Intervenire si può ma urge diagnosi precoce del disagio
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 3 mar. - "Le memorie, frutto della nostra esperienza, hanno un loro substrato neurobiologico e neurochimico e rappresentano il terreno su cui ogni individuo organizza la propria traiettoria evolutiva. Per questo motivo non esistono bambini uguali, essendo le traiettorie dello sviluppo tutte 'originali'. Occorre allora un approccio rispettoso verso il minore 'vulnerabile' perché, come ciascun bambino, è portatore della sua originalità, di cui dobbiamo imparare a conoscere le basi del funzionamento e del dis-funzionamento per riconoscere poi il suo disagio. Ma soprattutto dobbiamo avere fiducia nelle sue possibilità di resilienza, di evolutività e nella sua capacità di mostrarci quello che magari non riusciamo a vedere subito". A dirlo è Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile presso strutture sanitarie a Palermo e provincia, e presso l'Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma, che si occupa di prematuri da oltre 10 anni insieme ad Emanuele Trapolino, neuropsichiatra infantile e direttore dell'Unità operativa semplice di Neurologia neonatale dell'Ospedale pediatrico 'Giovanni di Cristina' (Palermo).
LA SPERANZA DI UN BUON INTERVENTO DALLA PLASTICITÀ NEURONALE - "Esiste una forte connessione tra l'attività neurale, la coscienza e la 'plasticità cognitiva', e sullo sviluppo di quest'ultima l'ambiente e gli stimoli sociali giocano un ruolo fondamentale. Dagli studi di neuroembriologia sappiamo che l'evoluzione e la formazione delle aree corticali inizia già nelle prime tre settimane di vita- rende noto Vanadia- attraverso i processi di proliferazione neuronale, migrazione, mielinizzazione e sinaptogenesi. Anche se questi fenomeni sono legati all'espressione di prodotti proteici geneticamente determinati, l'ambiente e le modalità di caregiving (specialmente la madre che nei primi mesi funge da 'regolatore psicobiologico') hanno un ruolo fondamentale sia durante la gestazione che dopo la nascita". Quando la migrazione neurale avviene in modo "'corretto' si ha una stratificazione a livello corticale (la corteccia è organizzata in 6 strati) e solo se questa avviene in modo ordinato può costituire la base su cui si possono strutturare poi delle funzioni adattive e quindi funzionali durante lo sviluppo. Per quanto riguarda invece l'andamento temporale della mielinizzazione e della sinaptogenesi- continua la neuropsichiatra- inizialmente i fasci di fibre che si mielinizzano sono quelli delle cortecce sensori-motorie, successivamente quelle delle aree associative parietale e temporale e solo più tardi quelle della corteccia prefrontale.
Quest'ultima ha un ruolo essenziale nel funzionamento cognitivo superiore e nel funzionamento esecutivo. Un elemento da tenere a mente- sottolinea il medico- perché ci aiuta a comprendere la maggiore vulnerabilità dei bambini 0-3 anni proprio a partire dalla strutturazione di queste ultime funzioni". La consapevolezza però di poter intervenire su queste vulnerabilità utilizzando finestre temporali specifiche deriva dal fatto che "questi processi di sinaptogenesi e pruning sinaptico agiscono su un substrato altamente plastico e quindi modificabile (al contrario dei neuroni che non si riformano)- afferma- dal momento che le spine dendritiche e i circuiti neurali più stabili risentono positivamente degli stimoli provenienti dall'arricchimento ambientale".
ANCHE LE NEUROSCIENZE RICONOSCONO LA VULNERABILITÀ - "Dalle neuroscienze è emersa una forte connessione tra la connettività neuronale e l'attività cognitiva strettamente connessa all'area emozionale. Alcune ricerche americane sono partite dagli adulti schizofrenici per poi tornare indietro e postulare anche loro un concetto di vulnerabilità. Hanno ipotizzato prima una vulnerabilità neurobiologica- spiega il medico- collegata a dei piccoli o grandi insulti subiti sia durante la gravidanza che al momento del parto, ovvero ad una predisposizione genetica, per poi postulare che un secondo evento (ambientale) possa slatentizzare questa vulnerabilità 'latente'. Da qui la conferma che proprio i primi anni di vita rappresentano la scommessa, la nostra 'finestra' per individuare la vulnerabilità e intervenire positivamente in termini prima di tutto abilitativi. Questa vulnerabilità di base potrebbe infatti portare all'emergenza della sintomatologia nell'area psicopatologica se si verificasse un secondo evento traumatico o se non fosse riconosciuto lo specifico funzionamento di un bambino i cui bisogni rimarrebbero 'traumaticamente' irrisolti. A livello neurobiologico è stato riscontrato nel campione analizzato nel suddetto studio un deficit di mielinizzazione- precisa Vanadia- e uno squilibrio tra l'attività degli interneuroni inibitori (ridotta) e dei neuroni eccitatori (eccessiva). Ricordiamo che nel neonato c'è una fisiologica prevalenza di circuiti e neuroni eccitatori, ma nel corso dello sviluppo questi si riducono fino a raggiungere l'equilibrio funzionale con quelli inibitori. Nei casi in cui questo squilibrio permane allora possono derivarne serie conseguenze a livello di differenti aree di sviluppo. Ad esempio, anche tra i disturbi del movimento del bambino possono essere chiamati in causa tali alterazioni".
IMPORTANTE INDIVIDUARE PRECOCEMENTE IL DISAGIO - "Ciò che conta è dunque una diagnosi precoce dei segnali di disagio espressi dal neonato/lattante- ribadisce Emanuele Trapolino- una individuazione molto precoce degli indici di vulnerabilità si può fare anche a due mesi, mentre a 6 mesi si può già vedere la patologia ad esempio per quanto concerne i disturbi motori. Non tollero che un bambino prematuro 'debba' diventare iperattivo o sviluppare un ritardo del linguaggio, oppure ancora non sapere se camminerà bene a causa di attitudini e vicissitudini partite da un equivoco che lo accompagna dalla nascita e durante lo sviluppo. Bisogna saper interpretare la proposta offerta dal neonato- conclude- ricordando che Egli è sempre imprevedibile".
(Wel/ Dire)