"Cio' che chiamiamo crisi della democrazia e' il crollo della fiducia". Articolo di El Pais
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 23 feb. - Tutto cio' che era solido si e' liquefatto, "i rapporti umani sono diventati effimeri": il padre della "modernita' liquida" e' una figura di riferimento della sociologia. La sua denuncia alla crescente diseguaglianza, la sua analisi sul discredito della politica o la sua visione sulla rivoluzione digitale sono diventati un punto di riferimento per il movimento globale di Occupy e degli indignados.
Zygmunt Bauman, polacco (Poznan, 1925), era un bambino quando la sua famiglia, ebrea, fuggi' dai nazisti verso l'Urss; nel 1968 dovette lasciare il suo paese, privato della sua cattedra ed espulso dal partito comunista in un'epurazione segnata da antisemitismo dopo la guerra arabo-israeliana. Rinuncio' alla sua nazionalita', emigro' a Tel Aviv e si stabili' in seguito all'Universita' di Leeds, che lo ha ospitato per la maggior parte della sua carriera. Il suo lavoro, che e' iniziato negli anni sessanta, e' stato riconosciuto con premi come il Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica nel 2010, con il suo collega Alain Touraine.
È considerato un pessimista. La sua diagnosi della realta' nei suoi ultimi libri e' estremamente critica. In "La ricchezza di pochi a vantaggio di tutti?" (2014) spiega il prezzo elevato del neoliberismo trionfante degli anni Ottanta e la "trentina opulenta" che ne segui'. La sua conclusione: la promessa che la ricchezza di quelli in alto filtrerebbe a quelli in fondo e' stata una grande bugia. In "Cecita' morale" (2015), scritto con Leonidas Donskis, avverte della perdita del senso di comunita' in un mondo individualista. Nel suo nuovo saggio torna a quattro mani, in dialogo con il sociologo italiano Carlo Bordoni. Si chiama "Stato di crisi" e tenta di far luce su un momento storico di grande incertezza.
Nell'intervista concessa al El Pais, alla domanda se vede la disuguaglianza come una "metastasi" e la democrazia in pericolo, risponde: "Quello che sta accadendo ora, cio' che noi chiamiamo la crisi della democrazia, e' il crollo della fiducia. La convinzione che i leader non sono solo corrotti o stupidi, ma sono incapaci. Per agire e' necessario potere: per essere in grado di fare le cose; e la politica e' necessaria: l'abilita' di decidere quali cose debbano essere fatte. Il punto e' che il matrimonio tra potere e politica nelle mani dello stato nazione e' finito. Il potere e' diventato globale, ma le politiche sono locali come prima. La politica ha tagliato le mani. La gente non crede piu' nel sistema democratico, perche' non soddisfa le sue promesse. È quello che sta diventando chiaro, per esempio, con la crisi della migrazione. Il fenomeno e' globale, ma agiscono in termini parrocchiani. Le istituzioni democratiche non sono state progettate per gestire situazioni di interdipendenza. La crisi della democrazia contemporanea e' una crisi delle istituzioni democratiche".
- Il pendolo tra liberta' e sicurezza da che parte oscilla?, chiede il giornalista a Bauman. "Sono due valori estremamente difficili da conciliare. Se si dispone di una maggiore sicurezza bisogna rinunciare a qualche liberta', se si vuole piu' liberta' si deve rinunciare a piu' sicurezza. Questo dilemma continuera' per sempre. Quarant'anni fa abbiamo pensato che avevamo conquistato la liberta' e ora siamo in un'orgia consumistica.
Tutto sembrava possibile con la carta di credito: vuoi una casa, una macchinaà la pagherai piu' tardi. È stato molto amaro il risveglio del 2008, quando il credito facile e' finito. La catastrofe che avvenne, il collasso sociale, fu per la classe media, che e' stato subito trainata da quello che chiamiamo il precariato. La categoria di coloro che vivono in una precarieta' permanente: non sapere se la vostra azienda si fondera' o la comprera' un'altra e andra' a chiudere, non sapendo se gli e' costato tanta faticaà Il conflitto, l'antagonismo non e' tra le classi, ma di ogni persona con la societa'. Non e' solo una mancanza di sicurezza, e' anche una mancanza di liberta'".
- E sul modo in cui i social network hanno cambiato la protesta sociale? "La questione dell'identita' e' stata trasformata in qualcosa a cui e' stato dato un compito: e' necessario creare la tua comunita'. Ma non si crea una comunita', o ce l'hai o no; cio' che i social network possono creare e' un sostituto. La differenza tra la comunita' e la rete e' che si appartiene alla comunita', ma la rete appartiene a voi. È possibile aggiungere amici e eliminarli, e' possibile controllare le persone con cui siamo legati. La gente si sente un po' meglio, perche' la solitudine e' la grande minaccia in questi tempi di individualizzazione. Tuttavia nella rete e' cosi' facile aggiungere o eliminare gli amici che non abbiamo bisogno di abilita' sociali. Queste si sviluppano quando sei per strada, o sul posto di lavoro, e incontri persone con le quali devi avere un'interazione ragionevole. Devi affrontare le difficolta' di coinvolgerli in un dialogo. Papa Francesco, che e' un grande uomo, ha dato la sua prima intervista a Eugenio Scalfari, un giornalista italiano che e' un ateo auto-proclamato. È stato un segnale: il dialogo reale non e' parlare con persone che la pensano come te. I social network non insegnano il dialogo, perche' e' cosi' facile evitare le polemicheà Molte persone usano i social network non per unire e per ampliare i propri orizzonti, ma piuttosto, per bloccarli in quelle che chiamo zone di comfort, dove l'unico suono che sentono e' l'eco della propria voce, dove tutto quello che vedono sono i riflessi del proprio volto. Le reti sono molto utili, danno servizi molto piacevoli, pero' sono una trappola".
(Wel/ Dire)