Firmato protocollo intesa tra dipartimenti Psicologia e Giurisprudenza con Amministrazione penitenziaria
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 3 mag. - Di ricerche in ambito criminologico che, piu' che i reati, vadano a indagare i processi di recupero di chi li compie non c'e' abbondanza in Italia. Il che non suona neanche troppo strano, se si considera che, nel sistema giuridico e accademico del Belpaese, la figura professionale del criminologo non ha mai ricevuto un inquadramento chiaro: il primo, e finora unico, corso di laurea specialistica in Psicologica criminologica e forense, ad esempio, ha aperto i battenti appena tre anni fa, a Torino. Ed e' proprio nell'Ateneo sabaudo che, nei prossimi mesi, partira' una serie di iniziative di ricerca scientifica su carcere e misure alternative di detenzione. A realizzarle sara' il personale dei dipartimenti di Giurisprudenza e Psicologia: stamattina, i direttori delle due facolta' hanno firmato un protocollo d'intesa con l'Amministrazione penitenziaria di Piemonte e Val D'Aosta, formalizzando cosi' una collaborazione che permettera' al personale universitario di svolgere ricerche in campo clinico, sociologico e psico-criminologico, orientate soprattutto alla prevenzione del crimine e al reinserimento sociale dei carcerati.
"Intervenire sull'autore di reato - spiega Georgia Zara, presidente del dipartimento di Psicologia - e sviluppare azioni tese alla sua reintegrazione sociale, significa favorire un clima di prevenzione, ma anche di accoglienza. Questo pero' puo' essere fatto solo le istituzioni deputate alla ricerca scientifica e giuridica e quelle che si occupano di amministrazione penitenziaria collaborano verso una effettiva realizzazione del dettato costituzionale, che e' quello di tendere alla rieducazione dell'autore di reato".
A questo proposito, nonostante le iniziative da adottare siano ancora in via di definizione,a breve la collaborazione tra Universita' e Amministrazione sara' battezzata con un primo progetto di ricerca, "dedicato - precisa Zara - all'intervento e al trattamento degli autori di reato sessuale". "Anche in questo caso - continua la docente - il lavoro sara' orientato al loro recupero e alla riduzione del rischio di ricaduta dopo il fine pena. Sappiamo che questo rischio, nel caso dei cosiddetti sex offender, non e' particolarmente elevato; ma trattandosi di reati dal grosso impatto sociale, la ricerca scientifica potra' avere un ruolo decisivo nella sensibilizzazione delle istituzioni carcerarie. Finora, l'unico tentativo in questo senso e' arrivato da una sperimentazione partita nel 2005 nel carcere milanese di Bollate: e' dunque il caso di dire che siamo all'anno zero in Italia. Noi vorremmo cercare di progettare degli interventi sistematici e soprattutto personalizzati; dato che questo e' cio' che richiede la costituzione, dal punto di vista del recupero degli autori di reato".
(Wel/ Dire)