Damiani (Unicatt): Puntare su Programmi Comunita', no a risposte individuali
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 28 feb. - "I problemi della nutrizione del bambino, se vogliamo considerare l'obesita', possono essere visti come una reazione normale di persone normali a un ambiente anormale". E' una chiave di lettura diversa quella offerta alla Dire da Gianfranco Damiani, professore associato di Igiene dell'Universita' Cattolica del Sacro Cuore (Unicatt), intervistato sul tema delle cattive condotte alimentari nell'infanzia: "Gli aspetti individuali legati all'educazione o alla cultura del bambino, o della singola famiglia- afferma il docente- devono essere inseriti in un contesto piu' ampio, fatto di relazioni sociali, abitudini culturali, interessi industriali e commerciali, all'interno di un ambiente fisico, urbano e scolastico, costruito in un certo modo".
Ridurre l'interpretazione dei disturbi del comportamento alimentare, come l'obesita', "a una scarsa consapevolezza o incapacita' dei genitori di far assumere il giusto apporto calorico, piuttosto che di far 'muovere' il proprio figlio- spiega Damiani-, e' una interpretazione abbastanza limitata.
Esistono interventi individuali con caratteristiche educazionali, o psicocomportamentali, condotti sia sul bambino che sulla famiglia, ma questi vanno inseriti in uno scenario piu' ampio. La multiprofessionalita' e la multidisciplinarieta' sono elementi cardine- sottolinea il professore-, se non cerchiamo un'integrazione anche le iniziative apprezzabili potranno fallire. Agire esclusivamente sull'attivita' fisica o sulla ristorazione scolastica, o ancora agire seguendo esclusivamente i consigli del pediatra di libera scelta non sara' funzionale- avverte- perche' sebbene ognuno di questi interventi sia valido, rischia di naufragare se non esiste un concerto, un'armonica sinergia di approcci diversi. Da qui la possibilita' di trovare una soluzione, ai problemi come l'obesita' infantile, attraverso dei 'Programmi di Comunita''".
- Quali sono le caratteristiche dei Programmi di Comunita'? "Devono essere multilivello, multicomponenti, multisettoriali e basati su interventi realmente sostenibili in quel contesto di comunita'- chiarisce l'esperto- individuando le modalita' di coordinamento con cui mettere a sistema un potenziale rappresentato nella stessa area geografica da diversi stakeholder". Prima di tutto "dovranno essere coinvolti i vari attori comunitari: dagli operatori scolastici, ai familiari, ai pediatri di libera scelta e ai policy maker. Questi programmi devono rientrare all'interno di agende sostenute a livello delle policy, per non rimanere iniziative locali con ricadute parziali". Inoltre, "devono essere svolti in maniera comunitaria ma in setting differenti: case, ambulatori di assistenza primaria, ambulatori specialistici, aule, mense scolastiche, l'ambiente urbano (percorsi pedonali e piste ciclabili), mercati o altri luoghi di incontro. Devono essere multicomponenti per quanto riguarda la natura degli interventi- chiosa Damiani- ovvero possono essere educazionali, psicologici, possono prevedere la trasformazione degli ambienti fisici, possono definire delle policy scolastiche in cui si guardano a piu' aspetti (non solo ai contenuti didattici, ma anche ai servizi di ristorazione, agli spazi per l'attivita' fisica sia a scuola che nell'ambiente esterno)". La multisettorialita' si basa, infine, "su accordi tra il mondo della scuola, la sanita', l'agricoltura e i servizi industriali e/o commerciali, con stakeholder pubblici o privati".
Nessun programma funziona se non monitora in maniera sistematica i risultati che si sono ottenuti. "In questo modo il problema alimentare del bambino diventa un problema di Sanita' pubblica- aggiunge Damiani-, affrontato con lenti diverse rispetto a quelle microscopiche con cui ordinariamente si segue un approccio nei confronti del singolo bambino". Per il professore universitario "e' chiaro che alla base di questi progetti deve esistere un forte commitment politico, che non si traduca nella produzione di linee guida o raccomandazioni, ma che permetta ai tecnici localizzati a livello dei dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali di diventare una cabina di regia per la realizzazione di programmi cosi' articolati".
- Qual e' il ruolo delle famiglie in questi programmi? "Il controllo sociale- risponde Damiani- e per farlo devono uscire dall'isolamento del problema rappresentato nel loro singolo nucleo familiare. Possono agire al livello scolastico, in termini di rappresentanza, e svolgere un' azione di promozione per lo sviluppo di programmi integrati".
- Come coinvolgerli? "Rafforzando il binomio genitori-insegnanti- conclude-, che deve essere alla base di un intervento partecipato capace di far uscire queste problematiche da un approccio individuale mai esaustivo".
(Wel/ Dire)