Articolo di Anna La Prova sul sito dell'Ordine degli psicologi del Lazio
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 10 mar. - Il mese di settembre è in genere caratterizzato, per molte famiglie, dal famigerato periodo di inserimento o ambientamento dei figli al nido o alla scuola materna. Rispetto a tale pratica, le esperienze (e le opinioni) dei genitori sono molto disparate: alcuni lamentano inserimenti troppo brevi, altri si sentono letteralmente 'sequestrati' dalle maestre (come riportato in un articolo pubblicato lo scorso settembre sul blog di Repubblica 'Asili, genitori in rivolta contro l'inserimento: il nostro settembre ostaggio delle maestre'), costretti, a volte, a dover utilizzare una parte di ferie per poter rimanere a scuola con il bambino, o comunque essere disponibili (quindi rimanere in zona) in caso il bambino dovesse dare segni di eccessiva sofferenza al distacco.
L'inserimento è sostanzialmente un periodo, che può variare da pochi giorni fino ad un mese, finalizzato a far sì che il bambino viva in maniera naturale e non traumatica il suo primo distacco dalla famiglia. La variabilità del periodo non sembra essere legata alle reali esigenze del bambino, quanto piuttosto alle modalità che la scuola utilizza per l'inserimento stesso. In alcune scuole dell'infanzia, infatti, tale periodo coincide con pochi giorni (il bambino viene lasciato prima per 1 ora poi per 2, poi mezza giornata e poi tutto il giorno), in altre, invece, si dà la possibilità al genitore di rimanere in aula con il bambino per tutta la prima settimana, per poi lasciarlo per tempi sempre più lunghi nei giorni successivi.
In alcuni asili nido, la procedura è ancora più a 'misura di bambino': si chiede infatti al genitore di rimanere con il piccolo fino a quando quest'ultimo non si sia spontaneamente allontanato dal genitore e abbia cominciato ad esplorare l'ambiente circostante, tale momento, per alcuni bambini, può arrivare dopo una settimana, ma per altri anche dopo 1 mese.
Sulla storia dell'ambientamento o inserimento esistono pareri contrastanti anche da parte delle insegnanti: secondo alcune, infatti, questa pratica non fa che acuire la difficoltà del distacco dalla figura genitoriale 'meglio un taglio netto, un po' di pianto per i primi giorni e via, tanto poi i bambini, prima o poi, si calmano'. Secondo altri, invece, investire un po' di tempo per aiutare il bambino ad ambientarsi, è una fase fondamentale e imprescindibile, per assicurarsi una 'serena permanenza' nell'ambiente scolastico.
Anche i genitori hanno pareri diversi sulla questione: alcune mamme lamentano che, in alcune scuole, le maestre chiedono ai genitori di 'salutare velocemente il bambino dopo 10 minuti' sin dal primo giorno, per lasciarlo già subito per 1 h, senza dargli la possibilità di ambientarsi, per altre, al contrario, l'inserimento risulta essere un'esperienza davvero troppo lunga se non estenuante.
INSERIMENTO: IL PUNTO DI VISTA DELLO PSICOLOGO - Proviamo a dare una risposta, da un punto di vista psicologico alla domanda inserimento si o inserimento no? inserimento breve o lungo? La risposta giusta, come quasi sempre quando si tratta di persone, e a maggior ragione di bambini è: 'dipende dal bambino e dalla specifica relazione con le sue figure di accudimento'. Per qualsiasi bambino, essere inserito in un ambiente nuovo richiede un certo sforzo adattivo e per aiutarlo in tale compito, la presenza, almeno in fase iniziale, di una figura famigliare, può facilitare la cosa.
Il contesto 'scuola', poi richiede una doppia fatica psicologica per un bambino, poiché oltre che di adattarsi ad contesto e persone nuovi, gli richiede di dover fare i conti con la capacità di saper condividere spazi e attenzione con altri bambini (con tanti altri bambini!) e di gestire la frustrazione. Un tempo, condividere spazi, tempi e attenzione con altri era una condizione naturale: le famiglie erano numerose e i bambini giocavano per strada con gli altri, spesso dovevano fare i conti con esperienze anche dure. Oggi i bambini sono spesso figli unici, qualche volta hanno un fratello o 2, raramente più di 2. Sono abituati ad avere un'attenzione quasi esclusiva da parte dell'adulto e a possedere tante cose/giochi che vanno condivise solo nei rari momenti in cui qualche amichetto viene a trovarli, ma rimane sempre chiaro che 'i giochi restano i miei'. C'è un altro aspetto fondamentale: i bambini oggi hanno poca capacità di gestire la frustrazione. Spesso ciò che chiedono gli viene concesso subito, non devono aspettare né faticare molto per vedere soddisfatti certi bisogni e non hanno molto tempo per sperimentare la noia. A scuola, invece, devono fare i conti con il gestire la frustrazione dovuta a tutta una serie di nuove regole: aspettare il proprio turno, stare seduti, impegnarsi in certe attività strutturate, non sempre poter scegliere cosa fare.
Sia chiaro: i bambini devono imparare a fare i conti con lo stress e con la frustrazione (sperimentare frustrazione in una certa misura rinforza i bambini e non il contrario), ma questo non può essere fatto in maniera brusca: se qualcuno viene buttato in acqua può essere che per la paura impari a nuotare, ma può anche essere che per la paura anneghi e non ci è dato saperlo in anticipo. Dipende. Dipende da cosa? Da tutta un serie di fattori, primo fra tutti il tipo di attaccamento che ha con le proprie figure genitoriali, ossia quanto è tranquillo o meno nel lasciare il rassicurante contesto relazionale in cui è abituato a stare. Ecco perché non ha molto senso stabilire regole rigide a riguardo.
Ci sono bambini che effettivamente non hanno particolarmente bisogno di inserimenti lunghi: a loro basta osservare un po' l'ambiente, assicurarsi che ci sia qualche gioco piacevole e che magari ci siano altri bambini con cui poter giocare, e il gioco è fatto. Altri, invece, fanno più fatica nel distacco, hanno bisogno di tempo per fidarsi delle nuove persone a cui verranno lasciati e di esplorare l'ambiente con più calma.
Credo che la soluzione migliore dovrebbe essere quella di 'dare ad ogni bambino il suo tempo' per fidarsi ed affidarsi, piuttosto che tempi stabiliti uguali per tutti.
Tuttavia la domanda che sicuramente molti genitori e insegnanti si pongono è 'c'è un modo per poter aiutare il bambino a vivere il distacco con più facilità?' La risposta è sì, insegnanti e genitori possono fare molto perché il momento dell'inserimento venga facilitato. Vediamo alcuni suggerimenti che possono aiutare.
INSERIMENTO: COSA POSSONO FARE GLI INSEGNANTI? 1. Accogliere. Dedicare del tempo, anche minimo, ad accogliere ciascun bambino sulla porta per poi accompagnarlo a scegliere un gioco o un'attività, gli permette di sperimentare che 'qui c'è qualcuno che si occupa di me!'.
2. Evitare di criticare il bambino per il suo pianto ma rassicurarlo, sul quando tornerà il genitore e su cosa si farà 'mamma torna dopo la merenda, adesso faremo delle cose insieme' informare su come sarà strutturata la giornata.
3. Utilizzare rinforzi positivi di tipo relazionale: abbracci, sorrisi, parole calde, battere il cinque, pollice su, per far sentire il bambino accolto ed accettato. Se gli insegnanti vogliono essere accolti e accettati, prima devono accogliere e accettare.
INSERIMENTO: COSA POSSONO FARE I GENITORI? 1. Fidarsi. Innanzitutto è importante che il genitore riesca a fidarsi delle persone a cui affida il proprio figlio, perché i bambini avvertono se la propria mamma o il proprio papà sono 'tranquilli' nel lasciarlo oppure no. L'inserimento ha anche questo obiettivo: che il genitore conosca l'ambiente in cui suo figlio vivrà una parte della giornata .
2. Comprendere e rassicurare. Soprattutto con i bambini che vivono in modo particolarmente ansioso il distacco dai genitori, è importante non criticarli per il loro disagio, evitare ad es. di sminuire ciò che provano ('ma dai che vuoi che sia, sei grande ormai!'), ma piuttosto farli sentire compresi con frasi del tipo 'so che la mattina non vorresti lasciarmi, adesso ti senti triste, ma pian piano starai meglio e ti abituerai'.
3. Continuare a mandare il bambino a scuola. È deleterio per il bambino toglierlo dalla situazione per lui nuova per poi riportarlo dopo qualche giorno, perché significa fargli rifare lo sforzo emotivo tutto da capo.
4. Avere fiducia nelle capacità del bambino. Ripetersi dentro di sé che 'ce la farà'. I bambini sentono quanto i genitori si fidano di loro, spesso si sentono capaci se i genitori credono che lo sono e al contrario si sentono deboli e incapaci se i genitori hanno dubbi sulle loro potenzialità. Ricordiamo sempre che i bambini si percepiscono attraverso gli occhi del genitore 'se mamma pensa che ce la posso fare, allora ce la faccio!'.
Fidarsi, quindi, anche del bambino.
(Wel/ Dire)