(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 10 mar. - "Parliamo piano, lì fuori c'è mio padre al colloquio con la professoressa d'italiano, ho paura che ci senta!". Questo dice Andrea, 12 anni, appena entra in punta di piedi nella stanza dello sportello d'ascolto, sito all'interno della sala professori, aveva paura di essere ascoltato dai suoi peggior nemici, pronti a carpire i suoi segreti.
E' inevitabile che prima di poter creare un clima sereno e di confidenza sia necessario fronteggiare quei mostri, relegarli in un angolo, renderli inoffensivi, altrimenti potrebbero entrare in qualsiasi momento e violare uno spazio sacro. In questo caso, sarebbe potuto accadere davvero, non solo nell'immaginazione, quella porta si sarebbe potuta aprire e lasciare tutti sbaragliati, perché accade anche questo, a scuola.
Può fare ingresso il professore per prendere il registro, può arrivare qualcuno del personale ATA e chiedere un cambio di stanza, un giorno si può stare nell'aula di musica, un altro in quella d'informatica e un altro ancora nel presidio medico, allora come proteggere il proprio setting? E' interessante che dalla ricerca bibliografica non sia emersa alcuna fonte che tratti l'argomento, questo può essere legato al fatto che l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non avere una norma sullo psicologo nelle scuole, quindi è possibile che non ci sia stato ancora un pensiero strutturato sull'intero progetto essendo un fenomeno ancora in fieri. La Legge n° 162 del 26 giugno 1990 istituisce il C.I.C. (Centro di Informazione e Consulenza). Questi Centri possono realizzare progetti di attività informativa e di consulenza concordati dagli organi collegiali della scuola con i servizi pubblici e con gli enti ausiliari presenti sul territorio.
La legge n°59 del 15/3/'97 (Legge Bassanini) conferisce alla scuola autonomia, non solo didattica ed organizzativa, ma anche amministrativa: questo ha permesso ai singoli professionisti di presentare alle scuole un loro progetto. A volte è la scuola ad attingere ai propri fondi, a volte è la ASL a occuparsene, altre volte approdano a scuola volontari dì varie formazioni. C'è chi pensa che sia più giusto e utile affidare l'incarico al personale interno alla scuola anziché affidarsi a figure professionali esterne. Quindi può accadere che lo stesso professore che valuta le competenze di uno studente si trovi a parlare con lo stesso alunno dei suoi turbamenti interiori, creando spesso un "conflitto d'interessi". Tutto ciò la dice lunga sul fatto che ancora ci sia uno scarso interesse sull'argomento e sul fatto che le scuole siano impreparate a accogliere nuove figure professionali in una struttura di rete. Essendo un fenomeno tutto da scoprire, alcune riflessioni stanno nascendo lavorando sul campo e scontrandosi con la realtà con cui si viene a contatto.
Il termine setting deriva dal verbo inglese "to set" che significa delimitare, racchiudere, ma costituisce anche un sostantivo di per sé col significato essenzialmente di "cornice". Il setting non è indispensabile soltanto per il paziente, ma lo è altrettanto per il terapeuta, che viene protetto da richieste eccessive e la cui funzione simbolizzante è stimolata a livello più alto. Grazie alla sua stabilità e alla sua permanenza, il setting garantisce al paziente e al terapeuta la fiducia di base necessaria per pensare nella situazione terapeutica. Il setting rappresenta un terzo elemento che rende possibile il decentramento di una relazione duale troppo ristretta. Si base sull'esistenza di un contratto che stabilisce le condizioni del lavoro terapeutico, solo da quel momento è possibile l'immersione in una realtà psichica prevalentemente inconscia.
E' chiaro che a scuola non si fa psicoterapia, non c'è un vero e proprio setting, sempre uguale, scandito da spazi fisici, temporali, da regole, da un contratto specifico tra due persone, un contenitore all'interno del quale può avere luogo la relazione.
Eppure, anche a scuola, ha il suo peso, e questo spazio va difeso più che mai, proprio perché non c'è la routine, la metodica, gli oggetti e i tempi che aiutano a renderlo stabile e sicuro. Anche verbalmente è necessario mettere in chiaro l'estraneità dello psicoterapeuta alle dinamiche scolastiche e l'assoluta segretezza dei colloqui, nonostante ci sia un contatto inevitabile con professori, personale ATA e dirigente scolastico.
Laddove sia possibile, anche se può sembrare banale, è importante rendere lo spazio accogliente e personalizzato, in modo che i ragazzi si sentano di entrare in uno posto altro, non contaminato dal principio scuola e si possano lasciare andare. La stessa stanza può essere fonte di associazioni e dare delle informazioni o fare affiorare dei ricordi nella persona che vanno sempre prese in considerazioni e contenute.
Quindi, al di là del posto c'è uno spazio mente-relazione allestito, messo a punto, sistemato, pensato, ordinato, con dei confini specifici, che continuamente organizza e non permette a altro di entrare se non sotto supervisione. La difficoltà è proprio questa, riuscire a creare un contenitore relazione all'interno di un contenitore scuola, che non tenga fuori contaminazioni, amplificazioni e idee "paranoiche" ma che le faccia entrare nella stanza e che le faccia stare in un posto più sicuro e innocuo, in modo da depotenziarle e renderle gestibili perché in quel luogo e in quello spazio non possano fare del male.
Quando si ha a che fare con minorenni, come accade anche in psicoterapia, c'è un altro elemento che in qualche modo entra nella stanza e dal quale non si può prescindere: i genitori. A scuola, una volta che i genitori hanno firmato le autorizzazioni per il libero accesso dei figli allo sportello, i ragazzi si sentono abbastanza liberi di andare perchè non devono chiedere ogni volta il permesso, nonostante ciò quando i genitori sanno che il figlio frequenta lo sportello si attivano in loro mille timori e provano a contaminare lo spazio.
Proprio per questa ragione e per tutelare la privacy dei ragazzi, così importante proprio in adolescenza, si è scelto di separare i due spazi, quindi esiste uno sportello ragazzi gestito da una psicologa e uno per i genitori gestito da un'altra, sempre in un lavoro di èquipe. Questo approccio, pensato e sperimentato dall'Ido, è risultato vincente e è servito a contenere gli adulti, a rassicurare i ragazzi e, di conseguenza, a mettere al sicuro il setting.
Quindi, nonostante non ci sia il rigore del setting, c'è un inevitabile incontro tra due persone che in qualche modo si vanno a influenzare creando uno spazio che non necessariamente porti alla trasformazione ma sicuramente a una restituzione di significato altro. In un contesto del genere dove non si fa psicoterapia, dove non c'è un paziente col suo terapeuta, è comunque importante stabilire delle regole di base, accogliere le richieste del ragazzo e provare a dare degli spunti riflessivi, in un gioco dinamico che permetta di entrare e uscire continuamente, senza aprire dei varchi che non si possano chiudere.
Se è vero, quindi, che è possibile creare comunque un setting altro nel contesto scuola nonostante i tanti limiti è altrettanto vero che l'auspicio sia quello che l'Istituzione, ora che ha compreso l'importanza della figura dello psicologo a scuola, possa dare legittimità anche al luogo, consegnando uno spazio dignitoso, rispettabile, per il quale ci sia attenzione da parte di tutti, che in qualche modo significherebbe dare importanza e valore allo spazio interno del ragazzo.
(Wel/ Dire)