(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 26 mag. - Fonte pscodialogando.com. Il termine ortoressia viene dal greco orthos (corretto) e orexis (appetito) e indica l'ossessione sempre più diffusa per il mangiare sano. Il primo a darne una definizione completa fu il dietologo americano Steven Braten, che più di dieci anni fa la descrisse come una forma di estremismo alimentare accompagnato dal forte timore dell'insorgenza di malattie gravi a seguito dell'ingestione di cibi "velenosi".
Non si tratta semplicemente della sana attenzione a quel che si mangia e non ha nulla a che vedere con l'essere vegetariani, crudisti o consumatori biologici ortodossi. Può essere considerata, infatti, una malattia proprio come l'anoressia e la bulimia, anche se in questo caso il problema non è legato all'idea fissa per i chili di troppo e alla quantità di cibo ingerito, ma alla sua qualità.
Quali sono le principali caratteristiche dell'ortoressia Sebbene ancora non esistano definizioni e criteri diagnostici universalmente accettati per l'ortoressia, è tuttavia possibile riconoscerne la presenza osservando le seguenti caratteristiche: - ruminazione ossessiva sul cibo; - comportamenti ossessivi riguardanti la selezione, la ricerca, la preparazione e il consumo degli alimenti; - insoddisfazione affettiva e isolamento sociale dovuti alla persistente preoccupazione riguardo al mantenere le regole alimentari autoimposte (Brytek-Matera, 2012).
Gli ortoressici mettono in atto veri e propri rituali ossessivi, che sono caratterizzati da: - forte preoccupazione al pensiero di cosa mangiare e pianificazione dei pasti con diversi giorni di anticipo, per evitare i cibi ritenuti dannosi (ad es., alimenti che contengano pesticidi residui o ingredienti geneticamente modificati o "artificiali"); impiego di una grande quantità di tempo nella ricerca e nell'acquisto degli alimenti a scapito di altre attività; preparazione del cibo secondo procedure specifiche ritenute sane; forti sentimenti di soddisfazione e autostima oppure di colpa e di forte disagio a seconda che si rispettino oppure no le ferree regole di alimentazione auto-imposte.
Nel suo libro sull'argomento, Bratman (Bratman & Knight, 2000) scrive: "Una persona che riempie le giornate mangiando tofu e biscotti a base di quinoa può sentirsi altrettanto pia di chi ha dedicato tutta la vita ad aiutare i senza tetto", con la differenza che un eventuale strappo alla regola causa all'ortoressico forti sensi di colpa e innesca comportamenti riparatori o punitivi, come restrizioni alimentari ancora più severe. Tutto questo non permette alla persona di vivere con leggerezza anche un semplice invito a cena o un pasto al ristorante, compromettendone un po' alla volta il benessere generale.
Per le sue caratteristiche, l'ortoressia ha relazioni sia con l'anoressia, con la quale ha in comune l'elevato perfezionismo, le manie di controllo, la rigidità, l'isolamento, i meccanismi fobici e ipocondriaci, sia con il disturbo ossessivo-compulsivo, per la presenza di ossessioni rispetto al cibo e di rituali.
Come si sviluppa? Il comportamento ortoressico trova terreno fertile in una società, come quella occidentale, in cui si è continuamente bombardati da informazioni su ciò che fa bene e ciò che fa male alla nostra salute, sugli alimenti considerati "buoni" o "cattivi", sui rischi connessi al consumo di certi cibi piuttosto che di altri e dove è largamente diffuso il principio che "tutta la salute dipende dal cibo". Per non parlare, poi, del fortissimo impatto sulla popolazione negli ultimi decenni dei diversi allarmi alimentari, come il morbo della mucca pazza o l'influenza aviaria, che hanno rafforzato il comportamento ossessivo e restrittivo di chi, dietro una scelta sana di cibi, nasconde in realtà vere e proprie forme di ipocondria, fobie di malattie e di contaminazione.
L'ortoressia può, in alcuni casi, degenerare in anoressia e portare ad un lento processo di deterioramento fisico, talvolta persino di decessi.
(Wel/ Dire)