I disabili maltrattati e il silenzio degli educatori: "Serve scatto d'orgoglio"
Paolini: I servizi devono essere delle case di vetro senza porte o, comunque, con le porte aperte"
(DIRE-Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 5 apr. - E' di pochi giorni fa l'ennesima notizia di violenza su un bambino con disabilita' in una scuola romana: negli ultimi tempi sembrano essersi moltiplicati gli episodi di abusi, maltrattamenti commessi da insegnanti, educatori e operatori verso persone deboli e a loro affidate. Ne parliamo con Mario Paolini, pedagogista, musicoterapeuta, docente e formatore. Il suo lavoro e' formare coloro che si prendono cura delle persone con disabilita'. E a proposito dei recenti casi di violenza commessi da alcuni di questi, ha parlato di "silenzio assordante della categoria": e' solo una provocazione? "E' la richiesta di uno scatto d'orgoglio da parte di tante brave persone che, ogni giorno, fanno bene un lavoro complesso, faticoso, ma anche bello. Il silenzio non e' solo di adesso: qualche anno fa, quando la crisi ha colpito molti enti pubblici, provocando situazioni pesanti sui servizi, la categoria degli educatori e degli operatori resto' in silenzio, limitandosi a iniziative locali, incapace di tessere reti. Forse- afferma il musicoterapeuta- serve piu' tempo o forse siamo talmente abituati a vedere cose che non vanno che, anche questi episodi, non riescono a invertire la tendenza. Ci sono alcune cose da fare perche' resti invalicabile cio' che separa la violenza e il corretto agire anche nelle situazioni difficili; e per conoscere i fenomeni e migliorare la prevenzione serve parlarne".
Si e' portati a pensare "Nella mia scuola/nella mia comunita' queste cose non potrebbero mai accadere", eppure esistono delle forme di violenza strisciante. Fra gli stessi operatori c'e' consapevolezza del rischio di essere contagiati? "Credo che la consapevolezza ci sia, basta poco per farla emergere, ma allo stesso tempo e' forte lo stupore per cose che si sentono lontane. Quando molti anni fa, venni a conoscenza della vicenda dello sterminio dei disabili e dei malati di mente durante il nazismo, ricordo che la mia reazione fu di malessere verso me stesso, perche' quei fatti obbligavano me a fare i conti con la banalita' e la facilita' con cui si puo' diventare cosi'. Forse si dovrebbe ricominciare a garantire delle buone supervisioni- continua Paolini- dei percorsi di aggiornamento che stimolino le persone ad aver voglia di tenere accesa la passione verso il proprio lavoro, indagando le normali piccole cose quotidiane, perche' violenza puo' essere uno sguardo, un tono di voce, un silenzio. E da soli e' difficile accorgersi di essere andati oltre".
Quali sono i "trucchi" per fronteggiare il logoramento, la stanchezza, la solitudine di docenti, operatori, educatori? "Quando ne parlo con le persone che incontro, dico sempre che bisogna maggiormente condividere le cose belle nel lavoro e si cede al logoramento se si perde la voglia di aver cura di se', dell'equipe, della rete. Un trucco e' scrivere, avere memoria di se', ma con una scrittura che si offra ad altri, non un diario intimo. È un errore scrivere solo cose che riguardano chi e' destinatario dell'intervento, e' interessante includere anche se', perche' nella relazione si e' almeno in due. Oltre alla manutenzione delle strutture e' davvero importante la cura e la manutenzione del capitale umano: la solitudine, secondo me, e' la cosa peggiore e mi sembra di vederne tanta. È strano perche' tutto e' cominciato con processi di partecipazione, di incontro, di contaminazione. Se vogliamo davvero consolidare cio' che e' stato realizzato, dobbiamo aumentare il numero di persone che ritengono quel che facciamo bene comune e di cui tutti siamo responsabili".
Da situazioni di crisi nascono opportunita': quale e' il salto che occorre fare per garantire l'integrazione e coinvolgere le persone che sono estranee a questo mondo? "I servizi devono essere delle case di vetro senza porte o, comunque, con le porte aperte, permettendo a tutti di comprendere che sono piu' 'interessanti' le ragioni di un modello inclusivo rispetto a quelle dell'esclusione, della violenza, dell'abuso. Non e' il mondo dei sogni, anche se la cultura dell'inclusione resta una cultura di minoranza. Ma forse anche per questo e' importante non isolarsi; non servono Don Chisciotte ma don Milani, straordinari sognatori entrambi, ma il secondo era piu' bravo a menare. E poi uno dei diritti che dovremmo garantire alle persone fragili e' quello all'autodeterminazione, significa poter scegliere, poter essere. E' bello ma spaventa conclude il pedagogista- e' un'altra fune da sganciare affinche' la nave vada per la sua rotta, non la mia; e noi dovremmo stare attenti a permettere a tutti la navigazione".
(Wel/ Dire)
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