Dalle favole un aiuto concreto per superare i traumi e riunire il passato al presente
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 24 mag. - 'Non andavo bene? Non ero giusto? Perche' mi ha abbandonato?'. Nella testa dei bambini adottati ci sono paure simili a cavalli che galoppano a velocita' supersonica. Abbandonati prima dalla mamma naturale, poi il distacco dall'istituto e infine, se non ci sono altri 'passaggi' di istituti o famiglie affidatarie, l'arrivo nella nuova famiglia. E i loro timori non finiscono qui: chi li rassicura di non essere rispediti al mittente e che stavolta 'questi due adulti' fanno sul serio? Si apre cosi' la 'fase del testing', quella in cui i bambini adottivi provocano gli adulti fino all'estremo per vedere se la famiglia adottante non li restituira'. Non vogliono rivivere la peggiore angoscia che esiste nell'essere umano, l'angoscia di separazione ovvero l'abbandono. Reagiscono a questa sofferenza tirando fuori quella che considerano la parte piu' cattiva di se': la rabbia che in realta' non e' altro che la parte finale della sofferenza.
I piccoli sono spaventati, arrabbiati, aggressivi, iperattivi, a scuola possono avere difficolta' di apprendimento o sbalzi di umore improvvisi. Una realta' variegata e difficile, svelata alla DIRE da Simona Giorgi, psicologa e psicoterapeuta dell'Unita' funzionale di Salute mentale dell'Infanzia e dell'Adolescenza dell'Azienda USL 3 Pistoia, oggi confluita nella Asl Toscana Centro. Dalla sua esperienza e' nato il libro 'Cavalcando l'arcobaleno. Favole per raccontare ai bambini adottati la loro storia riunita dai colori della fantasia' (Edizione Magi).
Giorgi e' arrivata alla Asl 3 di Pistoia nel 1998 dopo aver lavorato in un'altra Asl nell'ambito della salute mentale adulti: 'Gia' nel 98 vedevo molte famiglie adottive- precisa-, anche se non tante quante adesso. La mia indicazione ai genitori era che ai bambini, anche quelli giunti molto piccoli nella famiglia adottiva (e in quegli anni arrivavano davvero piccoli), doveva essere raccontata subito la 'doppia origine', in modo che i bambini avessero la sensazione di aver 'sempre saputo' di essere stati adottati. I genitori seguivano le mie parole ma utilizzavano strumenti non idonei. Ad esempio, mostravano i video girati nell'istituto dove erano andati a prenderli. Questi pero' erano ricordi choc per loro, pesanti, spesso contenevano immagini forti, come altri bambini compagni di istituto che dondolavano, battevano nel muro, alcuni avevano malformazionià I loro figli adottivi non erano collaboranti, non volevano ovviamente vedere quei filmati- ricorda la terapeuta- sfuggivano quel passato dandone dimostrazione gia' con la perdita della lingua di origine, rifiutata da tutti poco dopo l'arrivo in Italia'.
Quel passato pero' faceva parte di loro e non poteva andare perduto. 'Non si poteva fare un 'taglio chirurgico', bisognava trovare un modo per poterlo tradurre in una 'verita' narrabile'- spiega la psicologa- in modo che non restasse insidioso, 'non detto', finendo poi per alimentare solo tabu' sia nei bambini che nei genitori. Questi devono sapere che un bambino, per crescere sano, ha bisogno di 'radici' e 'ali': le prime sono germogliate in un mondo che gli va raccontato, in quanto fa parte di lui e della sua identita', perche' continuano a crescere nella nuova famiglia. Cosi', essendo abituata a lavorare con le fiabe (metafora) e le immagini, ho maturato l'idea che il linguaggio della favola era il piu' accessibile ad offrire al bambino una risposta ai perche' e all'angoscia dell'abbandono', sottolinea la psicologa formata dall'Istituto di Terapia Familiare di Firenze, diretto da Rodolfo de Bernart.
'La favola, inoltre, avrebbe aiutato anche il genitore ad evitare il trauma dell'ora x: 'Hai 6 anni, vai a scuola e allora sappi che...''.
Il giocare con le parole attraverso una favola 'permette nel tempo mutamenti e sviluppi in base alle domande del bambino (le favole arcobaleno congiungono passato e presente e crescono con lui arricchite sempre di maggiori dettagli)- aggiunge l'esperta- costituisce una preziosa esperienza condivisa in cui il rapporto genitore-figlio puo' crescere proprio misurandosi con i fantasmi piu' minacciosi. E per il bambino e' importantissimo avere 'la sua favola' che lo rassicura sia attraverso il contenuto della stessa, costruita per lui, sia attraverso la partecipazione emotiva del genitore'.
Le favole arcobaleno sono speciali: 'Sommano il passato del bambino e il passato della coppia in una successione di step: da un caldo grembo materno, che lo ha accolto dandogli la vita, all'abbandono, che deve essere sempre riletto in positivo in tutti i passaggi, fino all'arrivo nella nuova famiglia e oltre- continua Giorgi- per poter anticipare potenziali difficolta' e soluzioni'. Cio' che conta e' raccontare da subito la realta' creando una 'verita' narrabile sia ai piccolissimi- ripete la specialista- attraverso la filastrocca o una ninna nanna che racconti qualcosa di loro, che ai bambini piu' grandi con la favola. A seconda dell'eta' di arrivo si cambia la modalita' di racconto. Il consiglio e' di narrarla la sera in una sorta di 'rituale della buonanotte', che rassicura molto i bambini, quando si chiudono le tende della giornata, per eliminare scomode ombre con la magia della sua favola'.
Eccolo l'Arcobaleno: 'Il ponte che unisce il dietro all'avanti, il passato al futuro, il trauma (la pioggia da cui origina) alla quiete (i raggi di sole che incrociando le goccioline d'acqua danno vita ai diversi colori)'. Ma poiche' non tutti i genitori riuscivano e creare le favole, Giorgi ha costruito, con l'aiuto di de Bernart, un video dal titolo 'Il lungo volo dell'aquilone' (una serie di tranches di cartoni animati) per mostrare alle coppie in fase di idoneita' come si costruisce la 'favola-arcobaleno' per il loro piccolo.
'Le immagini del video- spiega Giorgi- creano un'immagine interna che a sua volta viene trasformata in una favola-arcobaleno da raccontare al bambino. Questa operazione e' utile per diversi motivi: utilizza un canale (non verbale) meno saturo e meno difeso per arrivare a toccare aspetti emotivi dei genitori; utilizza un canale metaforico, quindi complesso e non riduttivo, ma accessibile ai bambini (la favola) per mettere in connessione genitori e figli adottivi; utilizza le risorse del sistema (genitori e figli) per generare le cose da trasmettere. Gli operatori esterni si limitano solo a 'stimolare' con uno strumento sofisticato (il montaggio di cartoni) queste risorse, operando cosi' in maniera ecologica e rispettosa'.
Tutto questo percorso inizia 'prima dell'arrivo del bambino nella nuova famiglia- sottolinea la psicologa- e poi continua unendo la storia del piccolo con quella dei genitori che lo accolgono. Il bambino nasce quando viene pensato- afferma la terapeuta familiare- e fin da allora i genitori saranno chiamati a creare una scatola che conterra' l'intreccio delle rispettive vite: il passato della coppia unito a quello che si sapra' del bambino'.
La verita' evita altre sofferenze. 'Nella mia precedente esperienza lavorativa con giovani adulti ho incontrato e lavorato con tre casi di psicopatologia grave- riferisce la terapeuta- in cui uno dei fattori in comune era proprio la scoperta, da grandi e per caso (tramite il medico di famiglia), di essere stati adottati essendo l'adozione considerata un 'segreto'. Una rivelazione che li ha doppiamente feriti: l'abbandono non elaborato e non capito di una mamma naturale prima e il tradimento di un genitore adottivo che non ha parlato dopo'.
Dire la verita' e' doloroso per i genitori adottivi, 'chiamati a superare spesso anche il loro trauma: l'impossibilita' di avere un figlio biologico e la rabbia che nutrono verso le mamme che arrivano all'abbandono o al non sentirsi pronte per fare le madri. I genitori vanno aiutati per capire tutto cio'. In piu', dalla domanda di adozione in Tribunale all'arrivo dei bambini trascorre spesso tanto tempo e i futuri genitori in questo delicatissimo arco temporale non devono essere lasciati soli nella loro buia sofferenza e nei loro dubbi oscillanti tra il pensiero che il loro bambino non arrivera' mai e la paura di non essere all'altezza di quel ruolo'. Per supportarli la psicologa li inserisce in un gruppo da lei creato nel 2000 e condotto a Pistoia, per discutere, affrontare e condividere 'sul campo' e insieme a genitori di figli adottivi temi caratteristici o critici dell'adozione. 'Un modo produttivo per parlare dei problemi non sentendosi soli- chiosa Giorgi- e coloro che sono in attesa di figli possono cosi' apprendere, fin da tale momento, cio' che dovranno aspettarsi'. La dottoressa conduce gruppi circa due volte al mese in orario serale, libero dal lavoro per entrambi i genitori . L'iniziativa (Gruppo Arcobaleno) ha vinto il premio internazionale 'La Pira' del Centro studi Donati di Pistoia nel 2013.
- Cosa si fa in questi gruppi? 'Molte sono le cose da fare nel gruppo- risponde- per esempio preparare i genitori ad affrontare anche il passato piu' scomodo e imbarazzante. Molti di loro sono entrati in contatto con scene di sessualita' a vari livelli.
Situazioni che vanno ben gestite dagli adulti di riferimento, cosa che senza aiuti specialistici e' davvero complicata'.
Giorgi tiene pero' a sottolineare che non tutti i paesi di provenienza sono uguali: 'In India e Africa c'e' piu' rispetto per l'infanzia e non ci sono storie di abuso; in Brasile e Colombia le violenze sono invece piu' frequenti. Ricordo un bambino con le gambe piene di ustioni di sigarette spente che mi diceva: 'Mi vergogno di portare i pantaloni corti, ma e' successo che qualche schizzo d'olio bollente, che la mamma usava per friggere i carciofi che mi piacciono tanto, mi abbia colpito le gambe'. I bambini sono protettivi verso le loro situazioni di origine, le considerano una parte di se'- rimarca la psicologa- e questo va spiegato ai genitori adottivi, che solitamente si arrabbiano quando il genitore naturale viene difeso. Uno degli obiettivi su cui si lavora, non mi stanco mai di ripeterlo, e' la comprensione della madre naturale che va trasmessa al bambino. Senza un aiuto specialistico e' difficile farlo'.
Un altro punto 'dolente' riguarda la scuola. 'Nella programmazione della terza elementare, quando si inizia a studiare 'la storia' si parte ad esempio con il tracciare la storia della famiglia attraverso l'albero genealogico realizzato sul modello della famiglia tradizionale. Un anacronismo che crea difficolta' non solo ai bambini adottati- chiarisce la psicologa- ma anche a quelli affidati, ai figli di famiglie ricostruite o di ragazze madri. Nel mio secondo libro, 'Figli di un tappeto volante' (Edizioni Magi), ho allora pensato a degli strumenti che possano essere utilizzati in base alla classe e alla personalita' dell'insegnante, per portare avanti la programmazione ed evitare situazioni difficili da gestire'.
Non tutti sono idonei ad adottare. 'Sebbene l'obiettivo della maggior parte dei genitori e' avere il bambino piu' piccolo e piu' vicino possibile (neonato e adozione nazionale), risultano non idonee all'adozione quelle persone che hanno un'idea troppo rigida del bambino. Generalmente ne sanno molto poco di adozione ed evitano le iniziative inerenti la stessa, considerata solo un brutto pezzo di passato da dimenticare. Poi ci sono quelle persone che hanno subito una tragedia, come la morte di un figlio, e fanno subito dopo domanda di adozione perche' in realta' rivogliono il loro bambino indietro- fa sapere la psicoterapeuta familiare- ma quello che arriverebbero e' un altro bambino con un'altra storia e un altro passato'.
- Perche' molte coppie scoppiano dopo l'adozione? 'Nella mia esperienza le coppie che sono scoppiate non sono mai state molte. A differenza del figlio biologico, che nella gravidanza e nelle prime fasi di vita e' prevalentemente della donna, nella adozioni si vive tutto insieme. Generalmente si parte dal lutto per il figlio che non arriva, ai tentativi di concepimento che tolgono alla sessualita' la parte piu' bella diventando un 'obbligo' di giorni e orari, alla decisione di adottare in cui entrambi devono sentirsi pronti. Poi si continua con tutte le fasi successive fino all'arrivo del figlio, che porta spesso queste persone a un cambiamento enorme: da coppia sola per tanti anni a famiglia con un figlio che da 'estraneo' nel tempo deve diventare 'figlio'. E' fondamentale che la coppia sia solida, che non dimentichi di esistere e che regga un 'fronte unito genitoriale' verso il figlio che spesso involontariamente fa di tutto per infrangerlo. Ad esempio, al loro arrivo i bambini propendono piu' per un genitore tentando di escludere l'altro, e se tra i genitori non c'e' una forte unione e comunicazione, oltre alla conoscenza di questi pericoli e di altri ricorrenti- conclude Giorgi- puo' crearsi nella coppia un pericoloso 'scollamento' e, qualora non si affronti, anche un crollo'.
(Wel/ Dire)