Lo psichiatra: "Sono un'occasione per cambiare assetto"
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 24 feb. - Gli attacchi di panico esordiscono per lo più nei momenti di passaggio dall'adolescenza all'età adulta, tra i 17 e i 20 anni, e si manifestano con l'attivazione massiva dei meccanismi dell'ansia. Ne parla alla Dire, Rosa Bruni, psichiatra e psicoterapeuta che opera nel servizio di counseling psicologico per gli studenti dell'Università Cattolica di Roma.
Il cambiamento, in particolare quello relativo ai processi di separazione e individuazione, "mette in crisi l'organizzazione della personalità. L'esperienza del limite- precisa l'esperta- mette in discussione l'immagine idealizzata di sé, fondata sull'evitamento/negazione di emozioni e pulsioni, sinomini di vulnerabilità intollerabile. E tutto ciò genera ansia pura, traumatica, smarrimento disperante e senso di perdita irreversibile.Il soggetto che vive un attacco di panico è in balia di sensazioni fisiche estremamente disturbanti: tachicardia, mancanza di fiato, vertigini, paura, terrore di perdere il controllo ed essere sul punto di morire. Con il panico- continua la psicoterapeuta- irrompe sullo scenario il limite per eccellenza, la morte, che rivela dolorosamente tutta la fallacia delle difese e svela l'intima e spesso negata vulnerabilità costitutiva. É la disfatta di ogni sistema improntato all'onnipotenza e alla cristallizzazione atemporale".
L'adolescente con attacco di panico vive, "nel corpo e attraverso il corpo, il fallimento di tutte le strategie difensive troppo rigide, sperimentando improvvisamente l'angoscia, il senso di perdita e il venir meno delle certezze su di sè e sul mondo. È come essere esposti al totalmente altro, alla vertigine perturbante, affacciarsi sull'abisso senza più alcuna possibilità di sicurezza, di stabilità. Il paziente dice di sentirsi 'un altro', di sentirsi 'diverso', 'cambiato', teme di non poter più essere normale, 'come tutti gli altri'. Così la crisi di panico diventa vera frattura, esperienza di radicale diversità che il soggetto sperimenta rispetto al suo equilibrio psicologico preesistente".
PANICO E PERDITA - "Spesso nel panico è stata ritrovata la presenza di un evento precoce di perdita, in particolare della figura paterna nella vita infantile. In molti casi questi eventi traumatici sono considerati l'origine di quelle strutture difensive, di quegli assetti rigidi di personalità - in cui l'emozione è sentita come un pericolo e l'esperienza stessa della vita emotiva viene temuta e quindi evitata - che poi potranno dare origine al panico. Parliamo di meccanismi di difesa fondati sulla negazione di sensazioni ed emozioni, di svalutazione dei vissuti di attaccamento e di dipendenza fisiologica- sottolinea l'esperta- e su un concetto di autosufficienza affettiva del tipo: 'devo farcela sempre, devo farcela da solo e non mi posso fidare'. Sono persone con una configurazione di attaccamento insicuro- racconta la psicoterapeuta- spesso evitante/rifiutante, disconoscono in termini difensivi l'importanza della relazione di attaccamento, delle emozioni e degli affetti, e non sono abituate a credere nella possibilità di essere confortati. Guerrieri o amazzoni dotati di grande abilità sul piano delle capacità razionali, di frequente sono molto coraggiosi e tenaci- ricorda la responsabile del servizio di counseling psicologico della Cattolica di Roma- ma che per motivi traumatici hanno costruito una sorta di armatura caratteriale, che nella transizione alla fase adulta crolla mettendoli a confronto con la vulnerabilità". GLI ATTACCHI DI PANICO SONO UN'OCCASIONE - "La sintomatologia panica per intensità e conseguenze in termini di evitamento -pensiamo alla necessità di evitare la frequentazione di luoghi o situazioni a rischio oppure all'agorafobia, cioè all'ansia relativa all'essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto - rappresentano una sorta di cataclisma, di tsunami nella vita della persona interessata. La perdita della corazza difensiva- chiarisce Bruni- diventa allora crisi di identità, messa in discussione di sè.In questi termini, in quanto perdita di illusorie certezze e di improprie difese, l'attacco di panico diventa un'occasione, una possibilità intuita, il pensiero inconscio che si fa presente per promuovere il cambiamento.
Rappresenta l'occasione di cambiare l'assetto, ed è talmente forte il segnale, e lo sconvolgimento corporeo e psichico che comporta, da non può essere ignorato. Il lavoro psicoterapeutico con chi soffre di panico può essere davvero bellissimo- afferma-perché si assiste spesso al cambiamento: il paziente inizia a riconoscere le emozioni, come la paura, senza vergognarsene, a dare spazio a desideri e fragilità senza nascondimenti, a vivere le ambivalenze emotive e pulsionali senza negazioni; si avvia a diventare ciò che è senza più troppi timori e reticenze. E allora diventa possibile sempre più promuovere l'integrazione di emozioni, stati d'animo, pensieri che erano rimasti esclusi in quanto espressione di una fragilità considerata intollerabile- rimarca la psicoterapeuta- ma in realtà semplicemente umana. Si può arrivare a costruire una base sicura in cui il sentimento di 'Sè' divenga solido e tollerante, aperto alla sofferenza come alla gioia, alla rabbia come al perdono, alla forza come alla tenerezza".
COME SI GIUSTIFICA QUESTO AUMENTO EPIDEMIOLOGICO - "La cultura occidentale privilegia, in quanto cultura dell'immagine, un modello non solo di perfezione ma di successo, d'individualismo estremo- aggiunge la psichiatra- i valori intorno a cui si costruisce il successo personale sembrano essere quelli della prestazione eccellente, della ricerca affannosa, dll'approvazione sociale, della svalutazione della vulnerabilità e del rifiuto del limite.Di fatto- conclude Bruni- è probabile che questi valori, come la cultura dell'immagine,finiscano per colludere con quelle che sono le aree di fragilità di alcuni bambini e adolescenti, con quella situazione di 'Falso Sé' che sottende l'organizzazione di personalità panica. Possiamo poi considerare come l'accelerazione dei tempi di vita, le continue sollecitazioni cognitive ed emotive del mondo esterno, il venir meno di contesti familiari e relazionali sufficientemente stabili e sicuri incrementino le difficoltà di elaborazione e di contenimento delle emozioni sia in età infantile sia in quella adolescenziale".
(Wel/ Dire)