Vinciguerra: Rimanere senza il telefonino è come vivere a metà
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 3 nov. - "I ragazzi oggi sono incapaci di gestire e vivere le frustrazioni. Rimanere senza il telefonino è come vivere a metà e per alcuni di loro è un limite insopportabile". Lo afferma Paola Vinciguerra, psicologa, psicoterapeuta presidente dell'Eurodap, Associazione europea disturbi da attacchi di Panico, commentando il caso della diciassettenne che "uccide la madre che le aveva tolto pc e telefonino".
L'utilizzo di queste tecnologie, "come il cellulare, in modo incontrollato da parte degli adolescenti è ormai un fenomeno quotidiano difficile da conoscere fino in fondo e da contenere, attraverso un serio e costruttivo intervento educativo- afferma la Vinciguerra- viviamo ormai pressoché tutti di tecnologia, ma il ricorso che ad essa fanno gli adolescenti, in particolare l'utilizzo dei social network allo scopo di sentirsi parte di una comunità di persone, di avere un'identità sociale, di essere all'altezza del gruppo, dei pari e non piuttosto esclusi da esso, fa sì che la dimensione emotiva legata a tali strumenti tecnologici assuma dimensioni deformate. In questo modo i giovani non riescono a mettere le diverse dimensioni della vita reale (tra cui quella familiare e quella scolastica) nella giusta prospettiva".
Il divieto dell'utilizzo di questi strumenti "se da un lato diventa quindi la scelta estrema delle famiglie che si sentono impotenti di fronte all'utilizzo alienante che ne fanno i figli, dall'altro è vissuto dai giovani (che sempre più spesso soffrono di una vera e propria dipendenza da internet e dai social network) come una sorta di attacco alla loro precaria identità, come un limite insopportabile- spiega- l'assenza di una adeguata capacità di gestire le frustrazioni e le emozioni fa poi il resto generando reazioni scomposte, aggressive e (purtroppo a volte anche) fatali".
Secondo la Vinciguerra "la riflessione a cui ci porta questo fenomeno è, per le famiglie, quella di non abdicare ai propri ruoli educativi, imparando a mettere sì dei limiti, ma promuovendo il dialogo affinché di tali limiti si comprenda e condivida il senso. Utilizzare quindi la maturità e l'autorevolezza genitoriale piuttosto che l'autoritarietà netta e drastica, favorendo l'ascolto e il dialogo all'interno della famiglia e un continuo e serio confronto genitori-scuola".
"Bisogna costruire un confronto che eviti che si facciano drammi per un brutto voto e che sia orientato a costruire concretamente la maturazione, il benessere e il futuro del giovane, piuttosto che a colpevolizzare in modo acritico ora gli insegnanti, ora il ragazzo. È dall'assenza di questi elementi che i giovani, privi di punti di riferimento stabili ed autorevoli, crescono con una identità fragile e capricciosa che si trasforma poi nell'aggressività scomposta di chi ancora non sa chi è nel mondo", conclude la psicoterapeuta.
(Wel/ Dire)