Associazioni, istituzioni, tribunale: la "catena" del soccorso delle mamme maltrattate
L'anno scorso a Torino soccorse 495 madri e quasi 600 bambini
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 31 mag. - Una filiera che conta ben quaranta strutture d'accoglienza e 29 diversi attori, tra Tribunale, fondazioni, pubblica amministrazione ed enti del privato sociale. Il cui terminale d'accesso e' una linea telefonica che si occupa in via esclusiva di assistere le madri maltrattate con figli minori a carico.
Cosi' a Torino si combattono violenza e fragilita' di genere. Nel contrasto di simili fenomeni, il call center "Madre-bambino" e' oggi una delle piu' consolidate realta' a livello nazionale: nata nel 2009 grazie a un'intesa tra Comune e gruppo di volontariato vincenziano, soltanto l'anno scorso la linea ha condotto alla presa in carico di 495 madri e quasi 600 minori da parte di comunita' e strutture d'accoglienza. Numeri che, se da un lato confortano circa la prontezza dei riflessi delle istituzioni, indicano al contempo come la violenza familiare e di genere "continui ad essere un serio problema nel nostro paese", come spiega suor Angela Pozzoli, che da sempre nel capoluogo sabaudo tiene le redini del Volontariato vincenziano.
Ieri mattina, la religiosa era presente al rinnovo di un'intesa che dal 1989 ha portato la pubblica amministrazione e gli enti del volontariato sabaudo a coordinarsi per soccorrere le madri da situazioni di maltrattamento e fragilita' sociale. Fu in quell'anno che suor Angela prese a incontrarsi a cadenza mensile con le responsabili delle comunita' gestite dalla Provincia di Torino, discutendo di un'eventuale unione di forze tra quanti, nel pubblico e nel privato, si occupavano di madri con minori a carico: col tempo, oltre a Comune e Provincia, a quelle riunioni presero a partecipare rappresentati del Tribunale, dei Servizi sociali interni agli ospedali e dell'associazionismo cittadino. La formalizzazione di un accordo vero e proprio arrivera' dieci anni dopo, il 16 novembre del 1999: quel giorno nasceva ufficialmente il coordinamento "Madre-bambino", che a Torino ha messo in moto una vera e propria "catena di montaggio" per il contrasto alla violenza e la tutela dei minori; i cui compiti (di monitoraggio e sensibilizzazione oltre che di intervento e presa in carico) sono distribuiti lungo una rete che, tra istituzioni e privato sociale, conta attualmente ben 65 snodi.
Un'esperienza che in Italia ha subito tracciato la strada per quella compartecipazione di pubblico e privato che in seguito, con l'emergere della crisi, sarebbe divenuta la norma per il welfare italiano. E nella quale il Comune di Torino ha investito ben 5 milioni di euro soltanto per l'anno appena trascorso.
"Sono in tutto quattro- ha spiegato il vicensindaco Elide Tisi- gli enti pubblici che partecipano al progetto: oltre a Comune, Regione e Tribunale, va sottolineata l'inclusione della Citta' della salute (raggruppamento di sei presidi ospedalieri con sede nella zona di piazza Carducci, nda), che ci ha consentito di fare fronte efficacemente anche a necessita' di tipo sanitario. A tal proposito, come Comune, da qualche anno abbiamo messo a disposizione un pronto intervento per minori, che e' attivo 24 ore su 24 e subentra al Call center tra le 17 e le 9 di mattina".
Ultimo nato e punto d'accesso dell'intera filiera e' proprio il Call center di corso Regina Margherita, attivato nel 2009 grazie a un contributo incrociato di Comune e Regione, che ha permesso l'assunzione di due assistenti sociali formate per questo genere di evenienze. Sono loro a raccogliere le segnalazioni di forze dell'ordine e operatori dei servizi sociali, valutando quali "snodi" della rete vadano di volta in volta attivati, e organizzando l'accoglienza nelle strutture.
"In sostanza- spiega una di loro- il nostro non e' uno sportello d'accesso diretto: i nostri interlocutori sono operatori di servizi sociali, ospedali e forze dell'ordine, che ci segnalano i casi con cui entrano in contatto. A noi, quindi, spetta decidere come e dove inserire le donne i e rispettivi bambini a carico; ma proprio questa intermediazione consente di intervenire con tempistiche e modalita' molto piu' efficaci".
Il continuo monitoraggio di una rete di servizi cosi' ampia pone, in effetti, le operatrici del call center su un punto d'osservazione privilegiato rispetto all'evolvere di violenza e fragilita' di genere. Stando ai dati raccolti negli ultimi anni, la prima ragione per cui una madre si ritrova a entrare in una rete d'accoglienza resta tuttora la violenza; seguita pero' a ruota da sfratti e problemi legati all'emergenza abitativa. Piu' nel dettaglio, secondo suor Angela, "se parliamo di italiane, i casi di violenza tendono a consumarsi praticamente sempre all'interno del nucleo affettivo e familiare; mentre per le straniere, le cui richieste d'aiuto sono cresciute moltissimo negli ultimi anni, ci troviamo di fronte a problemi piu' articolati, che cambiano al mutare della nazionalita': quasi sempre, ad esempio, le donne nigeriane finiscono nelle nostre strutture per sfuggire a tratta e sfruttamento".
Un ulteriore problema, secondo suor Pozzoli, emergerebbe dall'effetto incrociato della crisi dell'occupazione e della disgregazione delle reti familiari, "che di fatto- precisa la Religiosa- non ci permette di lavorare con la serenita' di un tempo. Vale a dire- continua- che molte donne sono costrette a rimanere in comunita' molto piu' a lungo del necessario, perche' al di fuori non avrebbero un lavoro o una rete parentale pronte ad accoglierle. Il rischio, purtroppo, e' che queste donne finiscano per istituzionalizzarsi: una volta uscite, capita che abbiano passato cosi' tanto tempo in accoglienza da dover imparare di nuovo a badare a se stesse".
(Wel/ Dire)
|