Alessandrini (psichiatra): In un setting di psicoterapia espressiva la persona schizofrenica spesso si blocca
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 17 gen. - 'Il teatro e' una forma di gioco e, come diceva Donald Winnicott, il gioco non e' una fuga dal mondo reale ma un modo per capire e vivere con piu' coscienza e autonomia la vita di ogni giorno.
Attraverso il teatro riusciamo a dare forma alla nostra realta' e alle nostre emozioni, potendo interpretare diversi personaggi e calarci in differenti situazioni, affrontando il reale e dando ad esso significato'. E' questo il valore della teatroterapia secondo Marco Alessandrini, psichiatra, psicoterapeuta e responsabile dell'Unita' Operativa Territoriale del Centro di Salute Mentale di Chieti.
Alessandrini ha scritto molti libri sulla 'follia'. 'Nella percezione comune la follia corrisponde in pratica alle psicosi, in particolare a quelle schizofreniche'. È tacciata come 'folle' la persona 'completamente fuori dal modo comune di essere, per cui non ritroviamo in lei i nostri stessi comportamenti, pensieri e le modalita' di entrare in relazione, anche affettiva, con gli altri. Questa e' la follia per eccellenza- chiarisce il professore di Psichiatria della Facolta' di Psicologia dell'Universita' di Chieti e di Tecnica Psicoanalitica presso l'Universita' dell'Aquila-, ma ci sono tante altre patologie, come i disturbi di personalita', dove l'aspetto piu' eclatante non e' tanto l'alterazione del pensiero quanto quella del comportamento. Nel senso che si manifestano i cosiddetti comportamenti antisociali'.
In una persona schizofrenica il lavoro con il teatro e' molto delicato. 'La persona schizofrenica gia' ha un fragile sentimento di esistere- continua il medico-, ha un'identita' molto precaria, sente di non 'essere', avverte in modo involontario e incontrollabile un'influenza persino sensoriale, somatica, oltre che di pensiero, da parte di tutti gli individui che incontra. Il teatro potrebbe quindi sembrare quasi dannoso, portando queste persone ad interpretare altri caratteri, smarrendo ancora di piu' un'identita' gia' tanto incerta. Invece non e' cosi'- rimarca Alessandrini-, l'impersonare un altro personaggio o il doversi calare in una storia diversa dalla propria spingera' la persona a dover esprimere degli elementi assolutamente propri. In questo 'gioco' riuscira' a trovare di piu' se stessa, o almeno a confrontarsi con l'assunzione di una diversa, piu' autonoma posizione soggettiva di fronte alle influenze degli altri o ai propri deliri e/o allucinazioni'.
Per i disturbi di personalita' il teatro e' piuttosto una forma di contenimento. 'La persona che vive questa patologia sente di poter incanalare diversamente i comportamenti violenti e/o antisociali nel momento in cui puo' esperire, attraverso il teatro, emozioni come la rabbia, l'angoscia e l'ipocondria. In questo modo puo' dare una forma alla rabbia e alla violenza ed evitare di ripeterle nella quotidianita''.
La recitazione, elemento centrale delle attivita' teatrali, e' un ulteriore aspetto terapeutico. 'La retorica, fin dai tempi antichi- aggiunge lo psicoanalista- e' l'arte di divenire consapevoli, sapendolo sfruttare, del potere che ha il linguaggio di far entrare in contatto le persone con le emozioni, e di gestire, di sfruttare questo contatto a scopi di comunicazione con gli altri ma anche di autoconoscenza. Bene, le modalita' di recitare, a teatro, sono in questo senso massimamente retoriche. E anche questo, nella teatroterapia, e' un importante mezzo da sfruttare per aiutare i pazienti a dare una forma, anzi una 'voce' precisa e consapevole ai loro vissuti, riuscendo cosi' a conoscerli, a gestirli e a trasmetterli'.
La teatroterapia non e' lo Psicodramma. 'La teatroterapia e' un lavoro tipico della tradizione anglosassone, molto legato alle dinamiche che si attivano all'interno di un gruppo di persone che cerca di mettere in piedi un'attivita' teatrale. Anche lo psicodramma e' realizzato in gruppo- continua lo psichiatra- ma e' molto piu' concentrato sullo scavo interiore di ogni singolo partecipante'.
Alessandrini e' molto interessato alle psicoterapie espressive nel trattamento dei disturbi mentali: 'Uso un mezzo di espressione artistica, che puo' essere ora plastico-figurativa (il colore, la pittura, la sabbia, le terre, l'argilla, la creta, ecc.), ora drammaturgica o di danza. Da anni mi dedico, in particolare, alle artiterapie a mediazione plastico-figurativa- aggiunge il professore- e cio' che mi colpisce, in queste forme espressive, e' il potere dinamico del lavoro di gruppo: piu' veloce rispetto ad una terapia individuale e con un'intensita' emotiva molto forte. Il mezzo espressivo e' legato alla sensorialita', all'immagine e alla fantasia. È sempre un linguaggio ma, saltando le parole, permette ad alcune persone di sentirsi maggiormente a proprio agio'.
Lo psichiatra di Chieti sfata pero' un immaginario facile: 'La capacita' di giocare e di usare le cose esterne - anche come specchio di noi stessi - rendendole oggetti 'paradossali', che rappresentano al tempo stesso noi e il mondo esterno, e' una fase necessaria dello sviluppo che tutti dobbiamo acquisire. Winnicott la chiamava area di gioco, area transizionale o area della creativita'. Quest'area di gioco ci appartiene, se non sapessimo giocare con la realta', immettendo in essa noi stessi pur pero' accettandola comunque come altra da noi, non sapremmo vivere.
Quindi- continua lo psicoanalista- Winnicott ci aiuta a capire che la persona schizofrenica e' tale anche perche' non ha sviluppato quest'area transizionale, oppure l'ha poco o per nulla sviluppata. In un setting di arteterapia e/o psicoterapia espressiva e' frequente che la persona schizofrenica risulti percio' impacciata e bloccata- fa sapere il professore-, non e' vero che e' piu' creativa, anzi e' molto frenata e impaurita.
Imparare a lasciarsi andare diventa quindi la prima cura, perche' aiuta a costruire dentro di se', e senza accorgersene, questo modo di essere, quest'area che manca alla persona per vivere nel mondo reale. Il gioco- ripete lo psichiatra- e' un modo per stare dentro al mondo reale in una reale posizione soggettiva, capace di accettare l'estraneo, l'altro ma in una modalita' personale e creativa, appunto creativamente soggettiva'.
I percorsi di psicoterapia espressiva sono, nel campo delle patologie mentali, sempre nuovi. 'Sperimentiamo tutti i giorni che ogni persona e' una storia a se'. L'idea classica per cui le malattie croniche siano destinate a durare per tutta la vita non e' vera- rassicura il medico-, spesso e' molto importante intervenire presto, per evitare al paziente di percorrere una strada troppo profonda dentro la malattia ed aiutarlo cosi' ad uscirne presto. Prima si interviene e meglio e''.
Alla base di ogni trattamento deve esserci pero' un approccio integrato: 'Le terapie espressive dovranno essere affiancate a un lavoro sul contesto sociale e familiare. Non possiamo mai pensare che una patologia come quella mentale sia indipendente dal contesto ambientale. Ci troviamo infatti a sciogliere alcuni nodi che emergono, ad esempio, tra i membri della famiglia, e che la malattia ha contribuito ad aggravare, creando conflitti interpersonali e anzi rafforzandosi contro di essi come modalita' per reagire ad essi. Inoltre, bisognera' lavorare per rendere queste persone autonome, aiutandole a vivere da sole o in appartamento con altri pazienti coetanei- prosegue lo psichiatra- dovremo inoltre cercare di dare loro un lavoro e quindi un ruolo sociale. Riuscire a mettere in piedi degli interventi integrati all'interno di un progetto 'tagliato' su ogni persona rende queste malattie tutt'altro che inguaribili. Forme di autonomia si raggiungono'.
Il docente universitario ha portato le psicoterapie espressive nel contesto pubblico: 'C'e' un pregiudizio tra i professionisti, mentre sono ben accolte a livello sociale. Abbiamo sviluppato dei gruppi misti dove si affiancano persone normali, comuni a persone con patologie mentali, per offrire a tutti uno spazio espressivo in cui scoprire il piacere del gioco e abbassare lo stigma sociale'. Le psicoterapie espressive non sono finalizzate ad un'esposizione artistica del lavoro dei pazienti. 'Il lavoro terapeutico non e' necessariamente artistico. Lo e', e molto, ma non come fine a se stante. Basaglia molti anni fa commento' un'esposizione dei lavori artistici eseguiti da pazienti con patologia mentale e disse: 'Queste opere non dicono nulla se non conosciamo la storia della persona che c'e' dietro. Abbiamo prima, in passato, cancellato le persone senza dargli la possibilita' di esprimersi, e ora le cancelliamo dandogli un ruolo di artisti'. Le sue parole volevano segnalare che in un contesto terapeutico e riabilitativo cio' che conta e' lavorare sull'arte, ma utilizzandola come mezzo per stare con la persona, inserendo il rapporto interumano in un'area di gioco e di intensita' e significativita' estetiche. L'arte come arte, sara' invece uno dei tanti possibili ruoli sociali- conclude Alessandrini- che un determinato paziente, e lui solo, potra' eventualmente scegliere in base ai suoi talenti, una volta che stara' meglio'.
(Wel/ Dire)