Ricerca in Italia per 'Uno sguardo sulla professione che cambia'
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 17 nov. - Per gli assistenti sociali in Italia è molto forte la percezione che il sistema di welfare attuale sia in fase di smantellamento. Il ruolo del terzo settore non è percepito come ostile, ma non piace che il privato vero e proprio diventi soggetto erogatore di servizi. È questo ciò che emerge dalla ricerca "Gli assistenti sociali in Italia. Uno sguardo sulla professione che cambia".
L'iniziativa nasce da una collaborazione tra le Università di Lund (Svezia), di Helsinki (Finlandia), di Genova e il Consiglio nazionale dell'Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali e rappresenta l'estensione di uno studio svolto in Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia. La rilevazione è stata effettuata via mail: sono state raggiunte 5.596 caselle di posta elettronica e al questionario hanno risposto in 2.718 assistenti sociali. Di questi, la maggior parte è over 45 (45 per cento) e quasi esclusivamente donne (95 per cento) impiegate nel pubblico (85 per cento), in special modo nel settore 'Bambini, adolescenti e famiglia' (44 per cento). La ricerca ha voluto conoscere le opinioni degli assistenti sociali italiani in merito allo stato del welfare, la povertà e il lavoro, e rilevare, inoltre, il pensiero della professione in Italia in questa complessa fase socio-economica.
In particolare per quanto riguarda il welfare, gli assistenti sociali ritengono di essere esposti a un significativo ridimensionamento delle risorse e al contempo di vedere aumentare il ruolo dei soggetti esterni alla pubblica amministrazione per l'erogazione delle prestazioni. La scarsità di risorse è percepita in modo più evidente dalle fasce più giovani del campione (97%), le stesse però valutano anche il sistema come più generoso (70,9%). La carenza di risorse è percepita meno, invece, tra coloro che lavorano con politiche attive del lavoro. La percezione di uno smantellamento del welfare è meno evidente tra chi lavora con gli anziani ma più evidente tra coloro che lavorano nella sanità e con la cura della salute. L'opinione che il sistema debba essere reso più generoso è meno diffusa tra coloro che lavorano col sostegno economico e gli anziani e più diffusa tra coloro che lavorano con bambini, adolescenti, famiglia.
Guardando a livello regionale, emerge che gli assistenti sociali del Sud sono più spesso d'accordo con l'affermazione che il servizio sociale nel loro paese sia "caratterizzato da un'antiquata mentalità socio-assistenziale che nulla ha a che vedere con le moderne politiche sociali". Allo stesso modo sono d'accordo, in misura maggiore rispetto agli assistenti sociali del Nord e Centro, che il servizio sociale è caratterizzato da una scarsa collaborazione con le organizzazioni del terzo settore e che il ruolo degli assistenti sociali è fortemente limitato da leggi e regolamenti.
La ricerca dedica anche un capitolo al tema della povertà e delle principali cause secondo gli assistenti sociali, anche con un occhio a differenze di opinione su scala territoriale. Le spiegazioni strutturali della povertà (ci sono grandi ingiustizie nella società, il livello di prestazioni è troppo basso...) sono le più quotate, soprattutto al Centro e al Nord. Tuttavia, "sorprende il fatto che gli assistenti sociali delle regioni più povere del Mezzogiorno supportano anche due delle spiegazioni più individualistiche della povertà (scarsa forza di volontà, pigrizia) in misura leggermente superiore rispetto agli assistenti sociali del Nord e Centro".
(Wel/ Dire)