ogni giorno. In modo meno scenico dobbiamo imparare a farlo in tante piccole circostanze che la vita ci presenta. Forse proprio iniziando, stando al tema che abbiamo discusso, a chiedere aiuto agli adulti quando un compagno si vede in pericolo. Quando lo vediamo preso dal fascino di qualcosa che riteniamo malato, sbagliato e pericoloso come questo gioco. Avere il coraggio di essere lucidi per lui anche a costo di sentirsi magari impopolari o di temere di tradire la sua fiducia. Un coraggio meno scenico- conclude la psicoterapeuta- ma che aggiungera' davvero un tassello in piu' alla nostra forza e alla nostra fatica di crescere'.
(Wel/ Dire)