(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 7 lug. - Da almeno un decennio i lavoratori e gli utenti della residenzialità psichiatrica piemontese si sentono dire che il sistema che regola il lavoro dei primi e la vita dei secondi è da considerare inadatto e costoso, e dunque da cambiare. I Consigli Regionali che si sono susseguiti hanno posto sul tavolo la questione ma senza mai risolverla. Insediata la giunta Chiamparino, tutti eravamo consapevoli che la questione sarebbe stata nuovamente affrontata. Qualche settimana fa ha iniziato a circolare quella che in un primo momento era stata ritenuta una bozza di delibera sulla residenzialità ma che è risultata poi essere la delibera già approvata. Tutto era già stato fatto, senza balzi e balzelli e, soprattutto, senza un dialogo di nessun tipo.
In questa situazione, come spesso capita quando si parla di politica, è una questione di metodo e di merito. Per quanto riguarda il metodo, non possiamo non rilevare le modalità scelte da questa giunta, che ha approvato una riforma dell'intero assetto della psichiatria senza consultare alcuna delle parti sociali in essa coinvolte, mettendo tutti davanti al fatto compiuto. Ma passiamo al merito. La delibera prevede molti aspetti che introducono cambiamenti sostanziali, non solo di forma o di denominazione, che sembrano invertire i principi basagliani, riproponendo un sistema tendenzialmente orientato all'assistenza e non alla cura.
Le strutture finora esistenti nella residenzialità psichiatrica vengono ripensate seguendo il modello espresso nel documento AGENAS-GISM, che prevede 3 tipologie di struttura in base all'intensità terapeutico-riabilitativa richiesta. Le attuali Comunità Protette di tipo A e di Tipo B vengono ridefinite rispettivamente S.R.P.1 ed S.R.P.2. I Gruppi Appartamento e le Comunità Alloggio (la cosiddetta "residenzialità leggera") ricadono entrambi nelle S.R.P.3. Ecco i principali limiti della delibera: 1) I tempi di attuazione della riforma sono strettissimi: 31 dicembre 2015, data entro la quale tutti i DSM dovranno rivalutare i pazienti oggi inseriti nella residenzialità ed i gestori di servizi dovranno mettere in regola le strutture.
2) La delibera definisce le prestazioni professionali previste in termini di "minutaggio", vale a dire indicando, per paziente, il "fabbisogno giornaliero" di questa o quella professione. La situazione che emerge è che le strutture più "leggere" sono quelle in cui vi è un maggior numero di prestazioni professionali di tipo assistenziale, con una palese rinuncia ad ogni obiettivo di cura e riabilitazione, come si evince chiaramente dalla scomparsa di psicologi e psichiatri e dalla riduzione delle ore educative.
3) Come sarà vissuto dagli utenti uno stravolgimento così grande? Se la residenzialità leggera diventerà, come sembra, la "discarica della psichiatria", che ne sarà dei pazienti davvero più autonomi? 4) Per più di un decennio in Piemonte sono stati impiegati laureati in Psicologia per fare in sostanza il lavoro da educatore. Nella delibera non si prende in considerazione tale anomalia. Quindi un migliaio di colleghi, alcuni con una esperienza anche decennale, perderanno il proprio posto di lavoro se i legislatori non decideranno di intervenire.
Vi sarebbero ancora molte questioni da affrontare come la compartecipazione dei comuni e dell'utenza alle spese o i costi di gestione che metteranno in serio pericolo gli organismi più piccoli; ma, per scelta, abbiamo deciso di focalizzarci sui temi che a nostro avviso sono i più gravi. Se prima di scrivere questa delibera fossero stati ascoltati i lavoratori del settore, sarebbe emerso che uno stravolgimento così radicale dell'approccio all'intervento psichiatrico non potrà che produrre gravi conseguenze. Il risparmio oggettivo che si avrà nell'oggi (alcune stime parlano di 18 milioni di euro solo per l'anno 2016) verrà vanificato domani per il prevedibile aumento dei casi di cronicità e di ricoveri in TSO o nelle Case di cura. Inoltre, la mancanza di risorse economiche di molte famiglie e dei comuni, a cui verrà delegata la retta socio-assistenziale, e la chiusura di molti luoghi della residenzialità farà sì che molti pazienti vengano spostati in strutture sanitarie a più alto costo e/o spinti a rientrare in famiglia, con il rischio di destabilizzare l'assetto di molti nuclei familiari e creando nuove fonti di malessere e disagio. Ora, dopo che la frittata è fatta, si promettono tavoli e confronto: staremo a vedere se si tratta davvero di un'occasione, per quanto tardiva, di apertura al dialogo o invece della solita modalità di affossare ogni discorso in un contenitore chiuso.
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