(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 10 nov. - L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato nei giorni scorsi un allarme sui rischi connessi al consumo "eccessivo" di carni rosse. La notizia, proveniente da una fonte tanto autorevole, ha goduto evidentemente di grande spazio e risonanza. Ma la sua propagazione successiva, davvero esponenziale, ha rappresentato un vero e proprio salto di qualità comunicativo. Un passaggio tale da suggerirci una riflessione ulteriore sul contenuto del messaggio e sulle sue conseguenze. Come interpretare dunque questo allarme sul cibo? Ma soprattutto: disponiamo degli elementi per modularne correttamene gli effetti sul nostro comportamento? Subiamo ormai da tempo una "politica comunicativa" dell'interdizione che, pur non interessando solo l'alimentazione, su di essa ha proliferato con maggiore fortuna, giungendo lentamente a radicarsi nella nostra vita quotidiana.
Un'estremizzazione che ha generato molta confusione e che, andando avanti, può provocare danni ancora più gravi. Prendersi cura di sé e preservare la salute attraverso la dieta per prevenire malattie croniche, per perdere peso, per migliorare lo stato generale della salute o per correggere le abitudini sbagliate è certamente corretto e auspicabile. Ma non è tale il salutismo estremo, quello che può portare una persona a sviluppare un desiderio di salute "costi quel che costi".
Nel Dsm-5, il manuale dei Disturbi mentali pubblicato nel 2013, è stato introdotto un nuovo disturbo: l'Ortoressia. Si tratta di una patologia che ha a che fare con l'eccessiva preoccupazione di compiere scelte alimentari sane. Il termine deriva dal greco Orthos (giusto) e Orexis (appetito), ma in realtà è fuorviante: più che alla fame e alla sazietà, si fa riferimento ai cibi accettati o banditi dalla nostra tavola.
Nell'Ortoressia si sviluppa una sorta di "chiodo fisso" in cui l'individuo giunge a scelte estremamente rigide, così come rigido è il giudizio che esprime nei confronti di chi si comporta in modo diverso. Una condotta che richiama alla mente l'ascetismo che appartiene alle dimensioni di certi gruppi religiosi e che, come tutti gli estremismi, provoca gravi danni.
Sfortunatamente, le cifre che riguardano l'Ortoressia sono tutt'altro che esigue: il ministero della Salute parla di circa 300 mila casi in Italia, con una prevalenza tra gli uomini piuttosto che tra le donne (11.3% vs 3.9%). Sorge il ragionevole dubbio che a favorire la diffusione di questa patologia sia stata proprio la propagazione di un messaggio "salutista" declinato in modo sbagliato. E cioè una politica dell'interdizione non accompagnata da chiare e coerenti indicazioni comportamentali alternative. Le notizie sul mondo dell'alimentazione invitano quotidianamente a scegliere alimenti che non contengano alcuni tipi di grassi né coloranti o a prestare attenzione alla quota di zuccheri nascosta nelle normali pietanze per non incorrere in una epidemia di diabete. Questo approccio, privato di un'adeguata e parallela attività educativa, finisce col rendere il rapporto con il cibo asettico e svuotato del suo significato sociale e culturale, ridotto alla semplice capacità di leggere e decodificare tabelle nutrizionali. In questo modo si agevolano comportamenti sbagliati, basati sull'autodisciplina, sull' autonegazione, su di una autolimitazione che può degenerare fino a sfociare in manifestazioni ossessive.
L'Ortoressia, oggi, è un campanello d'allarme e non possiamo essere sordi. Dobbiamo fare attenzione e di rimando ricordarci che la legge "tutto o nulla" è solo nelle nostre menti. Niente in natura è tutto "bianco o nero", niente è solo "off o on". Gli estremismi sono il risultato di opere "umane" e male si adattano alle esigenze naturali del nostro corpo. E' importante che si sappia che, tranne un fungo avvelenato, nessun cibo uccide dall'oggi al domani; nessun alimento ci dona vita eterna. Siamo onnivori e, in quanto tali, il nostro corpo deve poter contare su una molteplicità di alimenti. Siamo esseri sociali e, pertanto, abbiamo fatto del cibo qualche cosa di più che un semplice involucro di nutrienti. Festeggiamo con il cibo, grazie ad esso ci riuniamo e coloriamo e decoriamo le nostre tavole per mangiare.
Il comportamento alimentare non consiste solo in un mero atto nutritivo: l'evoluzione della specie ha arricchito di altri significati ciò che in origine era "sopravvivenza". Questo non significa che dobbiamo perdere completamente di vista, sia in qualità che in quantità, la "giusta dose" degli alimenti. Ma educare ad una corretta e sana alimentazione vuol dire prendere in considerazione tutti questi fattori, tenendo conto del fatto che non si può parlare di un comportamento così complesso riducendolo solo agli aspetti chimici che compongono i cibi. Si rischierebbe di fare un passo indietro rispetto a un lungo processo di conoscenza. E, dopo tanti risultati e traguardi raggiunti, fare educazione con l'undicesima tavola della legge, con su scritto: Non mangiare! (Wel/ Dire)