(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 6 ott. - Entrando nella terza stanza del "Museo della sguardo sulla disabilità" allestito dall'associazione 'Come un albero', un lungo tavolo ci accoglie. Siamo nella sala da pranzo, la stanza per eccellenza dello stare assieme.
Al di là degli sguardi e delle parole che abbiamo visto fino a qui, di base c'è una percezione comune che ritiene che i processi di accoglienza e condivisione avvengano in nome del rispetto di diritti che oggi, carte e normative alla mano, mette al centro la persona con disabilità. Ma spesso, nonostante questa percezione, la rete - che dovrebbe sostenere le famiglie e gli utenti - piano piano sembra sfilacciarsi, incomincia a non tenere più o, peggio, incomincia ad irretire.
I numerosi livelli che agiscono si mischiano, si confondono, a volte si contraddicono tra loro. Quando le cose non funzionano, ognuno incomincia a dare la responsabilità di un servizio agli altri e, non si sa perché, la colpa ricade sempre sulle famiglie. Un giro perverso, ambiguo e pericoloso: mentre si parla di inclusione, agiscono pratiche che escludono.
"Non ricordo, negli ultimi quaranta anni della mia vita, un momento che sono stata da sola, senza mio figlio. Non un cinema, un teatro, una passeggiata", racconta una delle mamme dell'audio documentario Se queste mura parlassero, "questo mi fa pensare che i servizi offerti non riescono a rispondere alle esigenze di noi genitori".
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L'ingresso
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Il soggiorno
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La sala da pranzo (Wel/ Dire)