Roma, 14 mar. - Il dolore, l'astenia, la depressione, il non riuscire a nutrirsi. Il paziente oncologico può arrivare a desiderare di chiudere con la vita quando tutti questi effetti della malattia si trasformano in una gabbia senza uscita. "Una scelta non libera. E noi medici non possiamo essere meri esecutori della decisione" commenta Paolo Marchetti, direttore dell'Oncologia medica dell'ospedale Sant'Andrea di Roma e membro del direttivo dell'Associazione italiana oncologia medica. Non meri esecutori, dunque, ma quale altro ruolo dovrebbero avere i medici nel momento in cui si arriva all'apertura del biotestamento? "Io medico devo essere certo che il paziente abbia fatto una scelta di libertà. Non posso solo eseguire senza verificare che tutto sia stato messo in campo per evitare una simile decisione finale". Che cosa intende per vera libertà di scelta? "Non è libera la scelta se il paziente non ha a disposizione la terapia del dolore, se non viene sostenuto dalla psiconcologia o non segue la giusta alimentazione. Come, purtroppo, accade amolti pazienti nel nostro paese. Condizioni di simile fatica e sofferenza non fanno pensare alla vita". Ma quel paziente ha deciso molti anni prima... "Appunto. Decidere senza la malattia non è come decidere con la malattia. Per questo si deve scegliere di nuovo a mio avviso. Dopo aver avuto l'opportunità di sedare il dolore e tutto il resto. Noi non possiamo diventare 'complici' di una scorciatoia per non migliorare le condizioni del paziente". Scorciatoia? "Noi ci battiamo per migliorare, con tutto quello che la medicina mette a disposizione, il quotidiano di un uomo ed una donna. Ma se priviamo il malato dei sostegni gli togliamo anche la possibilità di scegliere". Crede che l'assenza di dolore possa far cambiare la decisione? "Sì. Me ne sono reso conto in tanti anni di lavoro tra i pazienti oncologici. La vita si accetta meglio. Ma il 'senza futuro' non rende davvero l'uomo libero".
Articolo tratto da Il Messaggero (Wel/ Dire)