"Eppure esistono strumenti clinici validi già a 18 mesi di vita"
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 27 ott. - "C'è un ritardo diagnostico di oltre 2 anni per i disturbi dello spettro autistico- sottolinea la pediatra- che, privando il bambino di tempestivi interventi abilitativi, è causa di insuccessi terapeutici e di trattamenti assistenziali poco incisivi nel modificare favorevolmente l'evoluzione del disturbo stesso". Lo dice Teresa Rongai, segretario della Federazione italiana medici pediatri (Fimp) di Roma.
Per l'autismo, infatti, "sono disponibili strumenti clinici in grado di farci porre un sospetto diagnostico già a 18 mesi di vita. In realtà- prosegue il pediatra- l'età media di diagnosi a livello nazionale per lo spettro autistico è di circa 5 anni. La necessità di acquisire specifiche competenze per consentire al pediatra di eseguire un accurato esame neuromotorio, nasce dalla consapevolezza che molti disturbi del neurosviluppo e buona parte delle malattie rare/metaboliche/complesse, possano esordire, sin dai primi mesi di vita, con un ritardo di acquisizione delle competenze neuromotorie".
Le caratteristiche di questi segnali, "sebbene possano dare l'idea di un significato non chiaramente patologico, meritano, comunque, grande attenzione clinica in quanto spie, in molti casi, di patologie che possono esprimere, drammaticamente, una sintomatologia conclamata anche tardivamente nel corso dell'età evolutiva. Per una diagnosi efficace- conclude Rongai- è opportuno valutare i tre assi di sviluppo (neurovegetativo, motorio e psicorelazionale) nel contesto della relazione, soprattutto nei primi mesi di vita".
(Wel/ Dire)