I dati arrivano dal reparto di neuropsichiatria infantile del "Regina Margherita" di Torino
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 1 dic. - Il fenomeno era allarmante già nell'aprile del 2014. Fu allora che gli specialisti di Neuropsichiatria infantile dell'ospedale Regina Margherita di Torino lanciarono l'allarme su un male di vivere che tra gli adolescenti s'andava diffondendo con la pervasività d'un virus: un proliferare di disturbi alimentari, manie suicide e fobie sociali che, nel solo Piemonte, aveva portato il 7% della popolazione entro i 18 anni in carico ai servizi psichiatrici.
Due anni dopo, il quadro appare perfino più fosco. Secondo Antonella Annichini, neuropsichiatra infantile al Regina Margherita "il tasso di prevalenza è ulteriormente cresciuto, arrivando a superare l'8 per cento". Vale a dire che in Piemonte quasi un adolescente su dieci è seguito dai servizi di psichiatria per disturbi anche molto gravi: secondo Annichini, "si tratta spesso di ragazzi colpiti da veri e propri crolli, che il più delle volte vengono ricoverati d'urgenza dopo il passaggio in pronto soccorso; e colpisce il fatto che quasi mai oppongano resistenza, consci di aver bisogno d'aiuto".
Non si tratterebbe, peraltro, di una tendenza circoscritta al territorio sabaudo, "dal momento che è la stessa Organizzazione mondiale della sanità- continua Annichini- a predire una crescita di altri quattro punti percentuali nel tasso di incidenza delle psicopatologie tra i giovani, che dovrebbe arrivare al 12 per cento entro il 2020".
E consola soltanto in parte il fatto che l'altro grande indicatore di questo disagio esistenziale - i tentativi di suicidio - sia rimasto stabile. Due anni fa, al pronto soccorso del Regina Margherita, la media era di due nuovi casi a settimana: ma se il dato è rimasto all'incirca uguale, "ad abbassarsi è l'età media dei giovani che cercano di togliersi la vita - continua la neuropsichiatra - la maggior parte dei quali ha tra i 12 e i 14 anni: proprio in quella fascia anagrafica si registrano i casi più gravi e potenzialmente letali".
E se le cause sono più o meno note ("su tutte" spiega Annichini "la disgregazione del tessuto familiare e la perdita di punti di riferimento tra gli adulti"), a complicare il quadro arriva la rete. O meglio, l'uso morboso di un preciso segmento della rete, in cui proliferano i cosiddetti siti pro-ana e pro-mia, che, rispettivamente, incoraggiano le adolescenti all'anoressia e alla bulimia, "e negli ultimi anni- continua Annichini- perfino al suicidio e all'autolesionismo". Un fenomeno neanche troppo recente, dal momento che nei paesi anglosassoni la comparsa di questo genere di contenuti risale all'incirca al 2006; ma che da noi come altrove continua a cogliere impreparata la giurisprudenza, "visto che in teoria -precisa Annichini- contenuti del genere non sono illegali, nemmeno quando i giovani finiscono per istigarsi a vicenda all'autolesionismo, mettendo in rete le immagini dei tagli che si procurano".
Proprio per questo, diversi paesi stanno cercando di dotarsi di una legislazione ad hoc: in Italia, un tentativo arriva da Michela Marzano del Pd - scrittrice, docente di Filosofia e membro della Commissione giustizia in parlamento - che nel suo 'Volevo essere una farfalla' (Mondadori, 2011) ha raccontato il dramma dell'anoressia, vissuto in prima persona negli anni dell'adolescenza. È lei la prima firmataria del ddl 231, che propone multe da 10 a 100mila euro e carcere fino a due anni "per chi istiga a pratiche idonee a provocare l'anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare"; anche se, a livello internazionale, non tutti concordano sulla censurabilità di questo genere di siti, che in alcuni casi, secondo un'indagine dell'Agence Nationale de la Recherce (Francia), svolgerebbero addirittura una funzione di contenimento e mutuo aiuto.
"Di certo- chiarisce Annichini- il web non può essere considerato una causa scatenante: l'accesso a questi contenuti rappresenta piuttosto un rinforzo di sintomi e patologie che esistevano già. Siamo di fronte ad adolescenti che, trovandosi soli di fronte a genitori e ad adulti il cui ruolo si fa sempre più incerto, si buttano in rete in cerca di una sorta di auto ricovero". Ancora una volta, in effetti, sono gli adulti i grandi assenti: l'intera comunità dei terapeuti sembra concorde nell'attribuir loro una grossa parte di responsabilità rispetto a questa ondata di malessere: "Il punto- conclude Annichini- è che questi ragazzi sono stati sovraesposti alla rete, senza alcuna protezione da parte di genitori che spesso non hanno una vaga idea di cosa facciano. Per loro, internet serve a placare il dolore di una crescita che non sentono di riuscire a gestire".
Ma come si spezza questo legame morboso col virtuale? Un altro punto su cui gli specialisti concordano è l'inutilità della "terapia d'urto": tanto che parecchi di loro raccontano di aver dovuto imparare il linguaggio della net-generation per potersi confrontare con i propri pazienti.
(Wel/ Dire)