(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 16 feb. - La cultura americana moderna avversa il peccato. Sostiene che sia un'emozione dannosa, inutile, che non dovremmo ne' sentire noi ne' farla provare agli altri. Cio' e' particolarmente vero quando l'oggetto della vergogna e' la droga e l'alcol. Michael Botticelli, direttore dell'Ufficio della Casa Bianca del National Drug Control Policy, ha condotto una campagna per sradicare i sentimenti di vergogna nelle persone tossicodipendenti. In realta', l'esperienza della vergogna - la sensazione di non aver tenuto fede ai propri standard - puo' svolgere un ruolo positivo nel recupero dalla tossicodipendenza, nonche' da altri tipi di abitudini distruttive.
Rispettivamente come psichiatra e psicologo, abbiamo osservato gli effetti corrosivi della vergogna sui pazienti che presentano condizioni su cui hanno scarso controllo, soprattutto soggetti con schizofrenia e disturbo bipolare. E come la maggior parte delle persone, riteniamo immorale, crudele e clinicamente inutile denigrare o giudicare le persone i cui disturbi - una grave malattia mentale o il cancro - siano in gran parte o del tutto impossibili da modificare con la pura forza della volonta'. Ma la dipendenza e' differente. Contrariamente agli schizofrenici, la persona dipendente puo' assumere il controllo anche parziale.
Sebbene l'uso di droghe pesanti e ripetute alteri il cervello, in particolare le zone alla base dell'autocontrollo, la questione essenziale non e' se si verifichino o meno dei cambiamenti neurali ma se essi disattivino necessariamente la capacita' di una persona di ragionare e di rispondere alle carote e ai bastoni. Una vasta letteratura mostra che la dipendenza e' un'attivita' il cui corso possa essere modificato dalle sue conseguenze prevedibili, tra cui i premi tangibili per ridurne l'uso. Al contrario, nessuna quantita' di rinforzo o punizione puo' modificare il corso di una condizione biologica del tutto autonoma, come il cancro. In effetti, i tossicodipendenti compiono decine di scelte ogni giorno. La maggior parte degli eroinomani, ad esempio, svolge un lavoro retribuito prima di iniettarsi una dose di eroina. Tra le varie decisioni potrebbe esserci quella di iniziare un trattamento o interromperlo. Non vuol dire che smettere sia facile; la maggior parte delle persone che entrano in trattamento sono profondamente in conflitto nell'abbandonare le loro abitudini. Eppure, la motivazione che ha portato molti tossicodipendenti a smettere deriva da uno spasmo di rimprovero. Nel suo libro di memorie sulla dipendenza, 'The Night of the Gun', David Carr, editorialista del New York Times, racconta la decisione che lo ha portati a smettere di consumare droga: l'aver realizzato quanto sia stato irresponsabile aver chiuso le sue due bambine gemelle in una macchina mentre si incontrava con il rivenditore di crack.
A quali condizioni la vergogna incita le persone a correggere il loro percorso? Quando un'intensa autocritica puo' peggiorare e alimentare ulteriormente una dipendenza (per esempio, bere ancora di piu' per disattivare il dolore di quei sentimenti vergognosi)? Da una sintesi matematica di studi precedenti - appena pubblicato sul The Journal of Personality and Social Psychology - uno psicologo dell'Universita' del Connecticut, Colin Leach, e uno dei suoi studenti di dottorato, Atilla Cidam, hanno esaminato i legami tra la vergogna e "l'approccio costruttivo dei comportamenti": aiutare o collaborare con gli altri, scusarsi e fare ammenda per i propri fallimenti. Hanno scoperto che i partecipanti allo studio che hanno sperimentato la vergogna erano meno propensi a impegnarsi in azioni correttive quando credevano che i loro errori non fossero risolvibili, o quando non avevano alcuna possibilita' di chiedere scusa a qualcuno che avevano offeso. Al contrario, i partecipanti sono stati piu' propensi a impegnarsi in comportamenti positivi quando pensavano che i loro errori potessero essere riparati.
La vergogna puo' quindi agire come uno stimolo per modificare il danno auto-inflitto se le persone percepiscono il danno come risolvibile e gestibile. Alla luce di questa scoperta, confrontare la dipendenza a un disturbo puramente biologico come il cancro, potrebbe essere controproducente, portando le persone a considerare le loro abitudini come inalterabili. Questo non vuol dire che la cultura, nel suo insieme, abbia bisogno di abbracciare la lettera scarlatta. Ma significa che i terapeuti possono sfruttare il senso di vergogna dei pazienti per aiutarli. Pensiamo al paziente che si vergogna perche' si considera "una cattiva madre" - dicono che correva rischi avendo l'abitudine di lasciare il suo bambino alle cure di adulti violenti. Questa donna doveva essere aiutata a capire non solo che la sua vergogna e' realistica, ma anche che le emozioni possono essere dei segnali. In questo caso, la vergogna indica che il modo migliore per riparare e gestire il suo sentimento di rimorso e' impegnarsi pienamente nel proteggere i suoi figli e nel guadagnare la loro fiducia. In altri casi, la vergogna e' ingiustificata e dannosa. Un esempio classico e' quando in un paziente la vergogna assume la forma di una condanna: e' intrinsecamente non amabile. E' fondamentale che il terapeuta aiuti il paziente a distinguere tale vergogna inadeguata, che va al cuore dell'autostima, da realistiche auto-valutazioni che guidano le azioni di riparazione. Nonostante la sua cattiva reputazione, la vergogna e' un'emozione che puo' essere utile in determinate circostanze. Se la gente crede di poter cambiare, poi la vergogna potrebbe aiutare a ottenere quel cambiamento.
Sally L. Satel e' uno psichiatra e uno studioso dell'American Enterprise Institute; Scott O. Lilienfeld e' un professore di Psicologia alla Emory University. Enrambi sono gli autori di "Brainwashed: The Seductive Appeal of Mindless Neuroscience".
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