Roma, 11 giu. - Medico di Pronto soccorso sospeso dalla professione (sia nel pubblico che nel privato) per "gravi elementi indiziari" per violenza sessuale ai danni di una paziente. Il medico, a fronte di un dolore alle gambe manifestato dalla paziente, l'avrebbe costretta a una visita ginecologica non richiesta ed esplicitamente rifiutata e, comunque, senza consenso. La Cassazione (sentenza 24653/2019) ha respinto cosi' l'appello del medico contro la decisione del Tribunale e della Corte d'appello sul carattere "dirimente dell'assenza del consenso manifestato dalla vittima allo svolgimento della visita ginecologica".
IL FATTO Una giovane donna si era presentata nella struttura ospedaliera lamentando forti dolori alle gambe. Il medico di turno, per tutta risposta, l'aveva sottoposta ad una visita ginecologica non solo non richiesta ma anche osteggiata e condotta con modalita' inadeguate "accarezzandole le parti intime" e cessata solo perche' la ragazza era riuscita a divincolarsi e uscire dalla stanza raccontando tutto ai familiari ed ai Carabinieri.
LA SENTENZA Secondo la Cassazione e' legittima la misura cautelare della sospensione dalla professione. "Chiaro infatti - si legge nella sentenza -, che la persona offesa, gia' scettica rispetto alla necessita' di prestarsi alla visita, che poco aveva a che fare con il dolore da lei lamentato, aveva fatto affidamento sul corretto esercizio della professione da parte del medico".
"Solo quando aveva compreso le reali intenzioni del sanitario - si legge nella sentenza - rese palesi dalle ripetute carezze effettuate sulla zona genitale, sicuramente non conformi alle tecniche necessarie per procedere all'ispezione ginecologica, e all'introduzione 'movimentata' delle dita all'interno della vulva, si era ribellata, girando bruscamente la gamba e manifestando, in tal modo, il proprio chiaro dissenso. Nonostante cio', l'indagato non aveva desistito e aveva spinto la persona offesa con violenza sul lettino, palpandole il ventre ed il seno, finche' la stessa era riuscita a sottrarsi e uscire repentinamente dalla stanza".
Per motivare la durezza della pena "e' palese - secondo la Cassazione che l'indagato si ritroverebbe nella possibilita' di porre nuovamente in essere le condotte di violenza di cui si discute, dal momento che svolge l'attivita' medica ed e' costantemente a contatto con pazienti di ogni eta'. Certamente, non rileva il fatto che il medico non sia uno specialista in ginecologia perche', nel caso di specie, ha posto in essere la condotta contestata proprio suggerendo alla persona offesa di sottoporsi ad una visita ginecologica che nulla aveva a che fare con il malessere fisico da lei lamentato".
"Tanto basta - prosegue - a fronte delle generiche valutazioni difensive di segno contrario proposte con i ricorsi, per ritenere sussistenti le esigenze cautelari per l'applicazione della misura dell'interdizione dallo svolgimento dell'attivita' nella sua massima durata, nonche' per giustificare la sua estensione allo svolgimento dell'attivita' privata, per nulla diversa da quella pubblica con riferimento alla sussistenza del rischio di reiterazione della condotta contestata".
Inoltre non solo la paziente non si era mostrata consenziente allo svolgimento della visita ginecologica, ma aveva espressamente manifestato il proprio dissenso alla prosecuzione delle attivita' "poste in essere dal medico quando si era accorta che le stesse esulavano dal perimetro sanitario, senza che l'indagato desistesse dalla perpetrazione dell'abuso".
Per i giudici la manifestazione del dissenso "non deve ricercarsi nella fase antecedente alla visita (sebbene la vittima abbia piu' volte riferito di aver manifestato la propria resistenza)", come sostenuto dal dal medico, "bensi' nel momento in cui, prima convinta della competenza e professionalita' del sanitario, aveva percepito l'anomalia della sua condotta e si era dunque ribellata".
Per queste ragioni la Cassazione ha respinto il ricorso del medico, confermando la condanna e aggiungendo l'onere delle spese del provvedimento.
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(Red)