"L'efficacia della terapia riparativa mai stata dimostrata"
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 27 gen. - 'L'omosessualità non è un vizio, né una degradazione e non può essere classificata come una malattia'. Lo scrisse nel 1935 Sigmund Freud nella Lettera a una madre americana angosciata dal fatto che suo figlio fosse omosessuale. Un'affermazione, questa, messa in discussione, a quasi un secolo di distanza, dalle associazioni Alleanza Cattolica, Fondazione Tempi, Obiettivo Chaire e Nonni 2.0 in occasione dell'incontro 'Difendere la famiglia per difendere la comunità', organizzato lo scorso 17 gennaio in collaborazione con la Regione Lombardia. Un convegno che ha fatto discutere, riaprendo il dibattito sulle cosiddette 'teorie riparative' che guardano all'omosessualità come a una malattia da cui si può guarire.
A far luce sull'argomento è stato Vittorio Luigi Castellazzi, psicologo clinico e autore del libro 'L'Omosessualità. Una lettura psicoanalitica' (Magi Edizioni, Roma, 2014, pp. 245): 'Innanzitutto, va detto che è scorretto associare l'omosessualità alla perversione- chiarisce lo psicoterapeuta all'Agenzia DIRE- come esistono omosessuali perversi esistono anche eterosessuali perversi. L'orientamento omosessuale e la psicopatologia vanno affrontati come dimensioni indipendenti, così come lo sono per gli eterosessuali. L'omosessualità non è significativa circa la salute mentale dell'individuo. Qualsiasi orientamento sessuale può comportare delle situazioni di normalità o di patologia. Il problema da affrontare e da tenere presente, sia per l'omosessualità che per l'eterosessualità, è il livello di organizzazione della personalità, se normale, nevrotica, psicotica borderline, narcisistica o perversa. La vera patologia da cui l'omosessuale deve potersi liberare, ma ciò vale anche per l'eterosessuale, è l'incapacità di amare sia nel rapporto con se stessi che con gli altri'.
Nel libro il professore universitario afferma che gli omosessuali non sono tutti uguali come del resto non lo si può dire per gli eterosessuali. Pertanto, 'si deve parlare non tanto della omosessualità, ma delle omosessualità, dove è possibile riscontrare modalità differenti di relazione di coppia in funzione della struttura psichica sottostante. Tali modalità- chiarisce il professore- si distribuiscono lungo un continuum che va da relazioni di coppia omosessuali, sostanzialmente sane ed equiparabili alle relazioni di coppia eterosessuali, fino a relazioni perverse che, come abbiamo detto, si possono ritrovare anche tra gli eterosessuali'. C'è un immaginario che dovrebbe essere superato. 'In generale- ad avviso del professore- le coppie eterosessuali sono associate primariamente alla loro relazione affettiva e non alla loro attività sessuale, mentre quelle omosessuali è frequente che vengano immediatamente collocate entro l'immaginario di una sessualità degradata e legata a comportamenti perversi'.
L'EZIOLOGIA - 'Tutto parte dalle vicende psichiche primarie del bambino. Lì viene giocato l'orientamento etero o omosessuale', ricorda Castellazzi. Nella genesi dell'omosessualità 'è possibile rintracciare tre dimensioni della vita psichica: la bisessualità psichica di base, la fusionalità simbiotica con la figura materna e il complesso edipico. In base a come si evolvono e si combinano tra di loro questi tre aspetti si arriverà all'orientamento eterosessuale o omosessuale. I fattori biologici non sono così determinanti come si vuole sostenere'. Il volere far risalire la causa dell'omosessualità a fattori endocrinologici, genetici o cerebrali 'è solo un modo elegante di deresponsabilizzazione. L'orientamento sessuale, sia eterosessuale che omosessuale- ribadisce Castellazzi- si gioca all'interno delle complesse e intricate dinamiche consce e inconsce presenti, soprattutto in ambito familiare, nei primi anni di vita'.
QUANDO E DOVE NASCE L'IDEA CHE L'OMOSESSUALITÀ SIA UNA MALATTIA - 'Freud nel 1905, in un'intervista al Die Zeit, affermava: 'Io ho la ferma convinzione che gli omosessuali non debbano essere trattati come persone malate'. E in una nota aggiuntiva del 1914 ai 'Tre saggi sulla teoria della sessualità' (1905), dichiarava che l'indagine psicoanalitica si rifiuta con grande energia di separare gli omosessuali come un gruppo di specie particolare dalle altre persone. Con la morte di Freud, tra gli psicoanalisti, soprattutto statunitensi, è prevalsa la tendenza a sostenere che l'omosessualità è una malattia che deve essere curata. Nel 1973- spiega lo psicoterapeuta- dopo un aspro dibattito, sia tra gli psichiatri che gli psicoanalisti, si giunse alla conclusione, esplicitata dal Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), che l'omosessualità egosintonica non è una malattia. E cioè che gli omosessuali, che sono in sintonia con la loro situazione psichica, non devono essere curati. Rimase però fuori dal discorso l'omosessualità egodistonica, propria di chi, in quanto omosessuale, si sente fuori posto e addirittura in conflitto con se stesso.
Progressivamente- prosegue l'esperto- ci si rese conto che l'omosessualità egodistonica non è altro che il risultato di un'omofobia inconsciamente interiorizzata, fonte di gravi sensi di colpa, di autosvalutazione e di crollo della stima di sé. Talvolta l'omosessuale egodistonico si odia al punto tale da arrivare persino al suicidio. Per cui, nel 1987, nel Dsm III-R, viene eliminata come patologia anche l'omosessualità egodistonica, dichiarando che il disagio psichico non deriva dall'essere omosessuale, ma dall'avere introiettato, senza rendersene conto, un ambiente disapprovante, omofobo. Nel 1992, l'omosessualità è stata dichiarata non patologia anche dall'Organizzazione mondiale della sanità (Osm).
LA TERAPIA RIPARATIVA È INEFFICACE - 'L'omosessuale, come tale, non necessità di psicoterapia', afferma Castellazzi. 'Tale posizione teorica, ormai consolidata in ambito internazionale, continua però a trovare resistenza in certi ambienti cattolici e non solo, pronti a riproporre il tema della terapia riparativa che indica l'omosessualità come una patologia da cui si può guarire per diventare etero'. Rappresentante di spicco al riguardo è lo statunitense Joseph Nicolosi. 'La terapia riparativa consiste, sostanzialmente, in un trattamento cognitivo-comportamentista basato su un vero e proprio lavaggio del cervello e- aggiunge lo psicologo clinico- dove si punta molto anche sulla preghiera e sulla pratica religiosa in genere. Una terapia che rischia di essere una tortura e che mira a ottenere, al massimo, un comportamento puramente esteriore'.
L'obiettivo di volere trasformare un omosessuale in un eterosessuale 'non offre prospettive di successo molto migliori rispetto all'impresa opposta- afferma Castellazzi, citando le parole che Freud scrisse nel 1920 nel saggio 'Sulla psicogenesi di un caso di omosessualità femminile'- l'unica differenza è che quest'ultima per ovvi motivi di ordine pratico non viene mai tentata'. L'efficacia di una terapia riparativa 'non è mai stata dimostrata- sottolinea Castellazzi- il Report pubblicato e tanto enfatizzato dalla Narth nel 2000 denuncia seri errori di metodo. Lo stesso si deve dire della ricerca di Spitzer del 2003. La terapia riparativa può, tutt'al più, portare il paziente a diventare asessuale, soffocando la sua tendenza omosessuale. E anche là dove si registra un qualche comportamento eterosessuale, questo è puramente esteriore. L'orientamento omosessuale, a livello profondo, rimane'. In conclusione, se si ha che fare con un omosessuale egodistonico, 'l'intervento psicoterapeutico dovrà semplicemente mirare a liberarlo dall'omofobia interiorizzata così da potere essere in armonia con se stesso'.
TEORIE RIPARATIVE SCONFESSATE DALLA SOCIETÀ PSICOANALITICA AMERICANA, OLTRE CHE DALL'ORDINE DEGLI PSICOLOGI ITALIANI - Nel 2002 la Società psicoanalitica americana afferma che 'la tecnica psicoanalitica esclude ogni tentativo che mira a convertire o a riparare l'orientamento sessuale di un individuo. Un tale atteggiamento, infatti, è contrario ai principi fondamentali della cura analitica. E spesso ha l'effetto di intensificare la sofferenza psichica, rafforzando le tendenze omofobiche interiorizzate'. Analoghe dichiarazioni sono state fatte sia dall'Ordine degli psicologi del Lazio (2007) che dall'Ordine degli psicologi della Lombardia (2010).
LA CRISI DELLA FAMIGLIA NON CENTRA CON L'OMOSESSUALITÀ - 'È un falso sostenere che riconoscere le coppie omosessuali significa minare la stabilità della famiglia. Secondo gli ultimi dati Istat- fa sapere lo psicologo clinico- su 100 matrimoni celebrati 70 falliscono, e in Liguria e Valle da Aosta ne falliscono 80.
L'impressione è che si cerchi il capro espiatorio nelle coppie omosessuali, del resto riconosciute in tutti i paesi europei, compresa la cattolica Spagna, come spiegazione della drammatica crisi della famiglia. Faccio notare, tra l'altro, che è curioso che, in una società dove trionfano le coppie di fatto- afferma Castellazzi- dove si registra una resistenza crescente a ratificare civilmente o religiosamente un legame di coppia eterosessuale e dove si fanno sempre meno figli, siano proprio gli omosessuali a chiedere di sposarsi e a spingere per avere una famiglia'.
OMOGENITORIALITÀ - 'Nel volume affronto in modo articolato il fenomeno e cerco di prendere in esame tutte le varie obiezioni circa l'omogenitorialità. Si può dire che ciò che conta è la relazione affettiva della coppia di cui poi può beneficiare lo sviluppo armonico del bambino- continua l'esperto- ciò chiarito, allo stato attuale, non possiamo decidere se l'omogenitorialità sia positiva o no, in quanto non esistono ancora delle ricerche longitudinali che ci dicono se un bambino che oggi cresce in una coppia omosessuale avrà, tra 30-40 anni, delle conseguenze positive o negative. Non si deve ignorare anche il peso dell'ideologia pro o contro che talvolta sembra essere presente in certe ricerche'. Dall'altra parte, il legislatore 'non può ignorare che esistono figli e figlie di coppie omosessuali e che, con la fecondazione eterologa, saranno sempre più numerosi. Non si dimentichi che Günther Anders afferma che un imperativo della terza rivoluzione industriale, quella che stiamo vivendo, è che ciò che è possibile fare, si deve fare'.
L'ITALIA È OMOFOBA - 'Nonostante la Risoluzione dell'8 febbraio 1994 del Parlamento europeo, in Italia sono presenti ancora forti resistenze sull'introduzione di una legge sull'omofobia. Nel Parlamento italiano sono stati fatti diversi tentativi (13 ottobre 2009; 26 luglio 2011; 7 novembre 2012; giugno 2013), tutti andati falliti. Ci sono forti resistenze al riguardo- conclude Castellazzi- ora languisce una quinta proposta di legge, quella del sottosegretario Ivan Scalfarotto'.
(Wel/ Dire)