Quando il corpo parla: i disturbi psicosomatici
Articolo di Valentina Nappo, psicoterapeuta individuale, della coppia, familiare
(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 28 apr. - 'Il corpo grida quello che la bocca taceà'. Con queste splendide parole, il poeta, scrittore, saggista, fumettista, drammaturgo e regista cileno Alejandro Jodorowsky mette in evidenza come mente e corpo siano collegati e quanto ciascuno di essi eserciti un'importante influenza sull'altro. Mal di testa, dermatiti, nausea, mal di stomaco, dolori alle gambe e alla schiena ricorrenti e senza un'apparente causa possono essere facilmente associati a periodi di stress o a condizioni di vita particolarmente difficili, eppure più comunemente si sceglie di non prestare loro ascolto e di zittirli con ogni tipo di farmaci.
Una sveglia che trilla, un campanello d'allarme, un semaforo rosso: questi sintomi sono tutti segnali che indicano che è arrivato il momento di fermarsi e di cominciare ad ascoltarsi per imparare ad occuparsi di sé. In genere, infatti, si è più inclini a pre-occuparsi, piuttosto che ad occuparsi del proprio benessere e della propria salute psico-fisica.
Quando si parla di malattie psicosomatiche, è possibile fare una distinzione tra: disturbi psicosomatici primari: sono quelli legati ad una disfunzione biologica e non psicologica, come ad esempio il diabete, in cui l'elemento psicosomatico sta nell'amplificazione e nel peggioramento di un sintomo già esistente; disturbi psicosomatici secondari: non hanno alcuna causa organica perché sono legati alla trasformazione di conflitti emotivi in sintomi somatici.
Tali disturbi interessano spesso anche i bambini che, come una spugna, assorbono tutte le emozioni in circolo nel proprio ambiente di vita facendosi portatori di un malessere che riguarda l'intera famiglia.
Le famiglie 'psicosomatiche' sono quelle che, per le loro caratteristiche, incoraggiano nei figli lo sviluppo di somatizzazioni. Tali caratteristiche sono: - l'invischiamento: indica un eccessivo stare insieme che scoraggia ogni tentativo di autonomia e la presenza di relazioni confuse dove non vi è una chiara definizione e distinzione di ruoli (ad es. famiglie in cui i figli fanno inadeguatamente da genitori per i genitori stessi o per i fratelli); - l'iperprotettività dei genitori verso i figli, che ne ritarda lo sviluppo dell'autonomia e le possibilità di esplorazione dell'ambiente extrafamiliare; - la rigidità, presente in quelle famiglie che non riescono a riorganizzarsi e a cambiare a seguito di eventi critici o durante le varie fasi del ciclo di vita, per cui ripropongono sempre gli stessi modi di essere in relazione anche se non più adeguati ed efficaci; - la non risoluzione dei conflitti e delle tensioni che vengono celati da un'apparente armonia familiare; - il coinvolgimento dei figli nei conflitti sommersi fra i genitori, che non potendo esprimersi apertamente, rimangono irrisolti.
Come fare allora? Come scrive Jodorowsky, "la malattia non è cattiva, ti avvisa che stai sbagliando cammino" e questo vale sia per i singoli individui, sia per le famiglie. Ci vuole molto coraggio, il coraggio di chiedere aiuto ad un esperto che ci accompagni in un viaggio che ha come destinazione il cambiamento: abbandonare le vecchie abitudini comportamentali e relazionali e imparare a dar voce al malessere interiore per trovare modi più evoluti di esprimerlo e affrontarlo.
(Wel/ Dire)
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