Marchant punta sui Placebo con un articolo sul New York Times
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 19 gen. - "La dipendenza da antidolorifico sta assumendo dimensioni sempre più personali". Scrive Jo Marchant, autore del libro di prossima uscita 'Cure: A Journey into the Science of Mind Over Body', in un articolo pubblicato il 9 gennaio sul New York Times.
Secondo un recente sondaggio della Kaiser Family Foundation "il 16% degli americani conosce qualcuno che è morto per overdose di prescrizione di antidolorifici; il 9% ha invece visto un familiare o un caro amico morire. Un tempo gli analgesici o gli oppioidi erano riservati al trattamento di situazioni estreme come il cancro terminale. Eppure gli oppiacei, come il Vicodin e l'OxyContin, sono ora ampiamente prescritti per condizioni comuni: dall'artrite al mal di schiena. Le conseguenze- afferma Marchant- sono catastrofiche: nel 2013 gli antidolorifici hanno causato quasi 7.000 visite al pronto soccorso e 44 morti ogni giorno".
Come affrontare questa crisi, si chiede lo scrittore? "Si sente spesso parlare di sforzi per reprimere gli abusi, attraverso le regolazioni cliniche del dolore e il monitoraggio delle modalità di prescrizione. Ma non s'intaccherà così la domanda di oppiacei, a meno che non saremo in grado di trovare modi migliori per trattare i cento milioni di americani che dicono di soffrire di dolore cronico. Passare semplicemente ad altri farmaci non è la risposta".
Un aiuto potrebbe invece venire da un elemento inaspettato: l'effetto placebo. "Questo fenomeno - il sentirsi meglio dopo aver ricevuto un falso trattamento - è stato liquidato in passato come un'illusione. Le persone malate migliorano spesso a prescindere dal trattamento che ricevono. I neuroscienziati stanno scoprendo che in alcune condizioni, tra cui il dolore, i placebo creano effetti biologici simili a quelli causati dai farmaci. Prendere un antidolorifico placebo smorza l'attività nelle zone del cervello e del midollo spinale legate al dolore e stimola il rilascio di endorfine (sostanze chimiche), che sono antidolorifici naturali. I farmaci oppioidi sono progettati per simularle. Anche quando prendiamo un vero antidolorifico- prosegue Marchant- la maggior parte del suo effetto non è fornita da alcuna azione chimica diretta. Esso funziona grazie alla nostra aspettativa. Gli studi dimostrano che gli antidolorifici come la morfina, la buprenorfina e il tramadolo sono decisamente meno efficaci se non sappiamo che li stiamo assumendo".
Infatti, "gli effetti placebo nel dolore sono così forti che i produttori di farmaci hanno difficoltà a batterli. Trovare il modo per ridurre al minimo tali effetti nelle sperimentazioni - ad esempio escludendo i soggetti più sensibili - è ora il grande focus per la ricerca".
Ma cosa succede se invece cerchiamo di sfruttare questi effetti? "I placebo potrebbero rovinare gli studi sui farmaci, ma ci hanno anche mostrato un nuovo approccio per il trattamento del dolore. Naturalmente è immorale ingannare i pazienti prescrivendo trattamenti falsi. In ogni caso è provato che alcune persone in determinate condizioni traggono benefici anche se sanno che stanno prendendo dei placebo". In uno studio del 2014, che ha seguito 459 attacchi di emicrania in 66 pazienti, "si mostrò che i placebo forniscono più sollievo dal dolore rispetto all'assenza di trattamento, e metà di questi risultarono efficaci quasi quanto l'antidolorifico Maxalt. (Lo studio ha anche scoperto che un placebo etichettato 'placebo' è efficace al 60%, come il Maxalt, se pure questo viene etichettato come 'placebo'. Se il placebo viene invece etichettato come 'Maxalt' è efficace al 60%, come il vero farmaco sotto la sua reale etichetta)".
Dal momento che i placebo offrono risposte "così alte al dolore, perché non si prescrivono placebo 'onesti' per quanti desiderano provarli, prima di procedere, se necessario, a un farmaco attivo? Un'altra opzione è quella di utilizzare le terapie alternative che, attraverso le risposte placebo, possano aiutare i pazienti anche quando non è possibile agire fisicamente. Una serie di studi in Germania- ricorda Marchant- pubblicati tra il 2005 e il 2009, hanno comparato i trattamenti di agopuntura reali e fittizi (in cui gli aghi non venivano posizionati nei punti di agopuntura) per trattare le condizioni di dolore cronico, tra cui l'emicrania, il mal di testa, il mal di schiena e l'osteoartrite". Piuttosto che fare "affidamento su pillole e trattamenti fasulli, la speranza è capire perché e quando il placebo funzioni - e su chi - per contribuire a massimizzare l'efficacia dei farmaci, e in alcuni casi ci permette di agire in loro assenza. I finanziamenti disponibili per questo tipo di ricerca sono minuscoli rispetto agli sforzi versati nello sviluppo dei nuovi farmaci".
Un ingrediente chiave è l'aspettativa: "Maggiore è la convinzione che un trattamento funzioni, migliore sarà la risposta. Attitudini ed esperienze individuali sono importanti, come lo sono i fattori culturali. L'effetto placebo sta diventando sempre più forte negli Stati Uniti ma non altrove". Alcune ricerche pubblicate l'anno scorso, che riportano degli studi del 1996, "evidenziano che i farmaci per il dolore cronico hanno ridotto del 27% in più, rispetto ai placebo, la percezione del dolore. Un vantaggio che nel 2016 è scivolato a circa il 9%". Possibili spiegazioni, secondo l'autore, dipendono "dalla crescente convinzione culturale sull'efficacia degli antidolorifici. Questo ci aiuta a capire sia la tipologia di pazienti che potrebbero trarre giovamento dai farmaci - chi ad esempio ha una forte fede nell'efficacia degli antidolorifici ha più probabilità di goderne, rispetto a chi è sospettoso nei confronti della medicina convenzionale - che i benefici e gli effetti collaterali di trattamenti prescritti dai medici. Altri studi dimostrano invece che rafforzare le aspettative positive dei pazienti e ridurre la loro ansia attraverso varie procedure, come la chirurgia mini-invasiva, può contribuire a diminuire la dose di antidolorifici necessari e limitare le complicazioni. Gli studiosi di Harvard hanno infine esaminato alcuni pazienti con la sindrome del colon irritabile, scoprendo che il 44% di coloro che erano trattati con una finta agopuntura si sentiva comunque meglio. Inoltre, se la persona che aveva eseguito l'agopuntura era solidale ed empatica, il miglioramento era del 62%. I placebo ci dicono, quindi, che il dolore dipende da un insieme complesso di fattori biologici, psicologici e sociali. Abbiamo bisogno di sviluppare farmaci migliori, ma dobbiamo anche considerare seriamente l'idea di alleviare il dolore senza ricorrere ad essi. Decine di americani muoiono ogni giorno per antidolorifici- conclude- abbiamo bisogno di tutto l'aiuto che possiamo ottenere".
(Wel/ Dire)