Legge 1044: le parole nascoste nel testo
Significati, significanti e imperativi categorici. Articolo di Tiziana Bonfili, pubblicato sulla rivista 'Bambini'
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 17 nov. - La legge 1044, del 2 dicembre 1971, nacque in un contesto storico-sociale e politico-culturale totalmente diverso dall'attuale e il vento del cambiamento ci spingeva a ricercare significati più veri e a produrre 'discontinuità' col passato. Chiedevamo una società 'più giusta e libera' e nei quartieri di periferia (brulicanti di conflitti coi padri, ai quali imputavamo un moralismo di facciata, di molteplici narrazioni fatte soprattutto dalla generazione dei nostri nonni sulle atrocità di una guerra ancora recente di cui volevamo capire il senso) ci confrontavamo con quegli intellettuali più illuminati e impegnati socialmente. Nei 'centri culturali', allestiti con semplici panche di legno e un palco, ci interrogavamo per capire 'che fare' e loro, insieme a noi cercavano di dar voce ai bisogni di un popolo sulla lezione gramsciana dell''intellettuale organico'.
Rappresentazioni teatrali, forme artistiche di vario genere, proiezioni di film, sostanziavano i nostri dibattiti in quei giorni e la fruizione non era mai scissa dal confronto collettivo. Al centro culturale Centocelle, in un quartiere della periferia Sud di Roma, venivano a dialogare con noi giovani Volonté, Schiano, Moravia, Gregoretti, Nanny Loy, Maraini, Cirino, che nel 1972 dopo aver rappresentato proprio lì con la cooperativa 'Teatroggi' due testi della Maraini: 'Gli anni del fascismo' nel 1971 e 'Viva l'Italia' nel 1972, lavorò nello sceneggiato 'Diario di un maestro' trasmesso dalla RAI nel 1973, su un soggetto tratto dal libro autobiografico 'Un anno a Pietralata', del maestro elementare Albino Bernardini. Pasolini scriveva delle periferie e delle 'madri false e bugiarde' che educano i figli ai disvalori e, nei territori, in un Paese ad alto tasso di analfabetismo, nascevano le scuole popolari. Da poco era passato il Sessantotto e la mia bibbia, che nel 1973 concordai di portare all'esame di Psicologia sociale era Psicologia di massa del fascismo di W. Reich, centrato sull'analisi della famiglia come riproduttrice del modello e del consenso sociale. 'Tutto il potere all'immaginazione' era auspicio e indicazione, un 'imperativo categorico', assai utile a stimolare il 'pensiero critico'. Così il sistema era obbligato a venire a patti, a rinnovarsi. Come il pensiero nel bambino cresce via via su nuovi 'adattamenti' e 'risposte', come ci insegnava fin da allora Piaget, così in quell''età dell'oro' cresceva e si sviluppava la nostra coscienza collettiva. Gli studenti scendevano in piazza con gli operai, accomunati da uno stesso desiderio di 'giustizia sociale'.
In quegli anni a Roma, le lotte riuscirono a far chiudere il settimo reparto del S. Maria della Pietà, dove venivano ancora ricoverati i bambini down, incredibile ripensare oggi a quel 'delitto'! E solo sette anni più tardi dalla legge istitutiva degli asili nido: la 1044, il 13 maggio 1978 fu approvata un'altra legge, anch'essa volta al rispetto della vita, la legge Basaglia: la 180, sicuramente più conosciuta ancora oggi dall'opinione pubblica rispetto alla 1044: i 'matti' slegati fanno più paura dei bambini da accudire in un paese che da sempre tende a risolvere in maniera 'familistica' il problema dei figli e che nei periodi più bui è abituato a riscoprire l'arte di arrangiarsi. Ma la 'vita nuova' non dovrebbe essere considerata il più importante 'bene comune'?! Per gli asili nido la manipolazione delle notizie, quasi da subito, fu legata ai costi del servizio, e ciò permise che di lì a poco il nido, da pubblico, fosse trasformato in 'servizio a domanda individuale', facendone saltare la gratuità. I nidi non erano una priorità per tutti, l'informazione di massa non ne descriveva, proprio come oggi, l'importanza per la socializzazione dei bambini e la possibilità di fare esperienze determinanti nella fascia d'età 0-3 anni.
Nonostante tutto, in quegli anni ventosi, la legge istitutiva degli 'asili nido' fece da apripista al rivoluzionario modo di pensare al bambino e fece sì che finalmente si puntasse una lente di ingrandimento sui bisogni dell'infanzia. Una nuova filosofia di vita si prendeva il diritto a essere, seppure quel pensiero non riusciva a diventare 'coscienza collettiva'. Negli anni Settanta, tante di noi erano universitarie, politicizzate, femministe, ma soprattutto eravamo donne, consapevoli della 'differenza di genere' e anche dei nostri 'diritti', avevo appena vent'anni nel 1975, quando aprii con le mie colleghe nella periferia Sud di Roma, in Via Pirotta al Quarticciolo, uno dei primi tredici nidi comunali. Qualche tempo dopo chiesi con altre 'assistenti asilo nido', così ci chiamavamo allora, un incontro con Elena Gianini Belotti, che nel 1973 aveva scritto 'Dalla parte delle bambine', dove si evidenziava come la differenza di carattere tra maschio e femmina non fosse un fattore innato, bensì 'un portato dei condizionamenti culturali subiti dall'individuo fin dalle prime fasi dello sviluppo'. Sentivamo di dover riflettere anche su questo tema, in un ruolo professionale da 'educatrici', come ci sentimmo invece da subito nelle prassi giornaliere con bambine/i. Sapevamo che potevamo contribuire a definire la qualità di quel novello servizio per l'infanzia e volevamo formarci, confrontarci, crescere.
Neuropsichiatre, terapiste, terapeuti erano con noi a supportarci. Ricordo con affetto e gratitudine la Neuropsichiatra Giovanna Mazzoncini, sorella dell'altra Mazzoncini che lavorava all'Istituto di Neuropsichiatria 'da Bollea', che veniva frequentemente al nido con le terapiste e che si intratteneva con noi per spiegarci 'come lavorare' con E., una bambina down ipotonica, i cui genitori erano stati sollecitati come altri all'integrazione precoce nel servizio. Ricordo tutti i bambini dei quali mi sono presa cura nel tempo, i loro nomi, più di tutti quelli con maggiori difficoltà, perché mi hanno permesso di capire meglio 'che fare' anche con tutti gli altri. Fondammo il sindacato del settore e cominciammo a incontraci in molte in Via del Velabro alla Cgil, vicino al Campidoglio, per crescere insieme sulla definizione del nostro 'ruolo professionale'. Ci coordinava un 'vespillone', un cimiteriale, un vecchio socialista, un gigante buono che facevamo impazzire nel vero senso della parola, così giovani e chiassose, totalmente diverse dagli impiegati comunali di quei tempi.
L'Istituzione volente o nolente dovette adattarsi a noi e alla nostra voglia di rinnovamento dei 'protocolli'. All'inizio eravamo state assegnate allo stesso Dipartimento dei Vigili urbani, non sapevano proprio dove collocarci, di lì a poco fummo assegnate al Dipartimento dell'Ufficio d'Igiene, perché i fondi per gli 'asili nido' li stanziava, come dettava la legge, il Ministero della Sanità.
Lavoravamo alacremente nei servizi e da subito cominciammo a viaggiare a nostre spese, per andare ai convegni in regioni più emancipate dal punto di vista dei servizi per l'Infanzia, come Emilia Romagna e Toscana, per riportare a Roma, prima città del profondo Sud, spunti di lavoro e idee di rinnovamento. Noi che eravamo entrate a lavorare nel 1975, ci eravamo ritrovate a fare il tirocinio nei nidi dell'ex ONMI, non era quello il modello al quale aspiravamo, seppure anche lì ci era capitato di incontrare delle operatrici materne che sapevano voler bene ai bambini grazie alle nostre prerogative di genere. La mia generazione usciva dalla sottomissione a un modello maschilista centrato sulla famiglia patriarcale e si trovava a vivere finalmente uno spazio dove potersi confrontare, educatrici e madri, sui problemi della maternità e del bambino. I padri ci affiancarono da subito e il servizio si trasformò presto in un servizio per le famiglie.
Tutto il simbolico legato all'idea di rinnovamento si sposava bene con la nostra giovane età e con le nostre idee, marciavamo lucide e col vento in poppa, solerti. Ricordo con tenerezza le domeniche del mio primo anno di lavoro, il 1975-76, quando preoccupate per la delicatezza dell'impegno, ci riunivamo con altre a casa di una collega a S. Lorenzo per studiare Margaret Mead e i comportamenti nell'allevamento dei bambini nei diversi gruppi umani. Per noi 'la centralità' da subito è stata del bambino. Le donne che avevano bisogno di nido e che arrivarono da noi nel 1975, parecchie, venivano dalla catena di montaggio, servivano mani più piccole di quelle degli uomini in quel momento storico per maneggiare con cura piccoli componenti elettronici, dunque non fu solo la generosità del Welfare a far costruire i nidi per le donne. Sia noi che loro servivamo al Welfare! A Via Pirotta tra le prime mamme arrivarono le operaie del Consiglio di fabbrica della Voxon, ricordo perfettamente i nomi di alcune e tutti i loro volti, la grinta che ci mettevano nelle lotte e la consapevolezza dei diritti che avevano, più di noi. Da subito cominciammo a lottare insieme, anche coi padri, così come facevano nelle piazze studenti e operai.
Incredibilmente nella normativa, i bambini avrebbero dovuto uscire dal servizio appena compiuti i tre anni, senza avere alcuna garanzia di essere accolti da qualche altra parte fino al settembre successivo. Questa assurdità ci portò più volte a restare fino a notte inoltrata sotto la sede del Consiglio Comunale a protestare, per vincere la battaglia che doveva modificarla. La spuntammo insieme, per soddisfare la loro necessità di servizio e per tutelare i diritti del bambino, non spezzando il suo percorso in maniera così insensata. Rosetta è il nome di un'altra donna che mi è capitato di incontrare più tardi nella mia lunga carriera di educatrice. Lei è stata una 'collaboratrice' della sezione 'Ponte' di una delle due scuole dell'infanzia che sono andata a coordinare, veniva dalla catena di montaggio della Erickson e come tante altre, estromessa nel tempo dal sistema industriale per obsolescenza del modello produttivo, dopo la cassa integrazione e i lavori socialmente utili, era approdata alla Multiservizi. Al mio fianco ne ho ritrovate tante di queste donne come 'collaboratrici' che avevano fatto l'esperienza della catena di montaggio negli anni Settanta, una generazione che ho amato profondamente, capace di 'cura' verso il bambino anche grazie ai confronti fatti tutte insieme, 'assistenti' e madri, in quegli anni di lotte per i servizi.
Grazia, Bruna, Silvana, come Rosetta hanno saputo restituire al servizio e ad altre bambine e bambini tutto quello che il servizio e l'attuazione di quella legge, la 1044, avevano saputo dare loro molti anni prima. Inserite a lavorare nei nidi e nelle scuole dell'infanzia hanno contribuito insieme a noi a costruire 'protocolli' più attenti e più adeguati ai bisogni delle bambine e dei bambini. I significati del servizio, l'importanza della loro funzione, relativamente all'acquisizione di 'autonomia' nel bambino e alla 'cura', era loro chiarissima.
Di questa generazione che è andata in pensione non posso che sentire la mancanza. Siamo riuscite tutte insieme a produrre significati nuovi e collettivi, abbiamo aperto varchi, ribaltato un sistema di stare col bambino, siamo migliorate nel modo di dare affetto e nelle nostre capacità empatiche e relazionali, lo siamo nelle nostre vite, come madri e come nonne. Tutto questo grazie alla legge 1044. Quando si dice una buona legge! È migliorata così pian piano con le nostre 'buone prassi' e grazie alle riflessioni individuali e collettive anche la 'qualità dei servizi per l'infanzia'. È nato un pensiero sui servizi non solo attraverso la lettura dei testi, o la partecipazione ai convegni, che abbiamo comunque continuato a cercare come affamate, perché ai bambini bisogna saper dare il prima possibile risposte buone per evitare i danni. Le donne conoscono bene il peso dei sensi di colpa provocati dalla consapevolezza di aver sbagliato e tendono a ricercare, per restituire con gratitudine alla vita nuova, per i piaceri che sa donare loro, prima che possa prendere il volo libera e vitale. E proprio con la 'ricerca collettiva di significati' ad un certo punto abbiamo saputo tutte che se fossimo rimaste ancorate alle nostre 'rappresentazioni' individuali, a significanti vuoti, non avremmo potuto che far subire alle bambine e ai bambini affidatici con ansia da donne come noi, la nostra insulsa, autoreferente, individualista, sciocca e nociva 'empatia egocentrica'.
'Liberare dall'ansia le madri', 'accogliere ognuna col suo bambino/a' e 'capire' sono stati per noi da sempre 'imperativi categorici' pressanti, imprescindibili. Voglio elencare e condividere la sequenza delle mie e nostre parole chiave, quelle sulle quali abbiamo ragionato collettivamente, per ricercare 'condivisione', senza la quale non ci può essere 'qualità dei servizi', ricercatrici fino allo sfinimento da allora, come allora, più di allora, soprattutto da quando abbiamo compreso anche la 'ricchezza del conflitto' senza più temerlo. Le prime furono 'gestione sociale', 'socializzazione', 'psicomotricità', 'corpo-mente-emozioni', 'cura', 'prevenzione', 'diagnosi precoce', per 'limitare il danno', per 'favorire integrazione', come ci insegnavano il professor Bollea, il professor Ottaviano e tanti altri che hanno arricchito le nostre conoscenze. Hanno saputo spiegarci, emozionati come noi e con semplicità, che da 0 a 3 anni è ancora possibile creare 'sinapsi', 'gettare ponti', 'riattivare da input esterni zone lese del cervello'. Poi 'pulsione a conoscere', 'osservazione', 'feedback', 'indicatori di qualità' sull'insegnamento di Loris Malaguzzi e del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia. Fin dal 1981, qui a Roma ne siamo entrate a far parte, ci incontravamo al CIDI a piazza Sonnino che accettò di ospitarci. Queste e molte altre parole ci hanno agito e abbiamo agito nel tempo in questi quarant'anni. I significati che forse non avremmo mai saputo vedere e capire, chiuse tra le mura delle nostre case, all'interno delle nostre limitate dinamiche familiari, siamo riuscite a vederli nei servizi per l'infanzia, potendoci rispecchiare nell'esperienza altrui, nei comportamenti dei bambini e dei loro genitori, negli sguardi e posture. E siamo uscite rafforzate dalle 'isole' dei singoli servizi sulla spinta di voler 'risolvere sempre', anche i problemi più difficili.
Sul vento della 1044 ancora sto viaggiando e viaggerò fino a che avrò vita, non solo fino a quando vorranno continuare a tenermi nel mondo del lavoro, oggi che per me, ancora troppo giovane, si allontana sempre di più anche il mio e il nostro diritto alla pensione, ma mi sento fortunata nonostante al sistema non serva che io stia coi miei nipoti e che per mia figlia è difficile trovare lavoro.
Questo è il vero problema e di ciò dobbiamo avere consapevolezza per non sentirci 'complici' e per continuare come folli ad andare controcorrente per difendere e garantire la vita nuova, che come donne abbiamo partorito o anche solo curato e che continuiamo, con sempre maggiore difficoltà, a partorire ('Sparpagliando semi dovremo pure cambiar rotta! Il vento non si sa mai come può soffiare!', convegno sulla 1044 al Municipio X del ... dicembre 2011).
(Wel/ Dire)
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