Lucidi (La Sapienza): Vogliamo dimostrare che correre e' un piacere, non uno stress
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 15 mar. - Rendere lo sport un sistema di promozione dei diritti di cittadinanza e un grande veicolo di benessere non e' una fantasia. L'obiettivo sara' realmente perseguito il 10 aprile da 35 partecipanti preparati, assolutamente non maratoneti, nell'ambito della 'Maratona evoluta' di Roma. L'iniziativa sara' presentata nella Capitale martedi' 15 marzo alle 11.45 in via dei Marzi 78, da Fabio Lucidi, professore di Psicologia dello Sport del dipartimenti di Psicologia dei processi di Sviluppo e Socializzazione (Facolta' di Medicina e Psicologia dell'Universita' La Sapienza).
"Abbiamo immaginato, in collaborazione con la Acea Maratona di Roma, la Regione Lazio, il gruppo sportivo della Forestale, archeologi e storici dell'arte- racconta alla DIRE lo psicologo dello Sport- un'idea di maratona del tutto diversa: tratti di corsa in una citta' in festa intervallati da momenti di riflessione con se stessi e il luogo circostante".
I partecipanti correranno con molta lentezza e ogni 5 km interromperanno la loro corsa per camminare. "In queste parti camminate incontreranno, fuori gara, storici dell'arte che racconteranno le peculiarita' del percorso; i biologi che spiegheranno cosa succede nell'organismo umano che affronta un tragitto cosi' lungo; i cardiologi che parleranno dei benefici della corsa per il cuore; grandi atleti che accompagneranno questa corsa all'interno di una narrazione che riporta tale cammino nello spazio dello sport". Questa 'gara' sara' accompagnata anche da una sperimentazione: "Misureremo psicologicamente e fisiologicamente lo spazio complessivo di adattamento allo stress di queste persone, prima e dopo la maratona- fa sapere il docente- per dimostrare che affrontare la corsa in tal modo non comporta uno stress importante per l'organismo".
- Quale falsa convinzione volete sradicare? "Vi e' una narrazione intorno alla maratona che la riporta come un'impresa estrema- ricorda il professore- Filippide e' il mito di un uomo che corre per 42 km e 195 metri e conclude la sua esperienza in modo drammatico, testimoniando da una parte la capacita' umana di percorrere una lunghissima distanza e dall'altro la dimensione estrema di tale impresa. Un mito- continua Lucidi- per certi versi incompatibile con quanto oggi sappiamo dell'evoluzione umana, che passa per la capacita' dell'uomo di sopportare con tranquillita', e meglio di qualsiasi altro animale, lunghissime distanze. Per questo motivo e' possibile trasformare la maratona in una dimensione di salute e non di esaurimento fisico- afferma Lucidi- di grande conquista di risorse e conoscenza di se stessi e non di esaurimento mentale e stress, anche perche' e' consistente nel mondo il numero di persone che arriva a correre le 5/6 ore delle maratone importanti".
- Parlando di atleti, quanto influiscono l'aspetto psicologico e la motivazione sulla prestazione? "Stabilire delle percentuali all'interno di una dinamica complessa come una prestazione di altissimo livello e' nei fatti un'operazione impossibile. Nessuno puo' dire quanto influiscono in percentuale le caratteristiche di base dell'atleta, il suo rapporto con l'allenatore e i fattori mentali. Certamente- fa sapere l'esperto- la prestazione mette insieme diverse componenti, tra cui il livello di preparazione mentale che fa riferimento a due diversi aspetti: le componenti cognitive (abilita' attentive, percettive, sociali) e le caratteristiche personali che permetteranno di sostenere il livello complessivo dell'impegno. Si sostiene che per riuscire ad apprendere correttamente un gesto tecnico fino al livello della prestazione ideale- aggiunge Lucidi- occorrono circa 10 mila ore di preparazione. Ed e' evidente che bisogna essere adeguatamente motivati, sostenuti, avere l'approccio adeguato e le caratteristiche di resilienza adatte per sostenere queste 10 mila ore".
Esiste pero' un terzo sistema di lavoro, quello strettamente preparatorio al momento della competizione piu' importante. "In quel lavoro di 10 mila ore, un atleta, insieme all'allenatore, ha costruito quella che potremmo definire una prestazione potenziale- chiarisce lo psicologo- cio' che e' necessario e' che quella sua prestazione potenziale ideale venga messa in azione nel momento giusto. Su questo momento si esercitano ampi e complessi sistemi di pressione sociale, aspettative e ansie che possono determinare il cocking: una situazione in cui l'atleta non riesce a mettere in campo il sistema di risorse necessarie per fare cio' per cui si e' preparato. In questi casi, si forniscono agli atleti dei sistemi di abilita' e strategie mentali per riuscire a resistere a quel livello di pressione. È un lavoro complesso e non esiste la ricettina semplice- afferma lo psicologo- richiede lo sviluppo di abilita', di strategie e tecniche che permetteranno all'atleta di eliminare gli ostacoli all'erogazione della sua migliore prestazione possibile al momento piu' opportuno possibile".
- Quali caratteristiche di personalita'/psicologiche deve avere un buon allenatore? "Gli psicologi lavorano molto sull'orientamento motivazionale (o clima motivazionale)- chiarisce l'esperto- e' una sottile sfumatura che deve caratterizzare il sistema di rapporti". Esistono due tipi di possibilita' per ottenere un obiettivo sportivo: "Il fare meglio degli altri, e quindi l'obiettivo e' batterli. Oppure puntare ad avere degli indicatori che ci aiutino a comprendere se stiamo migliorando sempre di piu'. Nel primo caso parliamo di un agonismo non corretto che vede gli altri come competitori. Nel secondo caso gli altri sono dei cooperatori a questo sforzo di raggiungere un risultato di eccellenza. Il problema- spiega il professore de La Sapienza- e' avere un feed back dall'allenatore sull'eventuale miglioramento. Questo e' un esempio cruciale del modo di inquadrare un sistema sportivo in una dinamica evolutiva".
- Qual e' allora il ruolo dello psicologo? "Come nella scuola il rapporto privilegiato e' quello tra insegnante/educatore e bambino, cosi' nello sport il rapporto principale e' quello tra l'allenatore e l'atleta/sportivo. Questo e' chiaro- ricorda Lucidi- ed e' particolarmente chiaro agli psicologi che conoscono il mondo dello sport. Uno psicologo che lavora adeguatamente in quel mondo e' al servizio del miglioramento di quel rapporto: lavora con l'allenatore per fargli raggiungere gli obiettivi identificati insieme agli atleti, sviluppando strategie corrette, sistemi di comunicazione e trasmissione all'interno del piano generale del rapporto con l'atleta".
- Quali differenze ci sono nella Psicologia tra gli sport individuali e di squadra? "Ci sono degli aspetti e delle tecniche specifiche degli sport di squadra, ma sono tutte parte della medesima disciplina che e' la Psicologia- risponde Lucidi- non esiste l'atleta monade che non interagisce con contesti organizzativi, gruppi sportivi, le federazioni e contesti sociali. Sia chiaro, quindi, che non esiste una Psicologia dello sport, ma una Psicologia che poi si applica al mondo dello sport. Non esiste, inoltre, una Psicologia dello sport individuale o di squadra, ma esiste una disciplina psicologica che va declinata nei contesti in cui si applica. È evidente- conclude- che nel contesto di una squadra emergano problemi e dinamiche spesso diverse rispetto a quelle proprie di una disciplina individuale, ma i rapporti sociali sono alla base di entrambe".
(Wel/ Dire)