(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 29 nov. - Senza patria, senza diritti e troppo spesso senza accesso ad alcuni servizi basilari. Sono 10 milioni, secondo le stime, gli apolidi nel mondo, 600 mila in Europa e 15 mila solo in Italia. Un esercito di persone che non vengono considerate come cittadini da nessuno stato. La maggior parte proviene da nazioni che non esistono piu' come la ex Jugoslavia, ma anche da Palestina, Tibet, Eritrea e dai paesi dell'ex Urss. In Italia la maggior parte degli apolidi sono rom e sinti, spesso figli di persone che si sono trasferite dalla Jugoslavia negli anni '90. Proprio le seconde e terze generazioni, i figli cioe' di apolidi non riconosciuti, pagano le conseguenze peggiori di questa situazione: pur essendo nati e cresciuti qui, infatti, non hanno uno status, come irregolari non possono ottenere una cittadinanza e spesso neanche godere di diritti fondamentali. Per riaccendere i riflettori su un tema poco conosciuto (e poco considerato) nel nostro paese, e che tocca soprattutto i minori il Cir ha organizzato una tavola rotonda a Roma, a cui hanno partecipato le piu' grandi organizzazioni che lavorano sulla tutela dei diritti umani, come A Buon diritto, Unhcr, Ens, Asgi, Associazione 21 luglio e Sant'Egidio.
Il disegno di legge sull'apolidia fermo da un anno in Senato. Nel nostro paese una legge organica sul tema non esiste. Per essere riconosciute come apolidi le persone 'senza patria' possono percorrere due strade: quella amministrativa, che prevede requisiti molto precisi come il certificato di nascita, il permesso di soggiorno, la residenza dimostrabile, e quella giudiziale che viene piu' usata perche' piu' meno restrittiva rispetto ai requisiti, ma che puo' essere anche molto onerosa, dal momento che prevede il ricorso a un legale. Per ovviare a questa situazione a novembre 2015 e' stato presentato al Senato un disegno di legge. L'obiettivo del provvedimento, che ha come primo firmatario il presidente Diritti umani Luigi Manconi ed e' stato promosso insieme al Cir, e' di mettere ordine nella disciplina e semplifica la procedura per il riconoscimento dello status. Attualmente, infatti, la doppia procedura crea disparita' di trattamento, lungaggini burocratiche e diverse criticita', come spiega Daniela Di Rado del Consiglio italiano per i rifugiati: 'Le persone spesso continuano a rimanere nell'irregolarita' per anni in attesa di avere lo status. Una legge ad hoc consentirebbe, invece, a chiunque si trovi in questa situazione di poter accedere a una procedura di riconoscimento dello status di apolidia, allegando la documentazione prevista, ma non precludendo da subito la possibilita' del procedimento. Oggi per accedere alla procedura amministrativa, infatti, una persona deve gia' avere un permesso di soggiorno -aggiunge-. Nel futuro potrebbe ottenerlo quando fa una richiesta apposita come avviene per la procedura di protezione internazionale. A volte gia' si fa discrezionalmente, col disegno di legge sarebbe norma dello Stato' aggiunge Di Rado.
Il problema dei minori e i costi sociali di una legge che non c'e'. Oltre a questo, c'e' il problema dei minori a cui possono essere preclusi diritti come l'accesso all'assistenza sanitaria (perche' le famiglie sono riluttanti a farli curare per paura di essere segnalate alle autorita'), ma puo' essere difficile anche l'iscrizione a scuola o riuscire ad ottenere i servizi di previdenza sociale e l'alloggio. Spiega ancora l'esperta del Cir: 'Oggi per i bambini e' possibile accedere alla cittadinanza, tramite ius soli, al diciottesimo anno di eta' (in base alla legge 91/92, ndr) solo se sono nati da genitori riconosciuti apolidi de iure. Nei fatti, pero', soprattutto nella comunita' rom molti bambini nascono da genitori non riconosciuti apolidi legalmente, quindi i figli non sono eleggibili come cittadini. Restano, invece, in una sorta di limbo giuridico'.
Aurora Sordini, avvocata dell'associazione 21 luglio ha seguito diversi casi come questi: 'Parliamo di persone che non hanno diritto alla cittadinanza e a tutti i diritti a essa connessi, persone cioe' che sono invisibili davanti alla legge. Per noi seguirli e' una missione sociale- spiega- perche' ogni caso che si risolve vuole dire dare un futuro e una speranza a una famiglia. Soprattutto i bambini, se i genitori sono irregolari- aggiunge- vivono in una situazione deteriore rispetto all'adulto, in quanto non hanno accesso ai servizi scolastici di qualita' o ai servizi sanitari, ma hanno anche difficolta' di integrazione perche' costretti in spazi segreganti e lontani dalle citta' come i campi rom'.
Tra i casi emblematici racconta quello di una ragazza che ha una procedura in corso per il riconoscimento dell'apolidia.
'Questa ragazza aveva ottenuto un permesso di attesa apolidia e con questo, tramite una borsa lavoro, aveva trovato un'occupazione. Ma allo scadere del permesso si e' recata in questura e il rinnovo le e' stato negato, cosi' ha perso il lavoro e di conseguenza i suoi bambini non hanno un permesso di soggiorno- aggiunge-. Le persone diventano irregolari, e' un annullamento del diritto'.
Troppa discrezionalita': 'la situazione va sanata nell'interesse di tutti'. In alcuni casi le persone fanno ricorso al permesso umanitario, ma la concessione e' rimessa alla discrezionalita' delle questure. 'Questa discrezionalita' e' usata spesso in maniera positiva- sottolinea il prefetto Angelo Di Caprio, direttore centrale per i Diritti civili, la Cittidinanza e le minoranze per il ministero dell'Interno- ma rimane il problema della carenza normativa, su cui invece interverrebbe il ddl. Purtroppo oggi una prassi omogenea tra le questure non c'e''. Anche secondo il prefetto Riccardo Compagnucci, consulente della Commissione diritti umani : 'L'intervento discrezionale e' sempre sul caso singolo, e di per se', dunque, discriminatorio, anche se positivo- spiega- questa materia non puo' essere lasciata alla sensibilita' del singolo funzionario o alla lungimiranza di un giudice bravo. Il disegno di legge cerca di rompere questo meccanismo, pur mantenendo le due strade. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di un intervento normativo schizofrenico, o quanto meno bipolare, perche' la convenzione 61 che abbiamo ratificato dopo 50 anni, ci chiede di superare l'apolidia, mentre la legge ha l'obiettivo di facilitare l'acquisizione di questo status. In realta' non e' cosi', perche' oggi abbiamo il problema giudiziario e amministrativo di risolvere tutta una serie di casi e sanare una situazione che non abbiamo affrontato quando dovevamo affrontarla'.
In particolare, Compagnucci, ricorda che 'non si tratta di un atto di bonta', perche' sanare la situazione e' nell'interesse della societa'. Anche nei casi di reati gravi e' piu' facile avere giustizia davanti a qualcuno che e' legalmente riconosciuto, anziche' a qualcuno che per lo stato non esiste'. Come Compagnucci anche le associazioni sperano che il disegno di legge veda la luce, anche se dopo un anno non ha compiuto neanche un passo in Senato. L'alternativa potrebbe essere quella di inserire un emendamento sull'apolidia nel disegno di legge sulla riforma della cittadinanza, approvato alla Camera e ora in discussione al Senato.
Non chiamateli 'invisibili'. La Comunita' di Sant'Egidio si e' occupata spesso del tema, soprattutto nel caso dei rom e sinti. 'Bisogna tener conto che siamo di fronte a una situazione anomala- sottolinea Paolo Ciani -. La vicenda dei rom senza status giuridico riguarda un numero limitato di persone, ma allo stesso tempo c'e' una sovraesposizione del tema a livello di opinione pubblica. Spesso parliamo di queste persone come invisibili, ma si tratta di bambini nati nei nostri ospedali, iscritti nelle nostre scuole, registrati nei nostri campi rom. Il loro problema non e' certo la loro visibilita' ma lo status giuridico che non hanno, per il resto sono visibilissimi da anni'. Per richiamare l'attenzione sul problema che coinvolge 600mila persone in Ue, 50 organizzazioni della societa' civile, riunite nell'European network on statelessness( Ens) hanno consegnato una petizione ai parlamentari europei. 'Quello che chiediamo agli stati e' di adottare le convenzioni del 54 e del 61, di rendere accessibile e facile la registrazione delle nascite e di mettere in pratica tutta una serie di tutele per concedere la cittadinanza ai bambini nati sul territorio, che altrimenti sarebbe apolidi- spiega Martina Bezzini di Ens-.
L'obiettivo finale e' porre fine all'apolidia e quindi fare in modo che tutti possano avere accesso a diritti fondamentali come la salute e all'istruzione'. Anche l'Unhcr ha lanciato una campagna sul tema dal titolo 'I belong'. 'Si tratta di una campagna globale per porre fine apolidia entro 10 anni- conclude Enrico Guida-. Per farlo si prevede un piano in 10 azioni che, se implementate, permetteranno la definitiva eliminazione entro il 2024'.
(Wel/ Dire)