Dopo 4 anni di progetto evolutivo Tartaruga 31 bambini su 80 sono fuori dalla diagnosi
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 25 ott. - 'Comunicare le basi teoriche che animano il nostro approccio'. È stato questo l'obiettivo di Magda Di Renzo, responsabile del servizio Terapie dell'Istituto di Ortofonologia (IdO), che ha aperto a Roma la seconda giornata di convegno nazionale (il 22 ottobre) sul tema 'Autismo: un progetto italiano per la terapia dei bambini'.
La definizione dei disturbi dello spettro autistico 'ha avuto un cambiamento con il DSM 5 che ci permette una maggiore dimensionalita': viene chiesta la specifica dei vari livelli di gravita' e delle singole funzioni. Se applicata questa novita' renderebbe reale la possibilita' di avere una differenziazione dei bambini- afferma la psicoterapeuta dell'eta' evolutiva-, altrimenti il rischio e' di aver unicamente allargato la maglia'.
Nell'autismo 'le contrapposizioni tra l'approccio comportamentale e quello evolutivo non devono esistere. Noi preferiamo un mondo con le 'E' a un mondo con le 'O', perche' la complessita' richiede la capacita' di mettere insieme. È proprio il rispetto della complessita'- sottolinea la psicoterapeuta- che dovrebbe portarci fuori dalle contrapposizioni, che sono spesso la conseguenza della mancata conoscenza delle determinanti teoriche che animano gli approcci e che si basano sui pregiudizi'.
Per confrontare e non contrapporre l'approccio comportamentale e quello evolutivo 'bisogna comprendere allora le differenze epistemologiche delle teorie di riferimento. Esistono certamente delle differenze concettuali su come viene costruita la mente e su come si interviene per favorirne il suo sviluppo. In questo ambito- prosegue Di Renzo- viene data diversa importanza alla dimensione affettiva nel facilitare o promuovere lo sviluppo cognitivo. Possiamo dire che mentre in un approccio evolutivo e' la dimensione affettiva che porta con se' l'evoluzione cognitiva, considerando le due dimensioni interdipendenti. Nell'approccio comportamentale le due funzioni sono considerate indipendenti'.
La differenza sta quindi nei mezzi che vengono utilizzati: 'La terapia comportamentale lavora sulla dimensione cognitiva per modificare l'assetto cognitivo- spiega la psicoterapeuta-, nell'approccio evolutivo si lavora invece sulla dimensione affettiva per modificare l'assetto cognitivo. Questo per ribadire che entrambi gli approcci lavorano per migliorare l'assetto cognitivo del bambino, poiche' l'obiettivo di ogni terapia e' promuovere l'adattamento'.
Magda Di Renzo, responsabile del servizio Terapie dell'IdO, sostiene la necessita' 'che ogni centro di terapia cerchi di chiarire con trasparenza come lavora, affinche' le famiglie possano orientarsi nella giungla della riabilitazione'.
L'Istituto di Ortofonologia ha privilegiato l'approccio evolutivo in sintonia con le 'ultime teorie dello sviluppo (suffragate dalle neuroscienze), che sottolineano la centralita' della dimensione affettiva come impalcatura per tutte le successive evoluzioni (cognitive, socialià). Poiche' l'arresto dello sviluppo nel bambino autistico avviene nel primo anno e tutti i deficit sono conseguenti a una mancata sintonizzazione- ricorda la psicoanalista-, riteniamo indispensabile partire da la''.
Esistono dei pregiudizi sull'approccio evolutivo che hanno creato confusione: 'In primis l'aver identificato l'approccio evolutivo con la colpevolizzazione delle madri. Noi invece partiamo dal presupposto che rapportarsi con un bambino autistico e' difficilissimo- chiarisce-. Queste madri non riescono a sintonizzarsi con i loro figli, poiche' questi bambini parlano un linguaggio altro e non attivano fin dall'inizio la responsivita' materna'.
Un altro pregiudizio secondo Di Renzo e' 'ritenere che una causa genetica richieda necessariamente una terapia comportamentale, o ancora l'identificare la psicoterapia solo come 'talking cure'. Il nostro e' invece un approccio evolutivo psicodinamico che utilizza la dimensione corporea come principale strumento della terapia'. Inoltre, 'la confusione tra eziopatogenesi e fenomenologia del disturbo autistico ha fatto perdere per anni (in un'ottica di contrapposizione) le straordinarie conoscenze emerse in ambito psicoanalitico, che ora le recenti teorie cognitive e neuroscientifiche stanno dimostrando'.
La psicoterapeuta sottolinea la necessita' di avere 'codici interpretativi per comprendere le principali difficolta' che si manifestano nell'autismo (assenza di indicazione; assenza di empatia; poverta' di comportamenti sociali; importante alterazione o assenza di linguaggio; significativa rigidita' corporea; rigidita' cognitiva). E per integrare i vari ambiti bisogna conoscere la fenomenologia del disturbo. Donald Meltzer, psichiatra e psicoanalista statunitense, aveva gia' parlato di 'sensorialita' smontate', per indicare che i vari sensi, sia pur integri, non sono integrati. Questo e' il grande problema che non permette le connessioni', precisa la responsabile dell'IdO.
Michael Fordham, analista junghiano inglese, ha affermato nel 1976 che il bambino autistico risponde 'alle frustrazioni attivando delle difese del Se'. Non deve proteggersi da oggetti esterni ne' interni (inesistenti) ma da oggetti non-Se''. Il bambino erige quindi una barriera 'prima ancora di creare un mondo interno e prima ancora che possa esserci un rapporto con l'esterno. Questo- sottolinea Di Renzo- e' un qualcosa di profondamente arcaico, che ci porta a sfatare tutte le idee romantiche intorno al disturbo per vedere invece i bambini reali'.
Nell'autismo, ricorda sempre Fordham, 'l'incontro con le esperienze del mondo e' interferito ed e' possibile che lo stimolo sia confuso con parti del corpo stimolando una reazione auto-immune'. Tutte queste riflessioni 'saranno poi confermate dalle neuroscienze. Il grande contributo che Antonio Damasio ha dato nelle neuroscienze- precisa la psicoterapeuta- e' stato proprio quello di permettere di capire il corpo come strumento di terapia. Nel 2012 le neuroscienze hanno messo in evidenza che i sentimenti primordiali precedono tutti gli altri e alimentano l'interazione con gli oggetti: si riferiscono al corpo vivo connesso al suo specifico tronco encefalico- aggiunge la psicoanalista- che non e' un luogo di transito ma un luogo decisionale. Noi ci fermiamo in questo luogo per portare il bambino autistico oltre, in quanto i sentimenti primordiali che appartengono al corpo permettono le sintonizzazioni'. Sempre le neuroscienze 'hanno sottolineato che la conoscenza che rende cosciente la nostra mente, deve essere costruita secondo una modalita' bottom-up: dal basso verso l'altro, dal corpo alla mente'.
In base alle precedenti premesse teoriche, 'il nostro approccio terapeutico si colloca in queste aree arcaiche del corpo per aiutare il bambino a interagire con gli oggetti e con l'altro- continua Di Renzo-, a sintonizzarsi partendo da quella stazione decisionale dove abitano i sentimenti primordiali. È necessario dunque partire dagli affetti per sintonizzarsi con i bisogni del bambino'.
Tutti gli psicoterapeuti e operatori dell'IdO 'sono formati in senso psicodinamica perche' bisogna avere la capacita' di sentire al posto del bambino, contenendo la sua profonda frustrazione nel non riuscire ad integrarsi. Il punto di partenza e' sempre il corpo come sede di 'sentimenti primordiali' che devono essere accolti, decifrati ed elaborati dalla mente del terapeuta. Ripeto che si deve partire dal bambino e non dai suoi sintomi per garantirgli il diritto all'infanzia. In quest'ottica- ricorda la responsabile del servizio Terapie dell'IdO- la dimensione ludica caratterizza tutti i nostri interventi affinche' il piacere e la motivazione siano i veri attivatori delle funzioni cognitive'. Il lavoro con i genitori 'e' fondamentale nel progetto terapeutico dell'IdO ed e' finalizzato a sostenerli nel difficile compito di sintonizzarsi con un bambino che non e' predisposto a farlo".
Dieci anni fa l'Istituto ha sistematizzato il suo approccio evolutivo italiano basato sulla relazione, che ha chiamato progetto Tartaruga per indicare proprio che va piano ma lontano. 'Questi bambini a volte ci mettono tempi lunghi per migliorare ma migliorano tutti. Abbiamo monitorato per quattro anni un gruppo di 80 minori dai 4 ai 7 anni per vedere come procedeva la loro evoluzione con questo trattamento, e quindi valutarne l'efficacia. È stato possibile osservare una riduzione del numero di diagnosi di autismo basate sui punteggi ADOS (il golden standard per la diagnosi del disturbo) gia' a 2 e a 4 anni di distanza dall'inizio del trattamento', fa sapere Di Renzo.
C'e' stata quindi una 'significativa riduzione di sintomatologia in tutte le aree valutate: linguaggio e comunicazione, interazione sociale reciproca, gioco e comportamenti ristretti e ripetitivi, e- precisa la psicoterapeuta- progressivi miglioramenti anche del Quoziente Intellettivo nell'intero campione (valutato con il test Leiter-R)'.
Ecco i risultati: dopo 2 anni di terapia 19 bambini su 80 sono usciti dalla classificazione diagnostica di autismo. Dopo 4 anni, 31 bambini su 80 (38.7%) sono usciti dalla classificazione diagnostica di autismo e di questi 31 bambini 13 erano del gruppo dello spettro autistico (16 in totale) e 18 del gruppo autismo (64 in totale). Infine, 14 bambini sono passati dalla condizione di autismo a quella di spettro.
Di Renzo conclude con un'ultima riflessione sul gioco stereotipato e sul gioco simbolico: 'Nei bambini autistici il gioco stereotipato si e' manifestato nel 78% dei casi, mentre in quelli dello spettro solo nel 6%. Si assiste ad una riduzione del gioco stereotipato in un numero crescente di bambini autistici gia' dopo due anni di terapia. Inoltre nei bambini dello spettro il gioco funzionale diminuisce perche' inizia quello simbolico. Quest'ultima tipologia di gioco emerge nei bambini autistici solo dopo 4 anni di terapia, mentre si stabilizza nei minori dello spettro'.
(Wel/ Dire)