(DIRE - Notiziario Psicologia) Roma, 21 apr. - Sin dalle origini del pensiero, la nascita e la crescita di un figlio hanno sempre suscitato un universo di paure ancestrali (la mitologia è ricca di esempi di figli che avrebbero determinato la fine dei loro genitori) o di desideri e aspettative straordinari. Ma oggi, a differenza dei millenni precedenti, sembra che sia la territorialità stessa ad aver acquisito attenzioni nuove. I genitori, infatti, sono sempre più spesso sotto i riflettori, tanto si discute sul loro ruolo e su come agiscono.
Come dice Pietropolli Charmet, essi sono chiamati a fare questo mestiere da professionisti: studiano, si consultano, si impegnano, hanno poco tempo ma ce la mettono tutta. Hanno generalmente un figlio unico, pensato a lungo, avuto tardi. Hanno una grande consapevolezza che il bambino ha tantissime abilità innate e fanno di tutto affinché possa svilupparle: garantendo studi appropriati, tante (e spesso troppe) attività, ecc. Quindi, se le cose non funzionano, significa che è stato sbagliato qualcosa.
Stando così le cose, è difficile che, avendo offerto e garantito tanto, non vi sia l'aspettativa (più o meno inconsapevole) che tutte queste opportunità ripaghino degli investimenti fatti; se il figlio ha goduto di tanti stimoli, di tante possibilità di cui il genitore, invece, non ha mai potuto usufruire, come può, tutto questo, non portare a risultati di successo o, quanto meno, di riuscita? E il figlio, dal canto suo, come può non sentirsi in dovere di far fruttare cotanto investimento, di non rispondere a tutte queste attenzioni? Ovviamente parliamo di dinamiche che si costellano a un livello inconscio, seguendo un percorso che a volte appare illuminato a priori dalla sinergia di una molteplicità di proiezioni che agiscono all'unisono.
Negli ultimi anni si è affermato un modello di 'overparenting', in cui i genitori sono sempre presenti, sempre pronti a liberare il percorso dei figli da ogni minima insidia. Talvolta però quella che viene considerata una genitorialità responsabile, rischia di operare una sorta di pressione educativa che può generare nei ragazzi ansia, timore di sbagliare, di non essere adeguati, rendendoli fragili e incapaci di gestirsi e di tollerare la frustrazione. Prendiamo ad esempio quei figli molto diligenti, con un senso di responsabilità elevato e che spesso hanno un curriculum scolastico di tutto onore (o, almeno, corrispondente al loro impegno).
Fin qui sembrerebbe tutto molto lineare e, forse, anche prevedibile. Il punto è che sempre più spesso questi ragazzi così seguiti, stimolati e supportati talvolta subiscono un crollo; i livelli di ansia e le aspettative elevate diventano insostenibili, addirittura schiaccianti. In una ricerca svolta dall'IdO (Istituto di Ortofonologia) di Roma nell'anno scolastico 2011-2012 è stato somministrato a 3.300 ragazzi dagli 11 ai 19 anni, il Safa (Scale di autosomministrazione per fanciulli e adolescenti) un questionario che misura il livello di ansia e di fobie presenti negli adolescenti. Da questo studio è emerso che le ragazze presentano punteggi medi significativamente maggiori rispetto ai ragazzi nelle scale d'ansia sociale e ansia di separazione. In generale invece, "la preoccupazione per la scuola" è talmente diffusa che investe più della metà degli studenti (il 56%), ma per uno su cinque è così elevata da impedirgli di frequentare regolarmente le lezioni adducendo scuse o presentando malesseri fisici, come mal di testa, difficoltà di addormentamento o sonno irregolare.
Sicuramente il nuovo atteggiamento affettivo dei genitori, più di quello educativo antecedente, include in sé un grande potenziale evolutivo per il cucciolo d'uomo, tuttavia il pericolo, come dice ancora Charmet è che esso sia connotato da una particolare fragilità, proprio come gli oggetti preziosi, unici e delicati.
Anche per quanto riguarda il dolore, o la frustrazione, è ormai indubbio che la quantità di queste (importanti) esperienze emotive che i genitori possono tollerare per i propri figli, è molto bassa. Si investono molte energie per proteggere i ragazzi, piuttosto che per sopportarne i conflitti e le sofferenze.
Inoltre, vi è il rischio che il vecchio modello paterno punitore agisca lo stesso, in quanto forza archetipica, ma ad un livello inconscio. E allora, mentre l'adulto fa di tutto per liberare la nuova generazione dal peso della vita, può succedere che, ad un livello più profondo, gli fornisca un fardello ancora più penoso: essere all'altezza e rispondenti alle aspettative inconsce.
E così, a volte e suo malgrado, il grande amore della famiglia può caricare un suo membro di imponenti responsabilità, in grado di limitare la libera espansione della personalità del singolo, oltre che la sua salute psico-fisica. Un cammino, quello dell'adolescente che già di per sé è segnato dall'indeterminatezza di un periodo di crisi, in cui il mondo degli adulti facilita e protegge ma non è in grado di indicare alcuna certezza.
D'altro canto però, il carico dei modelli di riferimento grava fortemente sui 'nuovi' genitori, che si trovano a dover reggere il passo di una società in continua evoluzione, dove i contesti culturale mutano in maniera così rapida da non riuscire ad essere digeriti e metabolizzati, che già sono diventati desueti. Forse, a ben vedere, le difficoltà legate all'ansia nei ragazzi, in taluni casi, derivano da contesti molto prossimi al mondo di noi adulti.
(Wel/ Dire)