Manca parte dedicata a primi anni vita, CD 0-3 R nostro riferimento
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 30 giu. - "Il Manuale diagnostico dei disturbi mentali (Dsm-5) è uno strumento valido e aggiornato, utile ai clinici, con il quale si è tentato di introdurre un approccio dimensionale ai disturbi mentali e di definire delle 'macroaree', tra cui quella dedicata alle condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo e definita appunto 'disturbi del neurosviluppo', che comprende le disabilità intellettive, i disturbi della comunicazione, i disturbi dello spettro autistico, la sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività (Adhd), i disturbi specifici dell'apprendimento, del movimento e altri disturbi del neurosviluppo". Spiega Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile dell'Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO), commentando alla DIRE l'importanza del Dsm nelle modalità diagnostiche.
"Il Dsm-5, al pari degli altri manuali, dovrebbe rimanere una guida che orienti il clinico, non sostituendone l'esperienza e il ragionamento che volta per volta può condurre a deduzioni e definizioni differenti. Perché nei manuali non sono descritti e contemplati tutti i possibili profili disfunzionali".
MAGGIORE ATTENZIONE SUL FUNZIONAMENTO ADATTIVO - In riferimento alle disabilità intellettive, ad esempio, "grande rilievo è stato dato al funzionamento adattivo, senza basarsi in modo esclusivo sui punteggi del QI- sottolinea Vanadia- perché è il grado di disfunzionamento adattativo a determinare il livello di assistenza richiesto. Quest'ultimo aspetto è importante- precisa il medico- perché ci troviamo sempre più spesso di fronte a profili di sviluppo disarmonici che non ci danno un'omogeneità nel grado di ritardo, ma che sicuramente sono indicativi di aree di vulnerabilità o di deficitarietà spesso associate a disagio emotivo fino all'inibizione affetiva delle condotte intellettive che determinano un malfunzionamento tale da condizionare l'adattamento".
LA CLASSIFICAZIONE DIAGNOSTICA 0-3 - La fascia 0-3 anni ha le sue peculiarità e, sebbene nel Dsm-5 sia stata data una maggiore attenzione all'età evolutiva, "la Classificazione diagnostica della salute mentale e dei disturbi dello sviluppo dell'infanzia (CD 0-3 R) è uno strumento estremamente valido per chi si occupa di bambini piccoli. Avendo un'organizzazione multiassiale- ricorda l'esperta- consente la definizione di profili funzionali che tengono conto della presentazione clinica, ma anche dei fattori emotivi, relazionali, ambientali e dei disturbi organici associati".
LA DIAGNOSI EVOLUTIVA - Chi si occupa di età evolutiva non può non considerare il significato del termine 'evolutivo', cioè "che tenga conto dei cambiamenti. L'evolutività intesa come predisposizione e possibilità di cambiamento è infatti strettamente correlata ai concetti di resilienza e di modificabilità", prosegue Vanadia.
Una diagnosi "rispettosa del bambino deve quindi tenere conto di tutti quegli aspetti che contribuiscono al suo sviluppo: la storia clinica e familiare, l'esposizione ambientale e l'individualità, anche in termini di vulnerabilità, laddove esista. Inoltre, bisogna osservare i tempi e i modi in cui il bambino modifica i suoi comportamenti, sia spontaneamente che in seguito alle stimolazioni che riceve. Spesso può essere utile, anche se non sempre sufficiente, attivare nel genitore, o nel caregiver, un cambiamento nella modalità di stimolo e accudimento (che presuppone un'adeguata comprensione del bisogno) per determinare nel bambino un mutamento in positivo".
I bambini con difficoltà nella processazione o nell'integrazione sensoriale "possono ad esempio presentare una disfunzionalità, che coinvolge una o più aree dello sviluppo, tale da simulare anche quadri patologici diversi- precisa la neuropsichiatra infantile- ma una corretta e graduale stimolazione potrà determinare un cambiamento dei loro comportamenti anche nel breve-medio termine".
In sintesi, "laddove il quadro clinico deponga in modo incontrovertibile per una diagnosi questa va fatta avvalendosi sia dei manuali diagnostici che dell'esperienza personale, ma bisogna tenere a mente che comportamenti (o sintomi) simili possono essere sottesi da cause differenti. Il rischio di questo momento storico- puntualizza Vanadia- è che cercando di fare diagnosi precoce, si anticipi la diagnosi o la si confonda con ciò che dovrebbe essere l'individuazione di una vulnerabilità. Dunque nel rispetto dell'evolutività e del dinamismo proprio dell'infanzia, la nostra idea è che il processo diagnostico debba iniziare con una conoscenza e un'attenta osservazione del bambino e dell'ambiente che lo circonda, con l'identificazione, se presente, della vulnerabilità individuale o della patologia, con il riconoscimento e il supporto delle potenzialità e abilità emergenti. Solo basandosi sulle traiettorie individuali- conclude Vanadia- può essere definito il profilo di sviluppo".
(Wel/ Dire)