Ojetti: Il giornalista deve tentare di essere anche un po' psicologo
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 3 mag. - "Si dice - con un generico luogo comune - che il giornalista sia una specie di ircocervo segmentato: un poliziotto mal riuscito, uno spettatore superficiale della realta', uno scrittore mancato con segrete e mai sopite ambizioni, un 'pennivendolo' corruttibile (la definizione e' di Massimo D'Alema, che pure e' giornalista iscritto all'albo professionale), un orecchiante che sa - male - un po' di tutto, uno che giudica il prossimo senza alcuna responsabilita' (eccettuata l'eventuale diffamazione dell'altrui onorabilita') e, infine, un tipo che pratica un mestiere 'che e' sempre meglio che lavorare'. In tutta la mia vita professionale non ho mai sentito dire che il giornalista sia anche 'uno psicologo', sia pure allo sbaraglio. Nelle scuole di giornalismo s'insegnano e s'imparano molte discipline: la deontologia, la correttezza e il rispetto delle gerarchie in redazione (Marx sosteneva che sarebbero cadute tutte le monarchie e le dittature, tranne una: quella del direttore di un giornale), la scelta e la verifica delle fonti d'informazione, la cultura indispensabile (un po' di giurisprudenza, conoscenza del dettato costituzionale, molta storia, molte letture di autorevoli colleghi coevi o del passato), le 'carte' che proteggono minori e soggetti deboli, le leggi sulla privacy (in particolare dei dati sensibili dell'individuo), la tecnica della scrittura del 'buon cronista', tutti i sofisticati trucchi (presenza, voce, ritmo, preparazione) del giornalismo televisivo e radiofonico. Negli ultimi anni, all'albero del giornalismo s'e' aggiunto un ramo: l'informazione via Web, con tutte le sue complicanze, scrittura sintetica, selezione dei link, controllo accurato delle fonti per evitare di prendere per buoni i fake che impestano il sistema. Giampaolo Pansa soleva dire che il giornalismo e' come l'atletica: per gareggiare, bisogna allenarsi tutti i giorni. Ma di psicologia, come materia di studio, nelle scuole di giornalismo non si parla. Eppure - che ne sia consapevole o meno - il giornalista deve tentare di essere anche un po' psicologo". Lo scrive Paolo Ojetti, giornalista professionista e docente presso l'Universita' di Urbino, presente al convegno che si e' svolto alla Sapienza sul rapporto tra psicologia e giornalismo. Ojetti e' stato anche uno degli autori del numero di aprile della rivista del Centro Studi Psiche Arte e Societa' (CSPAS), diretto dal giornalista medico campobassano Amedeo Caruso.
"Non avendo in mano gli strumenti professionali adeguati, il giornalista e' uno psicologo assolutamente dilettante e nella valutazione di dichiarazioni, rivelazioni, rapporti umani di ogni genere con il prossimo (qui si esclude a priori la sfera interpersonale privata)- continua Ojetti- il giornalista si avvale della propria sensibilita', del livello culturale, della capacita' di ascoltare e di persuadere, della reale curiosita' dei fatti. Persino di quelle doti ingovernabili che sono la istintiva simpatia e la propensione a mettersi 'nei panni dell'altro'. Soprattutto nella cronaca, non basta infatti essere in grado di vedere subito la luna senza fermarsi al dito che la indica: bisogna guardare 'le facce', captare piu' il non detto che il detto, memorizzare toni di voce e movimenti di chi si ha di fronte. Non e' necessario scomodare alcuna scuola freudiana, junghiana, ante o post: non e' vera scienza, ma ne e' la riduzione pratica e conveniente per cio' che serve. Si puo' provare a fare un gioco, valutando - soprattutto nel medium televisivo - l'arte del porre le domande, di approfondire in pochi secondi cio' che viene detto, nel riferire al telespettatore non un commento, ma una corretta e immediata valutazione dei fatti. Molti giornalisti ignorano tutto cio' e- prosegue il professore- si limitano a collezionare voci che - nel settore politico soprattutto - sono monologhi privi di senso" .
Che si tratti di psicologia o di giornalismo lo strumento chiave di entrambe le professioni e' il linguaggio. "La scelta delle parole e il loro utilizzo e' strettamente connesso al modo in cui queste stesse parole vengono comprese dall'altro, senza dimenticare il contesto sociale, culturale e familiare in cui ci si trova e da cui si proviene. La psicologia e il giornalismo hanno il compito di tradurre e verbalizzare in una logica comprensibile qualcosa che potrebbe non esserlo", aggiunge Ojetti.
Le parole, il linguaggio e "piu' generalmente la comunicazione, scritta o parlata che sia, non puo' essere ridotta a un semplice processo di invio e ricezione tra emittente e ricevente. La comunicazione, che si tratti di psicologia o di giornalismo, e' multidimensionale: e' relazione, cognizione, partecipazione, azione, contesto. Ma la parola e il suo uso sono anche molto altro: sono individualita', identita', inconscio.
Il comunicare e' alla base dell'interazione e delle relazioni interpersonali che nascono, si sviluppano e terminano anche attraverso i giochi psicologici che i protagonisti intendono realizzare in maniera congiunta, seppur spesso tacita", conclude.
(Wel/ Dire)