Lo rivela uno studio dell'Universita' di Torino su 27 nazioni europee
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 5 lug. - "Le persone hanno paura del crimine e dell'immigrazione indipendentemente dal rischio di esserne vittima concretamente. I due timori sono originati da spinte complementari, individuale e collettiva, che fanno riferimento all'essere o al sentirsi marginali". È quanto emerge da una ricerca condotta da un team di studiosi dell'Universita' di Torino (Unito) sul fenomeno dell'insicurezza sociale, analizzando le risposte dei cittadini di 27 nazioni europee, tra cui l'Italia. Lo studio e' stato raccontato alla DIRE da Michele Roccato, professore di Psicologia sociale dell'Unito, precisando che sono fenomeni "che aiutano a spiegare il risultato referendario in Gran Bretagna".
A livello individuale, hanno piu' paura i "soggetti marginali socialmente: donne invece che uomini, anziani piuttosto che adulti, persone che vivono in periferia rispetto a quelle che abitano in citta'. Sentono di essere piu' vulnerabili- continua il professore- e si sentono piu' a rischio indipendentemente dal pericolo effettivo di essere vittime di un crimine oppure dalla reale possibilita' di essere scalzati nel lavoro a causa dell'immigrazione". Sul piano collettivo, invece, "non spaventa le persone tanto il vivere in un posto pericoloso o pieno di immigrati, quanto quello che gli Stati fanno per difenderle dalla marginalita' sociale. Cio' che conta e' soprattutto il livello di disuguaglianza nel Paese e l'investimento pubblico nel settore del Welfare e della protezione sociale. L'insicurezza sociale ed economica si traveste quindi da paura del crimine e dell'immigrazione".
Paure che riguardano anche le classi dirigenti, che "purtroppo stanno offrendo risposte illusorie alla globalizzazione, alla delocalizzazione e all'invecchiamento della popolazione, proponendo la chiusura regressiva delle frontiere, l'ideologia della sicurezza, il recupero del nazionalismo e la costruzione di comunita' e nazioni solide proprio perche' basate sull'esclusione".
Per analizzare il voto britannico per classi di eta', lo psicologo sociale cita l'ultima ondata di rilevazioni della European Social Survey (del 2016), che prende in considerazione 21 paesi tra cui l'Inghilterra (manca l'Italia): "E' emerso che i giovani sono molto piu' aperti rispetto ad adulti e anziani, meno nazionalisti, con meno pregiudizi verso gli immigrati, piu' fiduciosi verso l'Europa e piu' convinti che gli immigrati siano una risorsa e non un pericolo dal punto di vista economico.
Eppure alla fine non vanno a votare". Perche'? "Albert Otto Hirschman- spiega Roccato- diceva che le principali strategie per manifestare il disappunto relativo a una situazione politica che non piace sono il 'Voice' (partecipazione civile e impegno politico a favore del cambiamento) e 'l'Exit' (allontanamento dalla politica). Credo che i comportamenti degli anziani e dei giovani, affiorati dalla Brexit, rappresentino proprio queste due forme diverse di disappunto. I giovani, socializzati in maniera diversa, sentono la politica meno importante degli adulti e si autoescludono per rabbia, frustrazione o disinteresse; gli anziani, cresciuti in un ambiente molto politicizzato, quando la politica era davvero un momento di costruzione identitaria (si ricordi Margaret Thatcher e la battaglia dei minatori), hanno reagito con un 'Voice' regressivo. Non dubito che ci siano elementi legittimi e sensati di critica alla democrazia rappresentativa- rimarca il docente dell'Unito- in quanto i due principali partiti inglesi (Laburista e Conservatore), entrambi a favore del 'Remain', hanno promosso un referendum e gestito strumentalmente la campagna referendaria per portare avanti i loro giochi di potere. Hanno scherzato con il fuoco e innescato un circolo vizioso dell'insicurezza che, da quel che sostengono alcuni economisti, potrebbe portare al crollo della sterlina e al rientro del mondo nella crisi economica".
Roccato conclude: "Siamo in una fase in cui la democrazia rappresentativa sta tradendo il suo mandato perche' le decisioni vengono prese da organi sovranazionali che non rispondono al controllo dell'opinione pubblica. Quando l'economia s'impadronisce delle scelte politiche, stabilendo la politica da mettere in atto senza il vaglio dell'elettorato, si perde la democrazia. Trovo irritante l'idea che la classe dirigente, che ha contribuito a costruire un mondo di questo genere, invece di assumersi le proprie responsabilita' di fronte a un bisogno politico di rappresentanza, stigmatizzi l'opinione pubblica".
(Wel/ Dire)