Importante l'aspetto emotivo e l'aiuto di insegnanti e genitori
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 15 set. - Per affrontare qualsiasi compito cognitivo quotidiano serve avere una buona memoria di lavoro, per conservare in memoria più informazioni utili, inibire alcuni comportamenti non consoni al contesto, pianificare le attività da svolgere e rimodularsi in base alle richieste dell'altro con flessibilità. "Anche se non ce ne accorgiamo le funzioni esecutive ci seguono costantemente e ci supportano nella nostra vita. Oggi fortunatamente è possibile individuare i precursori delle funzioni esecutive e i segnali d'allarme per un'organizzazione che si sta strutturando in modo disarmonico anche in bambini di 2-3 anni. Il trattamento però deve essere mirato e coinvolgere la famiglia e la scuola". Lo rivela Ivana Di Maggio, psicopedagogista di Palermo, specializzata nella valutazione e nel trattamento dei disturbi delle funzioni esecutive.
"Non siamo nati con le funzioni esecutive ma con la possibilità di svilupparle- prosegue- è un processo lento che inizia nell'infanzia, per questo il training deve essere mirato sulle aree deficitarie per attivare e rinforzare le connessioni neurali".
In questo ambito la scuola svolge un ruolo fondamentale: "Se un bambino ha una difficoltà nell'attenzione, l'insegnante può aiutarlo con alcuni accorgimenti che possono sembrare banali ma non lo sono: fargli fare delle pause con attività gradite, farlo alzare alla fine dell'attività per cancellare la lavagna, renderlo più responsabile del materiale didattico e informatico della classe, ciò permetterà di ottenere un maggiore coinvolgimento e una maggiore concentrazione. Un minore con difficoltà di pianificazione può essere sostenuto invece nelle attività scolastiche, suddividendo la consegna in micro sequenze, suggerendo di organizzare il materiale a disposizione secondo un ordine di necessità e tante altre indicazioni su misura per ogni bambino".
La psicopedagogista poi precisa: "La valutazione delle funzioni esecutive non può prescindere dall'aspetto emotivo. Nei primi mesi di vita il bambino possiede già una competenza emotiva perchè attraverso le espressioni emotive interagisce con l'adulto. Le emozioni hanno una funzione adattiva, permettono al minore di adattarsi all'ambiente, integrarsi con esso e rappresentarselo, ma hanno anche una funzione comunicativa. Il processamento delle informazioni non può essere scisso dalla componente emotiva, pertanto l'intervento terapico deve essere svolto su entrambi i piani, questo permette l'autoregolazione".
L'obiettivo del terapista è "far acquisire al bambino processi e rappresentazioni di sé e degli altri, aiutarlo ad integrare realtà interna ed esterna, avviarlo all'elaborazione di strategie per la costruzione di funzioni adattive rispetto agli scopi che si propone. Il terapista deve avere fiducia nella sua capacità di resilienza".
Occorre distinguere "il ritardo cognitivo dal disfunzionamento esecutivo. Da qui l'importanza di una valutazione svolta con test specifici per fasce d'età, che prescinda da un QI (Quoziente Intellettivo) falsato dal malfunzionamento, e che non dimentichi il problema dell'impurità dei test, che non possono isolare un dominio specifico.La valutazione- conclude Di Maggio- non può prescindere dal necessario inquadramento diagnostico del neuropsichiatra infantile".
(Comunicati/ Dire)