Roma, 23 mar. - L'attivita' di odontoiatra da parte di un cittadino Ue che abbia il diploma rilasciato da uno stato dell'Unione non e' reato solo se questo ha presentato domanda al ministero della Salute che a sua volta ha trasmesso la documentazione all'Ordine competente per l'iscrizione. Quindi, nel caso in esame, la Cassazione (Sezione VI penale - sentenza 13307/2018) ha condannato un medico laureato in altro Stato, ma senza riconoscimento in Italia, trovato all'interno dello studio dentistico con indosso un camice verde in assenza di altro medico odontoiatra.
Secondo la Cassazione e' presente l'indicazione di una ipotesi di reato in relazione alla quale sussiste la necessita di escludere "la libera disponibilita' della cosa pertinente a quel reato, sia una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, condotta anche avendo riguardo alla probabile condanna dell'imputato, ma in una prospettiva che non deve corrispondere a quella richiesta dall'art. 273 cod. proc. pen. e che non implica giudizi sulla fondatezza dell'accusa".
In questa ottica, secondo i giudici l'atteggiamento, al momento del controllo dell'indagato e delle tre assistenti, tutti vestiti con camice verde all'interno di uno studio perfettamente attrezzato, l'assenza di medici odontoiatri all'interno della struttura, la presenza di documentazione fiscale attestante una collaborazione di medici odontoiatri alle attivita' eseguite nella struttura estremamente modesta rispetto alle dimensioni della stessa, la qualita' del ricorrente di socio accomandatario della societa' titolare dello studio, sono tutte circostanze che, "allo stato, sulla base di criteri logico-giuridici di valutazione non manifestamente illogici, possono correttamente essere ritenute quali indizi da cui desumere l'abusivo esercizio di una professione, quella odontoiatrica, per il cui svolgimento e' necessaria l'abilitazione statale".
La Corte ritiene quindi legittimo il sequestro preventivo delle attrezzature e apparecchiature rinvenute nello studio dentistico. Il soggetto imputato si e' difeso sostenendo di aver ottenuto in Portogallo l'abilitazione all'esercizio della professione odontoiatrica fino dal 2003 e che questa qualifica faceva scattare l'effetto le direttive comunitarie n. 786/78 e n. 787/86, del principio di non discriminazione tra i diversi cittadini dell'Unione europea e dell'articolo 10 del Dlgs 206/2007 "che consente di compiere interventi, anche in assenza di iscrizione all'albo italiano, perfino in assenza di alcuna comunicazione al ministero della Salute, quanto meno nei casi di stretta urgenza".
La Cassazione ha smontato completamente la tesi difensiva. La sentenza ha motivato la condanna con una serie di elementi: 1) l'atteggiamento del titolare dello studio e delle tre assistenti, tutti con camice verde; 2) la struttura dello studio i cui locali erano "allestiti e pronti all'uso"; 3) l'assenza nello studio di un medico odontoiatra abilitato all'esercizio della professione; 4) la disponibilita' da parte della societa' di altro studio dotato di strutture omogenee; 5) la posizione dell'indagato come socio accomandatario dell'impresa; 6) l'allegazione di sole due fatture al mese per tre medici, eccessivamente modesta rispetto alla complessita' della struttura della societa'.
Dal punto di vista della presunta abilitazione ottenuta in Portogallo, la Cassazione ricorda come il titolo ottenuto in uno Stato Ue sia abilitativo anche in Italia alla sola condizione che il soggetto abbia presentato apposita domanda al ministero della Sanita' e questo dopo aver accertato la regolarita' dell'istanza nonche' la presenza di tutte le credenziali, abbia trasmesso la stessa all'ordine competente per l'iscrizione.
"II Tribunale in proposito - conclude la sentenza - rappresenta innanzitutto che la previsione di cui all'art. 10 d.lgs. n. 206 del 2007 vieta al prestatore di opera proveniente da altro Stato membro di esercitare qualunque attivita' professionale senza aver previamente informato con dichiarazione scritta l'autorita' competente, 'salvo i casi di urgenza'.
Aggiunge, poi, che la disciplina in esame legittima prestazioni temporanee od occasionali, come tali non 'includibili' in quelle coerenti con le capacita operative delle strutture sequestrate, che l'indagato non haprodotto neppure la dichiarazione scritta di cui all'art. 10 cit. e che l'abilitazione in Portogallo e'risalente e non autorizza di per se ad esercitare la professione in Italia, in quanto a tal fine e' necessario il controllo di requisiti minimi di preparazione".
"In forza degli elementi indicati nell'ordinanza impugnata - secondo i giudici - in particolare l'assenza della dichiarazione scritta all'autorita' competente prevista dall'art. 10 d.lgs. n. 206 del 2007, e la strutturazione dello studio, predisposto per operare in termini di costante ordinarieta', deve ritenersi corretta l'applicazione dei principi giurisprudenziali consolidati soprariportati". Ed e' quindi scattato il sequestro dei beni e delle attrezzature.
Articolo tratto da quotidianosanita.it (Wel/ Dire)