'13 Reasons Why', serie Netflix che spopola fra teeneger
Cosa pensare della protagonista? Articolo di Silvia Lo Vetere, psicoterapeuta
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 6 giu. - '13 Reasons Why', una serie tv che sta avendo molto successo fra gli adolescenti e che solleva anche negli adulti ineludibili e importanti domande. A mio avviso un serie discutibile dal punto di vista della sceneggiatura e della recitazione, ma con il gran pregio di mettere sul piatto temi scottanti come quelli del cyberbullismo, della violenza sessuale e del suicidio. In una eta' della vita, per certi aspetti la piu' bella, ma forse la piu' difficile quale e' l'adolescenza. Un buon punto di partenza insomma, a mio avviso, per discutere.
Hannah Baker e' un'adolescente di 17 anni, come tante altre; intelligente, carina, alle prese come tutti i coetanei con i turbamenti e le domande di un'eta' anche affascinante, ma non sempre facile. Arriva al suo primo appuntamento amoroso, piena di emozione e di attese. Il luogo, un piccolo parco giochi,le sembra magico; scherza, gioca, amoreggia, con il lui tanto desiderato, quando il ragazzo le scatta con il cellulare una foto , mentre scende dallo scivolo. Non sara' in quello scatto, solo la sua gioia a rimanere impressa, ma anche il suo slip.
Poco dopo la foto e' in rete.
La vergogna, piu' che comprensibilmente acuta, diventera' giorno per giorno sempre piu' grande. Lei si chiude, e diventera' via via oggetto di situazioni sempre piu' drammatiche, compresa quella di una violenza sessuale, fino ad arrivare al tragico epilogo in cui si toglie la vita. Siamo condotti a conoscere avvenimenti e personaggi, episodio dopo episodio, attraverso le cassette che Hannah lascia dopo la sua morte: un regalo a tutti coloro che sente maggiormente coinvolti e colpevoli nella sua decisione finale. Ma sono solo gli altri ad avere responsabilita', alcune peraltro gravissime, nei suoi confronti? Io credo di no. Credo piuttosto che insieme alle tredici cassette, ne andrebbe registrata una quattordicesima. Diciamo, una sorta di cassetta auto dedicata. Una cassetta che presenti insieme alle responsabilita' degli altri, alcune davvero inaccettabili, qualche domanda anche della protagonista su di se', su come Hannah si sia posta di fronte a situazioni indubbiamente difficili, ma non con un'unica strada da percorrere. Vorrei allora qui provare a dare qualche spunto per questa cassetta non registrata.
Hannah ci viene presentata come una normale adolescente. Con le domande e le incertezze della sua eta'. Nulla di lei ce la descrive come patologicamente depressa o in altro modo psicologicamente malata. La vediamo pero', sin dall'inizio, eternamente incerta, confusa, anche nell'attribuire la meritata importanza a quanto prova. Ci appare come sempre imballata, mai decisa fino in fondo a trovare strade, certo difficili e non immediate, ma possibili, di far sentire con forza ed efficacia, il suo piu' che giustificato grido di aiuto.
Le circostanze certo non la aiutano: la cotta iniziale per il ragazzo sbagliato, un ambiente scolastico molto difficile, l'etichetta di facile che i coetanei le 'appioppano' dopo la sua immagine in rete. Non e' semplice, tutt'altro, soprattutto per un'adolescente gia' alle prese con le tante domande su di se' e in quanto tale, particolarmente attento allo sguardo che suscita nel mondo. Lei pero' sceglie la strada del silenzio, da subito. Eppure c'e' piu' di uno spiraglio: pensiamo ad esempio a Clay, il ragazzo di cui si innamora davvero; alla ragazza punk, a Tony, il saggio. Fra gli adulti sicuramente ai suoi genitori: non perfetti come tutti, ma affettuosi, amorevoli e disponibili.
Non sceglie mai nessuno fino in fondo.
Sicuramente la blocca la vergogna, un'immagine di se' che ormai sente irrimediabilmente svilita, ma a mio avviso non solo. C'e' anche un mancato coraggio un po' eccessivo. Quello, proprio perche' le succedono cose ingiuste e via via piu' gravi, di trovare strade per non essere sola e dare voce e riscatto a quanto sente e subisce, a partire dall'episodio iniziale della foto. Non lo fa. Ci appare al contrario sempre incerta e imballata su tutto, quasi anche sulla giustizia di chiedere giustizia.
La seconda cosa che colpisce, osservando Hannah e' una sorta di pretesa di fondo che gli altri, solo loro, capiscano. Lo dicono le sue cassette: sicuramente le responsabilita' delle persone che cita ci sono, alcune gravissime. Con quel regalo post mortem punisce tutti a dovere. Ma lei e' stata in grado mai di capire chi lo meritava e che sarebbe stato in grado di apprezzare? Ad esempio Clay, che lascia nel mezzo della scena amorosa e che accusa poi di essersene andato. Certo, ha motivi piu' che validi per non fidarsi di nessuno, ma ancora una volta sembra fare di tutta l'erba un fascio e scegliere di non farsi capire. Quasi l'essere capita fosse una cosa, magica, dovuta e unilaterale. Una sorta di auto centratura, vista cosi', rimasta allora un po' troppo infantile; sulla quale riflettere se in qualche modo possa talvolta essere non solo di Hannah.
Il terzo aspetto che colpisce molto e' lo spazio nullo che si osserva rivolto ai suoi genitori. Come se non fosse stato mai presente nella sua mente che si', siamo responsabili di noi stessi e delle decisioni che prendiamo, ma lo siamo anche delle conseguenze su chi amiamo. Magari Hannah si sarebbe tolta la vita lo stesso. Quanto pero' ha potuto mettere a fuoco e tenere in considerazione oltre al suo dolore, anche quello, direi inaffrontabile, che avrebbe lasciato dietro di se'? Proprio a partire dai suoi genitori? Allora proprio su questa cassetta non scritta, dobbiamo riflettere. Sarebbe davvero interessante e a mio avviso molto utile che a scuola, a casa, nei luoghi di aggregazione la si potesse comporre e registrare insieme, adulti e ragazzi. I ragazzi perche' immedesimandosi nei vari personaggi e situazioni possano, aiutati nella discussione e nel confronto, diventare piu' consapevoli di se stessi, delle scelte possibili e delle conseguenze su se stessi e sugli altri delle decisioni. Spetta invece sicuramente a tutti noi adulti il compito di stare all'occhio. Di non banalizzare mai le emozioni dei nostri figli, ancor piu' se adolescenti. Questo pero' forse gia' cerchiamo di farlo al meglio.
A mio avviso e' indispensabile, ma non basta. L'educazione di questi ultimi decenni e' molto propensa a fare si' che i ragazzi se esprimano. Molto meno a insegnare loro anche e il piu' possibile precocemente, la gestione degli affetti, soprattutto di quelli difficili come possono essere la vergogna, il sentirsi umiliati, avere paura di esporsi e il non sentirsi capiti come si vorrebbe. Cose che nella vita e' capitato a tutti noi di sperimentare e di dovere imparare a farci i conti. Dobbiamo forse avere piu' in mente di educarli al coraggio di chiedere. Alla capacita' di scegliere i compagni di viaggio, al non aspettarsi che tutto venga da fuori. Anche a costo di non avere il consenso e il riconoscimento di tutti. Insegnare loro insomma, sempre di accertarsi di avere fatto abbastanza la propria parte nella vita. L'esatto contrario della resa.
(Wel/ Dire)
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