Psicoterapeuta IdO: Riconoscere il luogo per legittimare lo spazio
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 23 feb. - 'Parliamo piano, li' fuori c'e' mio padre al colloquio con la professoressa d'italiano, ho paura che ci senta!'. Questo dice Andrea, 12 anni, appena entra in punta di piedi nella stanza dello sportello d'ascolto, sito all'interno della sala professori, aveva paura di essere ascoltato dai suoi peggior nemici, pronti a carpire i suoi segreti. A raccontarlo alla DIRE e' Valentina Bianchi, psicoterapeuta dell'eta' evolutiva dell'Istituto di Ortofonologia (IdO), impegnata all'interno degli sportelli d'ascolto a disposizione degli studenti nelle scuole.
'E' inevitabile che prima di poter creare un clima sereno e di confidenza sia necessario fronteggiare quei mostri, relegarli in un angolo, renderli inoffensivi, altrimenti potrebbero entrare in qualsiasi momento e violare uno spazio sacro. In questo caso- spiega la terapeuta- sarebbe potuto accadere davvero, non solo nell'immaginazione, quella porta si sarebbe potuta aprire e lasciare tutti sbaragliati, perche' accade anche questo, a scuola. Puo' fare ingresso il professore per prendere il registro, puo' arrivare qualcuno del personale ATA e chiedere un cambio di stanza, un giorno si puo' stare nell'aula di musica, un altro in quella d'informatica e un altro ancora nel presidio medico, allora come proteggere il proprio setting?', chiede Bianchi. 'E' interessante che dalla ricerca bibliografica non sia emersa alcuna fonte che tratti l'argomento, questo puo' essere legato al fatto che l'Italia e' l'unico grande Paese europeo a non avere una norma sullo psicologo nelle scuole, quindi e' possibile che non ci sia stato ancora un pensiero strutturato sull'intero progetto essendo un fenomeno ancora in fieri'.
La Legge n° 162 del 26 giugno 1990 istituisce il C.I.C.
(Centro di Informazione e Consulenza). Questi Centri possono realizzare progetti di attivita' informativa e di consulenza concordati dagli organi collegiali della scuola con i servizi pubblici e con gli enti ausiliari presenti sul territorio. La legge n°59 del 15/3/'97 (Legge Bassanini) conferisce alla scuola autonomia, non solo didattica ed organizzativa, ma anche amministrativa: 'Questo ha permesso ai singoli professionisti di presentare alle scuole un loro progetto. A volte e' la scuola ad attingere ai propri fondi, a volte e' la Asl a occuparsene, altre volte approdano a scuola volontari di' varie formazioni'.
C'e' chi pensa che sia piu' giusto e utile affidare l'incarico al personale interno alla scuola anziche' affidarsi a figure professionali esterne. Quindi puo' accadere che lo stesso professore che valuta le competenze di uno studente si trovi a parlare con lo stesso alunno dei suoi turbamenti interiori, creando spesso un 'conflitto d'interessi'. Tutto cio' 'la dice lunga sul fatto che ancora ci sia uno scarso interesse sull'argomento e sul fatto che le scuole siano impreparate a accogliere nuove figure professionali in una struttura di rete. Essendo un fenomeno tutto da scoprire- continua la psicoterapeuta dell'IdO- alcune riflessioni stanno nascendo lavorando sul campo e scontrandosi con la realta' con cui si viene a contatto'.
Il termine setting deriva dal verbo inglese 'to set' che significa delimitare, racchiudere, ma costituisce anche un sostantivo di per se' col significato essenzialmente di 'cornice'. In psicoanalisi il setting delimita un'area spazio-temporale vincolata da regole che determinano ruoli e funzioni in modo da poter analizzare il significato affettivo dei vissuti del paziente in una situazione specificatamente costruita per questa rilevazione. Si puo' considerare il setting come archetipo, ovvero come predisposizione e fattore attivante di 'una relazione che cura', di 'un campo totale di forze' in cui emergono i complessi e gli archetipi costellati secondo il progetto unico e irripetibile dato dal Se'.
Il setting non e' indispensabile soltanto per il paziente, ma lo e' altrettanto per il terapeuta, che viene protetto da richieste eccessive e la cui funzione simbolizzante e' stimolata a livello piu' alto. Grazie alla sua stabilita' e alla sua permanenza, il setting garantisce al paziente e al terapeuta la fiducia di base necessaria per pensare nella situazione terapeutica. Il setting rappresenta un terzo elemento che rende possibile il decentramento di una relazione duale troppo ristretta. Si base sull'esistenza di un contratto che stabilisce le condizioni del lavoro terapeutico, solo da quel momento e' possibile l'immersione in una realta' psichica prevalentemente inconscia.
'E' chiaro che a scuola non si fa psicoterapia- ricorda Bianchi- non c'e' un vero e proprio setting, sempre uguale, scandito da spazi fisici, temporali, da regole, da un contratto specifico tra due persone, un contenitore all'interno del quale puo' avere luogo la relazione. Eppure, anche a scuola, ha il suo peso, e questo spazio va difeso piu' che mai, proprio perche' non c'e' la routine, la metodica, gli oggetti e i tempi che aiutano a renderlo stabile e sicuro. Anche verbalmente e' necessario mettere in chiaro l'estraneita' dello psicoterapeuta alle dinamiche scolastiche e l'assoluta segretezza dei colloqui, nonostante ci sia un contatto inevitabile con professori, personale ATA e dirigente scolastico'.
Laddove sia possibile, anche se puo' sembrare banale, 'e' importante rendere lo spazio accogliente e personalizzato, in modo che i ragazzi si sentano di entrare in uno posto altro, non contaminato dal principio scuola e si possano lasciare andare.
Puo' capitare, altresi', che per ricreare un ambiente vagamente riconoscibile, nel passaggio da una stanza a un'altra, si tirino fuori dalla borsa locandine, calendari, brochures pronte a essere affisse a porte o pareti. In questo passaggio- afferma la psicologa- non e' concesso far perdere le tracce, allora si lasciano lungo la strada dei sassolini, come Pollicino, per indicare la via, perche' altrimenti i ragazzi si smarrirebbero. La stessa stanza puo' essere fonte di associazioni e dare delle informazioni o fare affiorare dei ricordi nella persona che vanno sempre prese in considerazioni e contenute'.
Bianchi ricorda di quando Francesca, un giorno, non 'trovandomi nella solita stanza, leggendo il biglietto lasciato fuori la porta mi ha raggiunto nel presidio medico. Quello e' il luogo dove solitamente si assistono i ragazzi che hanno un malore, dove si cura il corpo delle persone e dove c'e' una presa in carico diversa, eppure io, psicologa, dottoressa dell'anima, ero li'. Francesca era turbata, non stava a suo agio, era stata colta da un ricordo inaspettato. In quel momento, quel luogo le ha ricordato un episodio traumatico della sua vita, di quando ha subito molestie da un medico. E' possibile che non fosse la prima volta che entrasse in uno studio, ma e' probabile che quella particolare condizione, che la relazione e la fiducia le consentissero di abbassare le difese e far affiorare il rimosso. In questo caso cio' e' stato possibile solo a seguito di questo cambiamento di scenario, ma forse non sarebbe potuto accadere se in quella stanza non ci fossimo state io e lei'.
A volte sembra che 'quella porta diventi il passaggio dal purgatorio agli inferi e viceversa. È come se magicamente i ragazzi usciti dalla stanza, dopo essersi lasciati andare, si ricompattino e rimettano la maschera necessaria a stare in un ambiente in cui la prestazione la fa da padrona. Spesso la magia sta proprio nel fatto che c'e' qualcuno che li stia ascoltare.
Quindi, al di la' del posto c'e' uno spazio mente-relazione allestito, messo a punto, sistemato, pensato, ordinato, con dei confini specifici, che continuamente organizza e non permette a altro di entrare se non sotto supervisione. La difficolta' e' proprio questa, riuscire a creare un contenitore relazione all'interno di un contenitore scuola, che non tenga fuori contaminazioni, amplificazioni e idee 'paranoiche' ma che le faccia entrare nella stanza e che le faccia stare in un posto piu' sicuro e innocuo, in modo da depotenziarle e renderle gestibili perche' in quel luogo e in quello spazio non possano fare del male'.
Quando si ha a che fare con minorenni, come accade anche in psicoterapia, c'e' un terzo elemento che in qualche modo entra nella stanza e dal quale non si puo' prescindere: i genitori.
'Ogni terapeuta infantile conosce le sofferenze indotte tanto al terapeuta quanto al bambino dall'intrusione dei genitori. Questi si sentono spesso esclusi, soprattutto perche' idealizzano eccessivamente il terapeuta come genitore perfetto, essi tendono ad adattarsi eccessivamente ai limiti posti dall'autorita' del terapeuta o, all'opposto, a mettere alla prova questi limiti.
A scuola, una volta che i genitori hanno firmato le autorizzazioni per il libero accesso dei figli allo sportello, i ragazzi si sentono abbastanza liberi di andare perche' non devono chiedere ogni volta il permesso, nonostante cio' quando i genitori sanno che il figlio frequenta lo sportello si attivano in loro mille timori e provano a contaminare lo spazio.
Proprio per questa ragione- continua la psicoterapeuta- e per tutelare la privacy dei ragazzi, cosi' importante proprio in adolescenza, si e' scelto di separare i due spazi, quindi esiste uno sportello ragazzi gestito da una psicologa e uno per i genitori gestito da un'altra, sempre in un lavoro di e'quipe'.
Questo approccio, pensato e sperimentato dall'Ido, 'e' risultato vincente e e' servito a contenere gli adulti, a rassicurare i ragazzi e, di conseguenza, a mettere al sicuro il setting.
Quindi, nonostante non ci sia il rigore del setting, c'e' un inevitabile incontro tra due persone che in qualche modo si vanno a influenzare creando uno spazio che non necessariamente porti alla trasformazione ma sicuramente a una restituzione di significato altro. In un contesto del genere dove non si fa psicoterapia, dove non c'e' un paziente col suo terapeuta, e' comunque importante stabilire delle regole di base, accogliere le richieste del ragazzo e provare a dare degli spunti riflessivi, in un gioco dinamico che permetta di entrare e uscire continuamente, senza aprire dei varchi che non si possano chiudere'.
Senza voler esprimere un giudizio 'negativo sulla validita' del setting freudiano applicato a un'analisi junghiana, occorre infatti considerare che una tale modulabilita' delle regole era, da parte di Jung, e di quegli junghiani che lo hanno seguito su tale strada, quanto mai coerente a quella visione 'mercuriale' e 'costruttivista' che egli aveva della psiche e della psicoterapia. Di fondo- fa sapere Bianchi- il setting junghiano appare molto piu' elastico e costruito ad hoc sulla relazione di quanto non lo sia quello freudiano. Non dimentichiamo che lo sportello d'ascolto e' rivolto a ragazzi di medie e superiori e si sa che anche in psicoterapia con gli adolescenti non e' possibile seguire il rigore nel setting come puo' accadere con un adulto'.
Se e' vero, quindi, che e' possibile creare comunque un setting altro nel contesto scuola nonostante i tanti limiti e' altrettanto vero che 'l'auspicio sia quello che l'Istituzione, ora che ha compreso l'importanza della figura dello psicologo a scuola, possa dare legittimita' anche al luogo, consegnando uno spazio dignitoso, rispettabile, per il quale ci sia attenzione da parte di tutti- conclude la psicoterapeuta dell'IdO- che in qualche modo significherebbe dare importanza e valore allo spazio interno del ragazzo'.
(Wel/ Dire)