(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 21 lug. - La sofferenza è un'esperienza che si colloca all'interno delle relazioni familiari e, al suo interno, si può trovare comprensione, ascolto, aiuto, ma anche aggressività, diffidenza, disconferma; se tali manifestazioni emotive non trovano ascolto e sostegno, con molta probabilità l'esperienza del dolore finirà per diventare una continua lacerazione, una sensazione di colpa rispetto al sistema relazionale familiare.
La storia di ogni famiglia è caratterizzata da piccole e continue trasformazioni, esistono situazioni che provocano cambiamenti consistenti, rendendo inefficaci le modalità che, in un primo tempo, erano funzionali all'andamento familiare. Nel suo percorso di vita, la famiglia, può essere coinvolta in eventi quali cambiamenti economici, problemi relazionali, dolori e sofferenze tendenti ad alterare l'equilibrio omeostatico che si è tentato di costruire e mantenere nel corso del tempo.
EMOTIVITÀ ESPRESSA - Quando la famiglia scopre che al suo interno un membro è malato, maggiormente un figlio, si trova a dover affrontare una criticità che richiede una riorganizzazione interna faticosa e complessa. Tale riorganizzazione deve avvenire a molti livelli e richiede un particolare sforzo, non solo per ripristinare una certa "normalità" familiare, ma anche perché ciò avvenga nel minor tempo possibile al fine di affrontare una sorta di "confusa sofferenza" che impedisce la mobilitazione di risorse interne del sistema familiare. Solo venendo a contatto con la realtà familiare tramite interventi specifici, siamo in grado di capire come la sofferenza, il dolore, la malattia incide sulle emozioni e sui processi relazionali. L'Emotività Espressa (EE) è un costrutto scientifico costituito da componenti, nello specifico fattori negativi e positivi, di rifiuto e di accettazione. Tale costrutto si fonda su precisi elementi: una famiglia; un problema non transitorio, rilevante per la famiglia stessa e riferibile a un singolo familiare; l'emotività e il grado di coinvolgimento che gli altri familiari rivolgono verso il portatore del problema; la possibilità di misurare e quantificare la presenza e il grado del coinvolgimento emotivo.
In tal senso, si distinguono i familiari ad alta e a bassa emotività espressa in base a determinate caratteristiche: i familiari ad alta EE sono tendenzialmente intrusivi, cercano il contatto senza tener conto delle effettive esigenze e richieste, vogliono esercitare un controllo, si sostituiscono in tutto e per tutto, senza tenere in debito conto delle necessità relazionali del congiunto; quelli a bassa EE risultano maggiormente in grado di adattarsi alle richieste e ai bisogni espressi del congiunto, soprattutto quando il calore affettivo nei suoi confronti è molto elevato.
I familiari ad alta EE considerano il congiunto responsabile di tutte o quasi tutte le sue azioni, anche quelle che chiaramente costituiscono sintomi, una propensione a trovare una colpa o comunque un problema da addossare all'altro, un "capro espiatorio" che elude e nasconde i propri problemi di accettazione e di ostilità. I familiari a bassa EE cercano di costruirsi una spiegazione razionale di quello che sta accadendo e dei comportamenti del congiunto.
Le famiglie ad alta EE nutrono in genere aspettative molto alte per il congiunto sofferente, indipendentemente dai problemi e limiti di quest'ultimo, spesso drammatizzano le proprie reazioni ai sintomi e tendono ad avere modalità di risposta rigide ai momenti di crisi; mentre quelle a bassa EE nutrono aspettative realistiche, e sono in grado di controllare l'emotività e di adottare risposte flessibili. Nel tentativo di mantenere l'omeostasi, la famiglia cerca di adattarsi alla malattia seguendo un processo che implica l'attraversamento di fasi che spesso sono parallele a quelle che vive il paziente stesso. Ruoli confusi, negazione delle conseguenze legate alla malattia al fine di mitigare una realtà avvertita come intollerabile, portate a negare che ci sia bisogno di cambiamento per affrontare il problema. È palese un atteggiamento iperprotettivo ed eccessivamente coinvolto con manifestazioni di ansia marcata nei confronti del sofferente. Viene manifestata scarsa spinta all'autonomia, con un atteggiamento distaccato per cui si preferisce, al fine di proteggersi dall'ansia, delegare o nascondere il tutto, soffocando il conflitto esistente.
FARSI AIUTARE - Un sostegno concreto che provenga dal contributo di operatori dell'aiuto appare particolarmente importante per le famiglie, le quali possono costruire un rapporto personalizzato con l'operatore e non sentono di perdere il controllo nella situazione di cura. L'operatore diventa per la famiglia una persona con cui condividere ansie e incertezze. Egli sembra in grado di raccogliere e di riconoscere i bisogni dell'intera famiglia. Inoltre, sembra rappresentare una maniera per accedere nuovamente a una "normalità" relazionale frequentemente abbandonata a causa della malattia, un riavvicinarsi a relazioni sociali frequentemente trascurate a causa del totale assorbimento relativo all'assistenza.
Appare dunque utile a due livelli. Sul piano pratico aiuta la famiglia a iniziare un dialogo con i Servizi per eventuali momenti di assistenza, di contatto, nella presa di decisione.
Inoltre sul piano psico-educativo aiuta i familiari a elaborare nuove modalità di approccio relazionale con il congiunto malato, permette di avere dei momenti di dialogo con qualcuno, sostenendoli nei momenti critici e di sconforto. La famiglia e la sua centralità, è il luogo dell'intervento psico-educativo che rappresenta una risposta flessibile e innovativa al disagio familiare, poiché adotta risorse, metodi e strumenti tali da poter prevenire e riparare dinamiche relazionali alterate che troppo spesso sono fonte primaria di rischio dell'equilibrio emotivo intrafamiliare (temperatura emotiva). L'obiettivo prioritario, pertanto, è quello di garantire il massimo sostegno alla famiglia in difficoltà intervenendo sul suo disagio con un approccio relazionale globale, che garantisca lo sviluppo di un processo di mediazione tra individuo in difficoltà e le altre persone. I familiari sono visti come alleati e co-protagonisti, non viene loro attribuita alcuna colpa o responsabilità, non sono, di conseguenza considerati malati o bisognosi di trattamento; si riconosce, piuttosto il fatto che sopportano un carico e molte limitazioni in conseguenza del disturbo del congiunto e che debbono essere aiutati a migliorare le loro strategie di gestione del disturbo e di comunicazione con gli altri, affrontare meglio lo stress della vita di tutti i giorni per tendere al raggiungimento degli obiettivi personali e della famiglia.
(Wel/ Dire)