(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 2 feb. - "E' l'ennesima richiesta di aiuto forte, a cui non possiamo restare indifferenti. Ed e' il segno di quanta difficolta' abbiano oggi i ragazzi ad esprimere il disagio": il riferimento e' al caso della ragazza, anzi della bambina di Pordenone, che a 12 anni si e' lanciata dal balcone di casa, fortunatamente senza gravi conseguenza, perche' "non ce la facevo a rientrare a scuola". Secondo gli ultimi dati Istat, nel 2014 oltre il 50% degli 11-17enni ha subi'to qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Il 19,8% e' vittima assidua di una delle 'tipiche' azioni di bullismo, cioe' le subisce piu' volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale. Anna La Prova e' la psicoterapeuta che, per l'Ordine degli psicologi del Lazio, segue attenzione il tema della scuola.
- Dottoressa La Prova, l'ennesima storia di bullismo: aumentano i casi, o semplicemente li vediamo e ne parliamo di piu'? "Non so quale sia la risposta, perche' dati sul passato non ce ne sono. Sicuramente pero', quando questi casi si verificano, non possiamo non agire. Ci parlano di un disagio forte, che evidentemente non ha trovato altro modo per esprimersi che questo: un gesto estremo. E il problema principale credo sia questo: la difficolta' di esprimere il disagio".
- Da cosa deriva questa difficolta'? "In parte, seppur certo non del tutto, dalle modalita' comunicative che sono cambiate: i giovani comunicano sempre piu' tramite i social network e WhatsApp: lo schermo protegge da confronto diretto, ma al tempo stesso non educa a questo confronto. E quando devo comunicare un disagio, ho bisogno di una comunicazione diretta. Ho bisogno di parlare: con un genitore, con un insegnante, con un amico. Il problema e' che le vittime del bullismo spesso si percepiscono inadeguate, sbagliate e quindi fanno fatica a parlare perche' pensano che il problema sia loro. Per questo il mio consiglio e' innanzitutto di parlare: insegnanti e genitori facciano capire che c'e' la possibilita' di aprirsi. E veicolino il messaggio che anche il bullo ha un disagio, perche' un ragazzo che ha bisogno di umiliare e atterrire un suo compagno esprime un dolore e ha bisogno di aiuto. E' bene quindi che si parli della fragilita' del "bullo", perche' anche le vittime si sentano meno vittime e comprendano che colui che percepiscono come invincibile e' in realta' pieno di debolezze".
- Parliamo dei genitori: delle loro responsabilita', ma soprattutto di quello che possono fare? "Spesso per i genitori e' difficile cogliere il disagio nel proprio figlio. Assisto a fenomeni opposti, oscillanti tra l'iperprotezione e il lassismo, accomunati pero' dalla difficolta' di ammettere "mio figlio sta male". Perche' il sottotitolo di questo e': "io ho sbagliato".Sappiamo invece che il disagio e' sempre multifattoriale, e' passata l'epoca in cui si attribuivano le "colpe", ora al padre, ora alla madre, ora a entrambi. Adesso sappiamo che i fattori sono tanti, ma resta la difficolta' dei genitori di riconoscere il disagio dei propri figli, a cui si aggiunge anche quella di controllare le loro relazioni, sempre piu' virtuali, fatte di messaggi che si possono nascondere, o cancellare. Che fare allora, come genitori? Non certo controllare, perche' essere presenti non significa questo.
Piuttosto far capire al figlio o alla figlia che puo' parlare, dando il messaggio "Ti capisco ma non ti giudico". Spesso invece, di fronte al disagio espresso da un figlio, il padre o la madre tende a esprimere un giudizio, o a dare subito la soluzione: "Non farti prendere in giro". Ma se il figlio non ce la fa, si sentira' inadeguato. Il dialogo deve essere invece accettante e comprensivo: "so quanto e' faticoso, maà". E poi i genitori devono fare rete con la scuola, non accanirsi contro questa, distribuendo le colpe tra insegnanti e studenti".
- La scuola, appunto. Quanto e' sensibile a questa problematica? Quanto e' reattiva, prendendo iniziative oggi peraltro facilmente reperibili, grazie ad associazioni? Quanto invece e' arroccata e reticente? "Anche la scuola e' in difficolta' quando si sente giudicata, ma in generale mi pare sia piu' sensibile a queste tematiche. E' vero che ci sono tanti progetti e iniziative che possono essere attivati nelle classi per prevenire il fenomeno: ma credo che ancor piu' sia importante creare momenti di dialogo e confronto con gli studenti. Invito quindi gli insegnanti a dedicare spazio e tempo a discutere di questi temi, aiutandosi anche con i tanti testi a loro disposizione".
- Tornando ai casi in aumento: i ragazzi stanno diventando piu' cattivi, oppure piu' vulnerabili? In altre parole, dietro il gesto disperato della vittima di bullismo c'e' la cattiveria del bullo o la fragilita' della vittima stessa? "Credo che il problema sia soprattutto la vulnerabilita', che peraltro accomuna bullo e vittima. Soprattutto, c'e' una maggiore fragilita' e difficolta' nel reggere le frustrazioni rispetto al passato. I bisogni oggi vengono soddisfatti subito, cio' che desideriamo possiamo averlo senza attendere, non siamo abituati a procrastinare la soddisfazione del desiderio. Questo non educa a reggere la frustrazione, non insegna a dire: "se non posso averlo oggi, lo avro' domani". E lo stesso accade con le emozioni: appena provano un' emozione spiacevole come la presa in giro, fanno fatica a sopportare e ad aspettare che passi. E questo li rende estremamente vulnerabili. Tanto da compiere gesti come quello della bambina di Pordenone".
(Wel/ Dire)