(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 7 feb. - Stress da transculturazione e culture-bound syndromes, ma soprattutto emarginazione socioeconomica: per i migranti che arrivano in Italia non sono solo i disturbi post traumatici da stress l'unico rischio per la loro salute mentale. A preoccupare maggiormente gli esperti e' soprattutto la poverta' dovuta ad una mancata accoglienza nel paese ospitante. Del tema se n'e' parlato al convegno "Riprendersi" promosso e organizzato dalla Fondazione Internazionale Don Luigi Di Liegro e dalla Fondation d'Hancourt,in collaborazione con l'Inmp, l'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della poverta'.
La salute mentale dei migranti e' forse uno degli aspetti che maggiormente preoccupa il team dell'Inmp. "Lo stato di salute dei migranti e' generalmente buono- ha spiegato Concetta Mirisola, direttore generale dell'Inmp-: un viaggio cosi' terribile, che dura mesi o anni, da' la possibilita' soltanto a chi e' veramente forte di arrivare in Italia. Le persone che arrivano, inoltre, sono giovani uomini, minore e' il numero delle donne e dei bambini. Tuttavia spesso sono persone che hanno subito un trauma, quello del viaggio, lungo il deserto, attraverso le carceri libiche e le violenze. Ma c'e' la voglia di vivere e di arrivare in un posto che possa dare possibilita' di una fuga da torture e violenze e una rinascita".
Oltre alla sede di Trastevere, l'Istituto opera anche a Lampedusa e a Trapani, con 20 mila pazienti l'anno, circa 60 mila prestazioni l'anno e ben 350 mila negli ultimi 5 anni. "I disturbi post traumatici da stress sono i piu' frequenti- ha raccontato Mirisola-, altrimenti non ci sarebbero grosse malattie. Ci sono quelle legate al viaggio, come i disturbi dell'apparato respiratorio, oppure legati alla promiscuita', come la scabbia. Il 60 per cento delle persone che arriva ce l'ha, ma bastano trattamenti clinici per alcuni giorni e il problema e' risolto". I rischi per la salute mentale, pero', non terminano una volta arrivati in Italia. "Si tratta di persone da tutelare -ha aggiunto Massimiliano Aragona, dell'Inmp- perche' le complesse condizioni di vita in cui vengono a trovarsi fanno si' che quel patrimonio di salute mentale possa depauperarsi". Con il consolidarsi del fenomeno migratorio nel nostro paese, pero', lo spettro di quelle che sono le patologie di salute mentale e' diventato in qualche modo piu' variegato e piu' diffuso. "Non e' piu' una cosa per soli esperti di immigrazione- ha spiegato Aragona-, ma un fenomeno tale per cui ci dobbiamo attrezzare tutti. Con i tassi di natalita' sempre piu' bassi tra gli italiani e sostenuti tra i migranti, a seconda che lavoriate nel Centro di igiene mentale nel centro di Roma o in periferia, su dieci pazienti tre saranno immigrati".
Le tipologie di pazienti immigrati, inoltre, possono essere anch'esse molto varie. "Abbiamo i migranti di vecchia data arrivati per motivi economici- racconta Aragona-. Poi ci i figli dei residenti che sono nati all'estero, che hanno una cultura prevalentemente italiana e si trovano quindi tra due culture, quella dei propri genitori e quella dei compagni di scuola. Se si considera poi che i migranti vivono maggiormente nelle periferie e che per ottenere lo stesso reddito degli italiani devono lavorare di piu', non sono esclusi ulteriori rischi per la salute mentale di cui il sistema sanitario si deve occupare. Poi ci sono gli irregolari, i detenuti, i transitanti, fino ai richiedenti protezione internazionale e a quel fenomeno che sta diventando sempre piu' importante di una serie di migranti irregolari che avevano chiesto la protezione ma non gli e' stata accordata, finendo cosi' per strada in una situazione di irregolarita'.
Dobbiamo prepararci a diverse esigenze dal punto di vista della salute mentale". Tra le principali problematiche, ha aggiunto Aragona, c'e' innanzitutto quello che viene definito stress da transculturazione. "Appena arriva, l'immigrato e' sotto pressione dal punto di vista psicologico perche' non solo deve apprendere nuova lingua- ha aggiunto Aragona-, ma deve adattarsi a nuovi parametri di comportamento. Parte da una situazione sociale svantaggiata. Poi ci sono le culture-bound syndromes, sindromi peculiari dei migranti legate alla cultura di provenienza che fa si' che anche il modo di esprimere la sofferenza sia tipicamente codificata dal proprio sistema culturale. Poi ci sono le interpretazioni culturali dei sintomi". Tante, quindi, le insidie, ma se c'e' un modo per prevenire parte delle problematiche che insorgono durante la permanenza nel paese d'arrivo, di sicuro e' la buona integrazione. "Le difficolta' post migratorie sono un fattore di rischio significativo- ha aggiunto Aragona-. Ci sono tantissimi studi che lo confermano.
C'e' la paura di essere rimpatriati, la noia, il fatto che queste persone rimangono in attesa per mesi o anni di una risposta sul loro diritto di rimanere o se devono passare il resto della vita nell'ombra. E poi la preoccupazione per i familiari a casa.
Alcuni studi, pero', ci dicono anche che le persone accolte e supportate in questo percorso sono quelle che si integrano, trovano un lavoro e stanno bene. Le persone che vengono messe in condizione di detenzione, a cui viene dato un permesso di soggiorno sempre troppo breve e che non da' la possibilita' di progettare un futuro, sono quelle che dopo due anni stanno male e non si sono integrate".
(Wel/ Dire)