(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 21 giu. - 'Di recente (ottobre 2015) e' stata approvata la Norma italiana UNI 11592 inerente la definizione dei requisiti relativi all'attivita' dei professionisti delle Arti Terapie, con l'indicazione di conoscenze, abilita' e competenze che si ritiene debbano possedere coloro i quali vogliano esercitare tale professione'. Fanno sapere Salvatore Colazzo, professore di Pedagogia sperimentale, preside della Facolta' di Scienze della Formazione, Scienze Politiche e Sociali dell'Universita' del Salento e socio SIPNEI (Societa' Italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia), e Francesco Bottaccioli, professore a contratto di Psiconeuroendocrinoimmunologia, direttore del Master di II Livello in PNEI e Scienza della cura integrata all'Universita' dell'Aquila e presidente della Sipnei, nella rivista 'Curare con arte l'arte della cura' (Pnei Review 2 2015).
'Questa norma contiene un esplicito riferimento al retroterra storico e antropologico-culturale delle Arti Terapie. Constata come esse si siano sviluppate a seguito di azioni e interventi in contesti (scuole, carceri, comunita' terapeutiche e di riabilitazione) caratterizzati da una convivenza sociale e da flussi emotivi non agevoli. In quei contesti le arti, e in particolar modo la musica, sono state utilizzate essenzialmente per due scopi: modulare le emozioni e consolidare il senso di comunita'. Questa doppia funzione- scrivono i due autori- coincide con una tematizzazione del ruolo sociale della musica formulata sin dai tempi piu' antichi e in culture differenti. D'altro canto l'uso concreto che, nel corso della storia, si e' fatto della musica e' stato ampiamente relato alla promozione di stati di benessere individuale e collettivo e al rafforzamento del senso del 'noi'. Dagli studi antropologici la musicoterapia ricava l'idea che in molte culture la musica e' stata usata terapeuticamente per trattare quella che noi definiamo malattia psichica e integrarla in qualche modo nella vita sociale, per produrre stati alterati di coscienza al fine di ridurre la pressione degli istituti sociali sui soggetti e rendere loro possibile abitare zone consentite di trasgressione; ma anche la constatazione che l'approccio proprio della musica colta occidentale al fatto musicale non e' abituale in culture differenti e in molte subculture, dove il rapporto della musica non e' di tipo estetico ma funzionale. Come ha scritto Tullia Magrini: 'Gli studiosi occidentali, abituati a concepire la musica come un prodotto puramente motivato da finalita' estetica, con gli studi etnomusicologici hanno incontrato societa' che utilizzavano l'attivita' sonora in modo profondamente diverso e molto piu' chiaramente connesso alle loro necessita' esistenziali'.
L'approccio proprio della musica colta prevede la distinzione di ruoli fra compositore, esecutore e ascoltatore; immagina l'ascoltatore come fisicamente passivo nell'immersione che compie nella musica, che diventa una sofistica esperienza cognitivo-emotiva, laddove in altre culture la partecipazione all'evento musicale non e' mai solo ascolto, ma e' rapporto corporeo col suono generalmente in contesti collettivi a forte impatto emotivo, di cui sono parte integrante gli esecutori, che non fanno riferimento a uno spartito, ma a una tradizione, che detta gli stilemi a cui far ricorso in ragione dell'occasione per la quale la musica e' richiesta. Pertanto- continuano Bottaccioli e Colazzo- essa ritiene che la musica, per un verso, possa essere usata (non in maniera esclusiva e in setting presidiati da professionalita' deputate alla cura) per ridurre lo stato di disagio psichico lavorando sui loro stati emotivi, per altro verso possa, ricostituendo la circolarita' delle funzioni compositive, esecutive e d'ascolto, favorire forme di integrazione dell'Io, inducendo l'esplorazione di se' e l'espressione delle proprie emozioni, e di consolidamento del gruppo, favorendo il coordinamento percettivo e motorio dei singoli, in funzione della realizzazione di un risultato collettivamente soddisfacente. Se questa e' la tradizione della musicoterapia, consolidatasi per via di un sapere prevalentemente incorporato che si e' sviluppato nel corso di secoli e secoli di pratiche, oggi, per dare piena dignita' alla professionalita' del musicoterapeuta, e' indispensabile trovare un fondamento scientifico della disciplina, in modo da consentirle di spiegare perche' e come alcune cose funzionino'.
IN CHE SENSO LA MUSICA È TERAPIA - 'La prima cosa che essa deve fare e' esplicitare in che senso la musica e' terapia, poiche' potrebbe derivare un potenziale conflitto con cio' che per terapia si intende in ambito sanitario. Cosa che la norma UNI, a cui ci siamo richiamati, avverte tanto da chiarire che terapia e terapeutico, nel contesto delle Arti Terapie, vanno intesi in senso lato. Senso che, tuttavia, non e' incompatibile con la definizione che di salute offre l'OMS che valorizza il conseguimento del pieno benessere, non solo sul piano strettamente fisico, ma anche psichico e sociale. Pertanto le Arti Terapie in quanto orientate a promuovere l'agio del soggetto non sono da considerarsi come atti sanitari, ma come eventualmente sistemi di azioni complementari e aggiuntivi - incardinati in una storia e in una tradizione, supportate da studi ispirati a rigore scientifico, secondo le piu' aggiornate prospettive teoriche e metodologiche - che coadiuvano l'approccio rigorosamente sanitario per il perseguimento di obiettivi di salute a 'tutto tondo'. La seconda cosa e' esplorare la letteratura scientifica nel campo delle scienze cognitive e delle neuroscienze- sottolineano gli esperti- ma anche dell'endocrinologia e dell'immunologia, per cogliere in quegli studi gli elementi esplicativi della relazione che l'uomo stabilisce con la musica e le potenzialita' che questa ha per influenzare gli stati di salute del soggetto. Dalla nostra prospettiva risulta certamente utile avere un solido quadro teorico di riferimento attraverso cui leggere queste ricerche.
Tale quadro puo' essere l'approccio PNEI'.
IL PUNTO DI VISTA DELLE SCIENZE COGNITIVE E DELLE NEUROSCIENZE. 'Una frase di senso comune e' che la musica veicoli emozioni. Da molto tempo ci si chiede come cio' sia possibile. Una spiegazione che ci si e' data e' che le caratteristiche sonore dei brani musicali siano in grado di procurare modifiche degli stati emotivi, per via del fatto che il ritmo, la melodia, l'armonia, il timbro interagiscono con la fisiologia del nostro corpo, portandoci a interpretare queste alterazioni corporee come emozioni. Si tratta cioe' di risposte neurovegetative a stimoli sonori, che ad altro livello di coscienza qualifichiamo come emozioni. Esistono recenti studi che comprovano che quando ascoltiamo una musica, le oscillazioni dell'attivita' elettrica del cervello si sincronizzano con il suo ritmo. La sincronizzazione poi apparire correlata con il riconoscimento delle note, che e' piu' preciso nei soggetti in cui la sincronizzazione e' piu' accentuata. Piu' dimestichezza si ha con la musica- spiegano gli esponenti della Sipnei- piu' immediata e accurata e' la sincronizzazione (soprattutto quando lo stimolo sonoro e' costituito da brani lenti) e la possibilita' di individuare le note ascoltate. Cio' dimostra l'importanza dell'esercizio nell'elaborazione cognitiva della musica. Uno studio di sonogenetica ha trovato la possibilita' di intervenire sui neuroni del verme C. elegans, arrivando a controllare i movimenti dell'animale grazie a un intervento a livello neuronale tramite ultrasuoni che vanno ad interagire con una particolare proteina, un canale ionico noto come TRP-4. Si ipotizzano sviluppi che portano a immaginare la sonogenetica come sostituto della stimolazione cerebrale profonda a cui oggi si ricorre con elettrodi impiantati nel cervello per moderare i sintomi di malattie come il Parkinson. Precedenti studi avevano reso evidente la capacita' che ha l'ascolto musicale di modificare frequenza cardiaca, pressione arteriosa e frequenza del respiro. Tali modifiche sono correlate col tipo di musica che si ascolta. Le caratteristiche musicali trainano, sincronizzandole, le funzioni vasomotorie, pressorie, di flusso cerebrale, respiratorie e di frequenza cardiaca. Si tratta d'interazioni musica-organismo che vengono a livello subcosciente, interessando le strutture cerebrali profonde, quelle collocate nel tronco dell'encefalo che governano il neurovegetativo. Su questa base biologica, evolutivamente inscritta nei nostri circuiti cerebrali come risposta all'ambiente, di attaccamento o di allarme, viene poi elaborata dalla cultura sociale e individualmente determinata'.
LA VARIABILITÀ INDIVIDUALE AGLI STIMOLI SONORI E MUSICALI. 'Questa osservazione e' importante poiche' esiste una variabilita' individuale agli stimoli musicali molto significativa, sicche' non puo' intendersi il rapporto musica-stato emotivo secondo un rapporto lineare causa-effetto. Vi sono numerosi studi che confermano la non univocita' della risposta degli individui alle sollecitazioni sonore. Un recente studio argomenta della possibilita' che su taluni soggetti l'ascolto musicale di certi brani possa sortire effetti opposti di quelli riguardanti soggetti con caratteristiche di personalita' differenti. Ci sono soggetti che decidono di ascoltare musica triste, ricavando risultati non deprimenti sull'umore, ricavandone anzi un effetto catartico, altri che decidono di ascoltare musica triste poiche' si trovano in uno stato depressivo, ricavandone un effetto negativo sul loro umore. In genere l'ascolto di musica che riflette un momentaneo stato d'animo negativo e' un atto fondamentalmente sano, poiche' serve come mezzo per sentirsi meno soli, per distrarsi e rivalutarsi, per acquisire una maggiore comprensione dello stato affettivo. Tuttavia in taluni casi l'ascolto di musica triste si accompagna ad isolamento sociale e incapacita' a migliorare il proprio stato. Se l'ascolto della musica non e' usato per riequilibrare l'umore, esso viene a configurarsi come analogo al comportamento di ruminazione disadattiva'.
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(Wel/ Dire)