Argentieri: Conoscere piu' parole arricchisce il mondo interno e la comunicazione
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 12 lug. - Cosa succede nella mente di chi pensa, sogna e parla in piu' lingue? A studiarlo fin dagli anni '80 e' stata Simona Argentieri, medico psicoanalista e coautrice (insieme a Mehler Jacqueline Amati e Jorge Canestri) del libro 'La Babele dell'Inconscio. Lingua madre e lingue straniere nella dimensione psicoanalitica' (Raffaello Cortina Editore).
"Il testo cerca di affrontare la questione non solo del bilinguismo ma del plurilinguismo per scoprire innanzitutto che non e' solo un fenomeno della nostra epoca. Fa parte della storia dell'umanita' del nostro tempo. È una difficolta' ma anche una grande ricchezza. Nell'800- prosegue Argentieri- la scuola logopedica di Vienna diceva che non bisognava assolutamente allevare i bambini con piu' di una lingua perche' questo avrebbe danneggiato l'apprendimento, l'organizzazione del pensiero. Oggi la pensiamo diversamente: puo' creare alcune aree di difficolta' o di confusione, ma e' arricchente. Conoscere piu' lingue significa aumentare sia la comunicazione con gli altri, con il mondo esterno, che la comunicazione interna. Un bambino che impara piu' lingue sa che la parola 'scarpe', ad esempio, si puo' dire in tanti modi. Ogni parola evoca una serie di esperienze, di mondi e immagini sensoriali -tattili, olfattive, visive, perfino gustative, che arricchiscono il mondo interno e la comunicazione. Le parole- rimarca la psicoanalista- non sono solo delle acquisizioni cognitive isolate, ogni parola ha una rete associativa." - In tenere eta' il bilinguismo puo' favorire l'emergere di difficolta' del linguaggio? "Dipende da come queste lingue vengono insegnate, apprese e usate. È molto diverso se entrambi i genitori parlano tutti e due le lingue. Inoltre se le lingue circolano nell'ambiente familiare o scolastico, tutto diventa piu' semplice e fisiologico", chiarisce il membro della International Psychoanalitical Association.
- Genitori di diversa nazionalita' alle prese con i figli.
Secondo lei ci vorrebbero dei corsi che li aiutino a capire come parlare con loro? "Basterebbe non ostacolare la loro spontaneita'- risponde Argentieri-, spesso gli interventi sono rigidi e costrittivi. Basta incoraggiare queste esperienze.
Sovente accade che bambini stranieri vadano a scuola, imparino la lingua del paese ospitante e poi facciano da traduttori per mamma, papa' e i nonni. Hanno una funzione di comunicatori, sono dei ponti tra la vecchia cultura familiare e quella nuova. Se tutto questo rientrasse in un progetto in cui insegnare e incoraggiare a parlare la lingua ai diversi membri della famiglia, tutto l'ambiente diventerebbe piu' ricco e fluido".
- Abbiamo molti immigrati di prima generazione con genitori che parlano la lingua d'origine e figli la lingua del Paese ospitante. Questa diversita' interna puo' creare fratture identitarie? "Ci sono una quantita' di variazioni su questo tema- sottolinea la psicoanalista- dipende da come la singola persona la affronta. Questa diversita' puo' essere vissuto sia come una scissione che un arricchimento".
Effettivamente, in un mondo sempre piu' multietnico e meno lineare, le paure dei bambini celano fragilita' di altro genere. Sulla paura del lupo, dell'uomo nero, della scuola, degli animali, delle catastrofi naturali e del kamikaze Argentieri ha scritto per la casa editrice Magi, insieme alla giornalista Patrizia Carrano, il libro 'Dall'uomo nero al terrorista. Piccolo catalogo delle paure infantili di ieri e di oggi'.
- I bambini hanno paura del terrorismo, alla luce di questi attentati sempre piu' frequenti? In che modo possiamo sostenerli? "Non dobbiamo avere l'illusione che con gli strumenti psicologici possiamo metterci al riparo dall'angoscia e tanto meno dal pericolo reale. Sarebbe un'illusione pericolosa se pensassimo di poter escogitare dei sistemi che ci possano esonerare da questo tipo di minaccia. Nel rapporto tra bambini e adulti- continua la psicoanalista- si ripropone la questione di sempre: quanto gli adulti possano fare da mediazione e cuscinetto per cercare di proteggere i bambini? Quello che si puo' fare, paradossalmente, e' provare ad individuare cio' che gli adulti non devono fare: rassicurare i bambini dicendo che non e' vero, che non puo' succedere, o facendo di tutto affinche' non sappiano della realta' che li circonda (che siano frane, terremoti, guerre o terrorismo). La negazione e' un meccanismo molto efficace e rapido per placare l'angoscia- avverte Argentieri- ma e' un sistema basato sulla menzogna che ci lascia ancora piu' inermi. L'altro comportamento da evitare e' evidentemente quello di allarmare, al punto tale da paralizzare la vita quotidiana: non andare piu' a scuola, in metropolitana e rinunciare a tutto in attesa che avvenga la catastrofe".
La competenza di Argentieri, medico e psicoanalista fiorentina e' il campo delle paure patologiche. "Sono quelle paure che non hanno a che fare con le minacce reali, ma riguardano quelle che provengono dal mondo interno. Ad esempio la paura della morte e' un timore universale, comune a tutte le culture in tutte le epoche e a tutte le eta'. Questa paura e' di per se' normale, ma se sfocia nella patologia va ad esempio in direzione dell'ipocondria: un'attenzione continua e ossessiva con la costante preoccupazione di contrarre malattie e di dover evitare situazioni che possano farci del male. Nel mio ultimo libro, scritto con la collega Nicoletta Gosio, 'Stress e altri equivoci' (Einaudi), raccontiamo dell'eccesso di preoccupazione per tutto quello che ci possa fare male fino all'ossessione, tipica della nostra epoca. Anche il cibo e' diventata una questione patologica. C'e' un dispendio energetico enorme nel pensare che si possa continuamente individuare cio' che fa male e a preservarci. Tutto e' considerato stressante nella nostra vita e l'ansia da controllo e' un pessimo rimedio. È diventato stressante andare a lavoro- afferma la scrittrice- cosi' come l'andare in vacanza".
Passando dal terreno estremo della minaccia del terrorismo e degli attentati alle paure piu' quotidiane "e' visibile una bassissima tolleranza da parte delle culture occidentali avanzate alla frustrazione e a quelle che sono le fatiche quotidiane e normali della vita. A me sembra che spendiamo tantissima attenzione a cercare di scongiurare eventi che sono si' terribili ma eccezionali, e poi trascorriamo la vita a spendere energie perche' riteniamo insopportabili cose che fanno parte della quotidianita': il traffico, il lavoro, i litigi di condominio, i conflitti coniugali, le difficolta' nell'educare i figli e nel sostenere gli esami. Tutto- conclude- e' diventato una sorta di minaccia rispetto alla quale si pretenderebbe di avere un rimedio a portata di mano, a partire dagli integratori alimentari".
(Wel/ Dire)